In difesa dell'Occidente, armati di
clava Il
vecchio concetto di "relativismo culturale" rispolverato a
fini politici. Intervista a Clara Gallini
STEFANIA GIORGI
"Ci sarebbe da divertirsi, se la situazione
non fosse tragica, nel vedere come un vecchio concetto,
abbandonato da 50 anni venga rispolverato oggi e venga
'tirato' in tutte le direzioni". Così l'antropologa Clara
Gallini commenta l'uso politico che Angelo Panebianco - sul
Corsera di ieri - fa del "relativismo culturale",
impugnato come una clava per sostenere la supremazia culturale
dell'occidente. "Mi preoccupa e mi indigna anche il fatto che
molti giornali diano spazio a polemiche così rozze. Ma un
effetto degli stati di guerra è proprio questo, un
arretramento culturale di cui la guerra ha bisogno per
continuare a legittimarsi". Ma procediamo con ordine, partiamo
dalla storia del concetto di relativismo culturale... "E'
un concetto che nasce negli studi antropologici in ambito
statunitense tra le due guerre mondiali, negli anni '30. E
nasce come risposta liberal soprattutto al razzismo
hitleriano e più in generale all'idea evoluzionistica che
prevedeva il primato delle culture bianche, occidentali
rispetto a quelle cosiddette primitive. Un concetto, dunque,
che aveva una sua dimensione liberale e che però cominciò
precocemente a essere criticato. Lo stesso Ernesto de Martino,
nei suoi primi scritti, già criticava quello che chiamava 'il
défilé dei modelli culturali'". Quali erano le critiche
mosse al relativismo culturale? "Innanzitutto il fatto che si
concepissero le culture come sistemi chiusi e non relazionati
tra loro. Si trascuravano così due cose: di considerare le
contraddizioni interne alle culture rappresentate come
omogenee al loro interno; di non considerare lo scambio che
comunque esiste tra cultura e cultura, tra persona e persona e
anche la presenza di contraddizioni esterne e interne percorse
da lotte di potere, da dominazioni. Più recentemente, negli
ultimi 10-15 anni, il concetto stesso di cultura è stato
decostruito, cultura come concetto forte, omogeneo. La
riflessione e la ricerca antropologica puntano soprattutto
sull'analisi delle costruzioni reticolari che si vengono a
creare negli scambi materiali e simbolici. Al contrario, il
discorso e la pratica politica delle destre tendono a ribadire
come dato oggettivo l'esistenza di quelle barriere -
economiche, culturali, territoriali, di classe, di sesso - la
cui 'naturalità' viene invece demolita da una critica
antropologica più attenta alla decostruzione di categorie
quale cultura, éthnos e razza. Ora siamo di fronte a
una tendenza squisitamente politica a riappropriarsi di questi
termini per riempirli di nuove efficacie politiche". C'è un
uso politico del concetto di relativismo culturale che viene
giudicato in modo diverso dalla cultura politica della destra
italiana al governo... "Sì, all'esistenza di differenze
radicali tra culture si possono assegnare valori positivi o
negativi, a seconda delle situazioni. Quando si vuole
territorializzare il mondo, ergendo rigidi confini tra gruppo
e gruppo allora il relativismo culturale viene utilizzato come
se fosse una necessità positiva. Ad esempio, è positivo per
Bossi quando dice agli insegnanti meridionali che vogliono
insegnare al nord di tornare al sud. Funziona nel mondo
ripartito etnicamente, che divide il nord dal sud, gli Hutsi
dai Tutu e, che - nell'apparente parità tra culture - fa
crescere le regionalizzazioni interne, serve a chiudere, ad
alzare frontiere, a separare. Perché nella logica della
ripartizione c'è il divide et impera. Ma, al contrario,
l'affermazione dell'esistenza di culture radicalmente diverse
viene argomentata in negativo quando si mette sul piatto la
partizione Occidente/Oriente. Di fronte a due grandi
contenitori simbolici quali Occidente e Oriente non vale più
affermare che le culture diverse sono tutte sullo stesso
piano. Così, per i vari Panebianco, pensare in termini di
relativismo culturale di fronte all'Islam diventerebbe un
frutto perverso e velenoso. Viene così ristabilita la
superiorità dell'Occidente. L'Occidente che rappresenterebbe
il meglio di tutte le civiltà, la culla della democrazia e
della libertà". Panebianco accusa gli intellettuali di
utilizzare il relativismo culturale per demonizzare la storia
occidentale... "Io vorrei che facesse nomi e cognomi, dal
momento che il meglio della ricerca storica e antropologica
lavora in una direzione ben diversa. Chi critica l'Occidente
lo fa in riferimento al suo sistema di potere, non lo fa in
nome del relativismo culturale. Quello che oggi va ripensato è
un altro concetto, quello di cittadinanza. Come ripensare la
cittadinanza nel nuovo assetto mondiale, di questo discutono
intellettuali di nazioni diverse, indiani e americani, donne e
uomini".
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