27 Settembre 2001
 
 
In difesa dell'Occidente, armati di clava
Il vecchio concetto di "relativismo culturale" rispolverato a fini politici. Intervista a Clara Gallini
STEFANIA GIORGI


"Ci sarebbe da divertirsi, se la situazione non fosse tragica, nel vedere come un vecchio concetto, abbandonato da 50 anni venga rispolverato oggi e venga 'tirato' in tutte le direzioni". Così l'antropologa Clara Gallini commenta l'uso politico che Angelo Panebianco - sul Corsera di ieri - fa del "relativismo culturale", impugnato come una clava per sostenere la supremazia culturale dell'occidente. "Mi preoccupa e mi indigna anche il fatto che molti giornali diano spazio a polemiche così rozze. Ma un effetto degli stati di guerra è proprio questo, un arretramento culturale di cui la guerra ha bisogno per continuare a legittimarsi". Ma procediamo con ordine, partiamo dalla storia del concetto di relativismo culturale...
"E' un concetto che nasce negli studi antropologici in ambito statunitense tra le due guerre mondiali, negli anni '30. E nasce come risposta liberal soprattutto al razzismo hitleriano e più in generale all'idea evoluzionistica che prevedeva il primato delle culture bianche, occidentali rispetto a quelle cosiddette primitive. Un concetto, dunque, che aveva una sua dimensione liberale e che però cominciò precocemente a essere criticato. Lo stesso Ernesto de Martino, nei suoi primi scritti, già criticava quello che chiamava 'il défilé dei modelli culturali'".
Quali erano le critiche mosse al relativismo culturale? "Innanzitutto il fatto che si concepissero le culture come sistemi chiusi e non relazionati tra loro. Si trascuravano così due cose: di considerare le contraddizioni interne alle culture rappresentate come omogenee al loro interno; di non considerare lo scambio che comunque esiste tra cultura e cultura, tra persona e persona e anche la presenza di contraddizioni esterne e interne percorse da lotte di potere, da dominazioni. Più recentemente, negli ultimi 10-15 anni, il concetto stesso di cultura è stato decostruito, cultura come concetto forte, omogeneo. La riflessione e la ricerca antropologica puntano soprattutto sull'analisi delle costruzioni reticolari che si vengono a creare negli scambi materiali e simbolici. Al contrario, il discorso e la pratica politica delle destre tendono a ribadire come dato oggettivo l'esistenza di quelle barriere - economiche, culturali, territoriali, di classe, di sesso - la cui 'naturalità' viene invece demolita da una critica antropologica più attenta alla decostruzione di categorie quale cultura, éthnos e razza. Ora siamo di fronte a una tendenza squisitamente politica a riappropriarsi di questi termini per riempirli di nuove efficacie politiche".
C'è un uso politico del concetto di relativismo culturale che viene giudicato in modo diverso dalla cultura politica della destra italiana al governo... "Sì, all'esistenza di differenze radicali tra culture si possono assegnare valori positivi o negativi, a seconda delle situazioni. Quando si vuole territorializzare il mondo, ergendo rigidi confini tra gruppo e gruppo allora il relativismo culturale viene utilizzato come se fosse una necessità positiva. Ad esempio, è positivo per Bossi quando dice agli insegnanti meridionali che vogliono insegnare al nord di tornare al sud. Funziona nel mondo ripartito etnicamente, che divide il nord dal sud, gli Hutsi dai Tutu e, che - nell'apparente parità tra culture - fa crescere le regionalizzazioni interne, serve a chiudere, ad alzare frontiere, a separare. Perché nella logica della ripartizione c'è il divide et impera. Ma, al contrario, l'affermazione dell'esistenza di culture radicalmente diverse viene argomentata in negativo quando si mette sul piatto la partizione Occidente/Oriente. Di fronte a due grandi contenitori simbolici quali Occidente e Oriente non vale più affermare che le culture diverse sono tutte sullo stesso piano. Così, per i vari Panebianco, pensare in termini di relativismo culturale di fronte all'Islam diventerebbe un frutto perverso e velenoso. Viene così ristabilita la superiorità dell'Occidente. L'Occidente che rappresenterebbe il meglio di tutte le civiltà, la culla della democrazia e della libertà".
Panebianco accusa gli intellettuali di utilizzare il relativismo culturale per demonizzare la storia occidentale... "Io vorrei che facesse nomi e cognomi, dal momento che il meglio della ricerca storica e antropologica lavora in una direzione ben diversa. Chi critica l'Occidente lo fa in riferimento al suo sistema di potere, non lo fa in nome del relativismo culturale. Quello che oggi va ripensato è un altro concetto, quello di cittadinanza. Come ripensare la cittadinanza nel nuovo assetto mondiale, di questo discutono intellettuali di nazioni diverse, indiani e americani, donne e uomini".

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