20 Ottobre 2001
 
 
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Bin Laden come Robin Hood
I lavoratori musulmani che lavorano a Brescia non vogliono credere che il miliardario saudita sia il mandante degli attentati di New York. Su tutto prevale il sentimento antiamericano - rinsaldato dai bombardamenti sull'Afghanistan - e Osama diventa un eroe che combatte i ricchi e difende i poveri del mondo
MANUELA CARTOSIO - INVIATA A BRESCIA

" Bisognava demistificare Osama bin Laden e, invece, la guerra l'ha fatto diventato l'eroe, il paladino dei deboli, il vendicatore degli oppressi. E' un sentimento diffuso tra gli immigrati, anche tra i non musulmani. Conosco una ghanese, una cattolica che va a cantare i gospel in chiesa, una che detesta i taleban dal profondo del cuore per come trattano le donne. Però, quando si parla di bin Laden, quasi quasi lo difende. Più gli americani lo accusano e gli danno la caccia, più il suo mito cresce. Succede così perché c'è diffidenza e risentimento verso gli Stati Uniti padroni del mondo". Il senegalese Ibrahima Diallo, responsabile dell'ufficio immigrati della Cgil, di bresciano non ha solo preso l'accento, ma anche la ruvida sincerità. La realtà la guarda in faccia anche quando è urtante o sgradevole, non l'avvolge in tortuosi diplomatismi o mezza tinte.
La realtà è che un mese dopo la distruzione delle Torri gemelle ha ancora ampio corso la menzogna dei "4 mila ebrei che l'11 settembre erano stati avvisati di non andare al lavoro". Ce la riprone, buttandoci nel più nero sconforto, il pakistano Iqbal Mazhar, trent'anni, protagonista a Brescia della bella lotta degli immigrati per il permesso di soggiorno. L'ha letta sul suo giornale in urdu "e la stessa cosa l'hanno scritta i quotidiani arabi, tutti quelli che conosco lo sanno". Sì, purtroppo l'hanno scritta i giornali arabi e al Jazeera ha diffuso la leggenda senza prenderne le distanze, ma non è vera. Nel crollo sono morte centinaia di ebrei e, aldilà della contabilità, bin Laden e il suo portavoce hanno sostanzialmente rivendicato gli attentati, si sono rallegrati per la strage. Secondo Iqbal quella di bin Laden non era una rivendicazione, "ha detto che era contento per reazione, perché gli americani avevano appena cominciato i bombardamenti". Non serve a nulla ricordargli che quel proclama bin Laden l'aveva registrato sicuramente prima dell'inizio dei bombardamenti sull'Afghanistan. Iqbal non si arrende neppure di fronte all'evidenza che i 19 dirottatori kamikaze erano musulmani. "Avevano passaporti di cittadini dell'Arabia saudita che non c'entrano nulla". Ma, allora, chi è stato? "Io non lo so, ma per dire che è stato bin Laden ci vogliono le prove. Se gli americani le hanno, dovevano portare bin Laden di fronte a un tribunale internazionale. Se è stato davvero lui è un criminale e io non voglio certo difenderlo, è giusto che paghi. Ma la guerra non è la soluzione, gli americani la fanno per continuare a comandare sul mondo e sul petrolio e, quando bin Laden sarà morto, colpiranno altri paesi. Comunque, se bin Laden è un terrorista, è una creatura degli Stati uniti, prima era un loro grande amico".

