20 Ottobre 2001
 
 
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La galera al tempo del terrore
STATI UNITI Pestati, trasferiti di continuo, privati della difesa: la vita di 700 "arabi" arrestati dopo gli attentati
MARCO D'ERAMO - INVIATO A SAN FRANCISCO

Tra bombe sull'Afghanistan e spore di antrace, il mondo dimentica le 744 persone detenute nelle carceri americane dopo l'11 settembre, anche se per costoro le autorità sembrano aver gettato la chiave dopo aver chiuso la cella. Alcuni sono rinchiusi in quanto testimoni, altri per aver violato la legge sull'immigrazione, altri per imputazioni locali. Sempre più numerose si levano le proteeste contro le percosse, le angherie, la violazione di tutti i diritti civili, e gli ostacoli frapposti agli avvocati difensori.
In Mississippi, riporta il Los Angeles Times, uno studente pakistano di 20 anni è stato spogliato e percosso nella sua cella dagli altri prigionieri che gli hanno spaccato i denti, furiosi per gli attacchi alle Twin Towers, mentre i secondini stavano a guardare senza poi fornirgli assistenza medica. A New York, un numero imprecisato di detenuti è rinchiuso nel Metropolitan Correctional Center a Manhattan. Secondo gli avvocati, molti detenuti non hanno contatti con le famiglie: soprattutto, non esistono verbali dei reati di cui sono accusati. Sempre a New York, la procura indaga sulle violenze subite da un detenuto egiziano di cui un carceriere avrebbe abusato. Il consolato d'Israele ha protestato perché cinque israeliani in prigione sono stati bendati, ammanettati e costretti a sottoporsi alla macchina della verità. In Wisconsin, Illinois e Indiana, i funzionari dell'Immigration and Naturalization Service (Ins) di 26 carceri provinciali hanno bloccato visite degli avvocati e telefonate dei detenuti: secondo l'Ins, i carcerieri avevano "mal interpretato" le direttive. In Texas, a un saudita è stato negato l'avvocato, gli hanno tolto materasso, coperta e orologio impedirgli di dire le sue preghiere. In Florida un pakistano, Obaid Usmani, è stato arrestato all'alba dall'Fbi e interrogato sugli attacchi, perché il suo visto di studente era scaduto. In tempi normali sarebbe stato rilasciato su cauzione, invece è ancora rinchuso in cella con assassini e stupratori. Il cugino di Osmani, Farhat Kahn, devoto musulmano, per divieti religiosi non può mangiare quasi nulla del cibo che gli viene dato in prigione e ha già perso dieci chili, non può lavarsi e viene angariato quando prega.
La maggioranza è in prigione per violazione della lege sull'immigrazione, per visto scaduto, per visto turistico usato invece per lavorare, per documenti falsi. Sono pochissimi i casi effettivamente connessi al terrorismo. Perciò quasi tutti avrebbero dovuto essere già liberi su cauzione o sulla parola. Invece, come scrive il Wall Street Journa, "un alone di segreto avvolge queste detenzioni": l'Fbi si rifiuta di comunicare persino il numero esatto dei detenuti attuali.
A protestare più forte sono gli avvocati. Un panettiere siriano che vive a Jersey City è stato imprigionato dal 15 settembre per essere rimasto negli Usa dopo che il visto era scaduto da 19 giorni, un reato minore per cui dovrebbe essere già stato rilasciato. "Sua moglie è al nono mese - ha detto al LA Times il suo avvocato - e ha una figlia di un anno che è nata qui (e quindi è cittadina Usa), e lei non ha nessuno tranne lui, non sa nemmeno come andare all'ospedale per partorire".
Qui in California la voce più ascoltata, e più richiesta dalle tv, è quella dell'avvocato Randall Hamud, un ex consulente del gigante petrolifero Atlantic Richfield che ha aperto un suo studio a San Diego e ora difende dieci dei 700 prigionieri. Hamud è nipote di immigrati libanesi, è musulmano, anche se parla solo inglese e spagnolo e non conosce l'arabo: "Non penso che una democrazia possa tollerare arresti di massa e processi a porte chiuse. Il governo ha sguinzagliato i cani della repressione contro arabi e chiunque sia di fede islamica", dice Hamu.
E in effetti i giudici continuano a negare la libertà provvisoria, processano a porte chiuse, sigillano i documenti. Le procure rifiutano di rendere pubblico ciò che succede in tribunali e prigioni. Gli avvocati non sanno cosa accade ai loro clienti, spesso non sanno neanche dove sono rinchiusi. I funzionari federali dicono che stanno investigando sugli abusi e ammettono che in alcuni casi sono stati "commessi errori". Invece il ministro della giustizia John Ashcroft ha negato gli abusi: "Rispetteremo la legge e i diritti costituzionali e puniremo chiunque li violerà". A dimostrazione dell'imparzialità federale, secondo Ashcroft sono state avviate 170 indagini per "crimini dell'odio", cioè omicidi, minacce di morte, incendi, distruzione di moschee.
Ma un avvocato del Kentucky, Dennis Clare, racconta la storia di 40 mauritani rifugiatisi negli Usa per sfuggire alla brutalità della propria polizia e arrestati in blocco vicino a Cincinnati il 25 settembre, per irregolarità nei visti, due soli giorni dopo essere arrivati negli Usa. Le autorità erano insospettite perché tra loro c'era un pilota d'aereo. Poi 37 sono stati liberati. L'avvocato Clare difende gli altri tre, ma non ha ancora potuto incontrarli perché i detenuti - che non parlano inglese - vengono spostati da prigione in prigione, dall'Indiana, al Kentucky, al Tennessee, alla Louisiana.
Gli arresti indiscriminati hanno già provocato un incidente diplomatico: fermati per schiamazzi nella notte del 15 settembre all'aeroporto di Denver, Colorado, due sauditi, Sani (28 anni) e Sattan (23 anni) Alshaalan sono stati quindi trasferiti nelle prigioni dell'Ins per aver violato i termini dei propri visti di studenti. Lì sono stati interrogati dall'Fbi, finché sono intervenuti gli avvocati che li hanno fatti liberare dopo ben 25 giorni, quando l'Fbi si è accorto di aver arrestato due membri della famiglia reale saudita.
Certo è che dopo l'11 settembre gli Stati uniti si stanno interrogando sulla propria politica migratoria. Per decenni hanno spalancato le proprie frontiere e lasciato entrare 30 milioni di immigrati (di cui 5 milioni clandestini), allo specifico scopo di per tenere basso il costo del lavoro e neutralizzare i sindacati. Ora questa strategia è diventata un problema. Ma invertire rotta può a medio termine aumentare il costo del lavoro, prospettiva indesiderabile per il padronato.
C'è poi uno specifico risvolto mediorientale. Può darsi che l'ondata di ostilità verso gli arabi non arrivi al livello di quella scatenatasi contro gli immigrati giapponesi dopo Pearl Harbour, quando furono internati 7.000 nipponici. Certo però che si sta diffondendo se non un'aperta ostilità, almeno una generale difidenza, un sospetto nei confronti di chiunque abbia lineamenti mediorientali. E' vero quel che dice l'avvocato Hamud - peraltro grande ammiratore del generale Patton e adamantino fautore della guerra in Afghanistan: "Questo paese non impara mai dalla propria storia. Quando noi discriminiamo alcune precise minoranze, poi passiamo i cento anni successivi a scusarci".

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