Contro l'America

In una conversazione difficile (e non solo per ragioni di lingua) Iqbal non dice mai esplicitamente di stare dalla parte di bin Laden. Ripete più volte che dell'America lui non si fida, "perché ha sempre preso in giro noi musulmani". Non ne fa però una questione di religione, "anche tanti italiani non sono d'accordo con la politica degli Stati uniti". Fosse stato in Pakistan in queste settimane Iqbal non avrebbe manifestato contro Musharraf. "E' stato costretto a schierarsi con gli Stati Uniti, non poteva fare diversamente. La conseguenza è che nel mio paese potrebbe scoppiare la guerra civile". Critica l'Islam "troppo stretto e chiuso" dei taleban, per lui le donne devono poter studiare e lavorare "però divise, senza mescolarsi con gli uomini come succede qui da voi". Iqbal, che è emigrato nove anni fa, progetta di tornare per la prima volta in Pakistan prima del Ramadan. Ora che ha il permesso di soggiorno può viaggiare e ha scritto a sua madre di scegliergli una sposa di cui lui, al momento, non conosce neppure il nome. La sposa resterà per un anno in Pakistan, "poi quando avrò un lavoro sicuro la farò venire in Italia". La moglie di Iqbal non andrà a lavorare fuori casa e "quando gli amici suoneranno il campanello entreranno solo se ci sarò io".
Andrea Tortelli fa servizio civile all'Ufficio immigrati della Cgil. E' contro la guerra, come tutti gli immigrati che si rivolgono allo sportello, "ma su bin Laden sono in minoranza". Cerca di convicerli che "è un criminale reo confesso", ma non c'è niente da fare, "lo difendono come una bandiera, uno che con i suoi miliardi pensa ai poveri". Si impuntano, come Iqbal, sulle "prove che non ci sono", non hanno gioito per la strage, "anzi ne ho visto tanti davvero commossi", ma sono contrari alla politica degli Stati Uniti e percepiscono bin Laden come "l'unico che ad essa si oppone". E' così anche per i non musulmani, conferma Andrea, la religione non spiega tutto. "E' la divisione tra chi ha il potere e chi non ce l'ha, tra chi è ricco e chi è povero. Io obietto che mettere la causa dei poveri nelle mani di un miliardario terrorista non è una grande idea. Ma i miei argomenti non fanno breccia".

Dopo i bombardamenti

Ibrahima Diallo è convinto che sia stata la guerra a accendere i "sentimenti" filo bin Laden tra gli immigrati (non ne sono altrettanto sicura). Da quando sono cominciati i bombardamenti "la gente è cambiata da così a così". Subito dopo gli attentati, oltre al dolore per i morti, "c'era paura e preoccupazione per le conseguenze che ci sarebbero state contro noi immigrati, per la caccia al musulmano". La guerra ha cambiato tutto. Il "messaggio" di bin Laden era noto da tempo, prima però faceva presa solo su esigue minoranze. "Adesso trova rispondenza anche tra chi, fino a qualche settimana fa, ignorava persino l'esistenza di bin Laden". Più si allarga la guerra, più i musulmani e i poveri del mondo "si schiereranno spontaneamente con bin Laden o con chi prenderà il suo posto". Bin Laden, in questo senso, ha vinto la sua battaglia anche se lo prenderanno: "ha seminato la paura e l'angoscia in tutto l'occidente ed è divento un leader riconosciuto tra i musulmani".
Entra in ufficio un marocchino che in una fabbrica di Brescia ci ha rimesso la salute; intossicazione da piombo, deve fare la dialisi. E' uno di quelli che bin Laden non l'aveva mai sentito nominare. Dice che la "guerra non va bene, è pericolosa per tutti anche per noi che stiamo qui". Non difende l'uomo che dalla caverna ha dichiarato la guerra santa all'occidente, però da quella registrazione una cosa gli è rimasta impressa: "ha detto che i palestinesi hanno diritto a una loro terra e uno stato. E' una cosa giusta e l'America che ha tanto potere avrebbe dovuto risolvere da tempo il problema della Palestina".
In redazione a Milano troviamo una conferma a quel che abbiamo raccolto a Brescia. L'algerino che fa il pony express dice che bin Laden avrà pure i miliardi però "è troppo piccolo per aver fatto tutto questo. E poi quel giorno a New York 4 mila ebrei non si erano presentati al lavoro...". La fonte, questa volta, è un giornale algerino. Segue analogo tentativo per ricondurre alla ragione il nostro interlocutore che, allora, imbocca l'altra strada: "un vero musulmano non può averlo fatto". E all'obiezione che bin Laden, prima dell'11 settembre, aveva rivendicato altri attentati, la replica è "allora è un pazzo". Ma ci resta il forte dubbio che il nostro pony express abbia detto così per troncare il discorso e non esporsi oltre.
Alla disperazione per la guerra oggi aggiungiamo questo fardello di amarezza per i tanti che ci stanno vicini e che, all'improvviso, scopriamo lontani.

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