31 Agosto 2001
 
 
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Tratta in alto mare
L'Australia dice ancora no ai profughi della Tampa. E per liberarsene offre soldi a Giakarta
SIMONA MANNA


Quanto valgono 460 profughi? Dovremmo chiederlo all'Australia che, pur di levare questo fastidioso bastone dalle ruote che la stanno portando dritta alle elezioni, è disposta a pagare Giakarta perché accolga lei gli immigrati. Ma a questo "commercio di clandestini" l'Indonesia non ci sta e in compenso tira fuori i cannoni. Li userà se il cargo Tampa, che per ora è ancora fermo nelle acque australiane dell'isola Christmas, dovesse comparire all'orizzonte indonesiano.
Sono stati tanti, anche ieri, i colpi di scena su questa tragica situazione che vede 460 immigrati afgani, cingalesi e indonesiani bloccati in pieno oceano da cinque giorni. Ma il must di effetti speciali lo ha dato il premier australiano John Howard, che ha spiegato forze militari, tirato fuori il portafogli, incrinato il rapporto con l'Indonesia, cercato unescamotage giuridico e chiesto aiuto a Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni unite. Tutto per un unico obiettivo: portare il cargo Tampa fuori dalle acque territoriali. Il premier australiano Howard ha rafforzare il presidio militare delle forze speciali dell'aviazione (Sas) sul cargo. I militari hanno l'obbligo di controllare che nessun profugo si avvicini ai bordi della nave, per evitare che gli immigrati possano buttarsi in mare vedendo dirottare la nave verso il porto da cui sono partiti. In queste condizioni, la situazione a bordo diventa ogni minuto più drammatica. I profughi, che ora sembrano essere 460 e non 434 come si pensava all'inizio, hanno bloccato lo sciopero della fame, essendo già in grave condizione di salute. In più possono scordarsi l'assistenza medica, che era stata la prima risposta-placebo dell'Australia al problema, perché i medici a bordo si rifiutano di visitare sinché la nave si troverà in acque australiane.
Inutile l'appello dell'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Mary Robinson, che ha chiesto al governo di Canberra di consentire al Tampa di attraccare nel porto più vicino, nel rispetto della convenzione sugli immigrati delle Nazioni unite. Il premier Howard ha dimostrato di volerla ignorare, questa convenzione, proponendo in fretta e furia al Senato una legge incompatibile con i propositi dell'Onu. Legge che, per grande sollievo della Norvegia, non è stata approvata. Ma il primo ministro Howard non demorde. Insiste affinché l'Indonesia, da cui erano partiti i profughi, si faccia carico della Tampa, allungando un assegno per indorare la pillola. John Howard ha troppa paura di deludere gli australiani, pronti a penalizzare nel prossimo voto di dicembre un governo troppo "morbido" nei confronti dell'immigrazione clandestina. E così dice "il governo è pronto a intervenire con la forza, se sarà necessario. L'interesse nazionale ci impone di difendere i nostri confini".
Se i paesi direttamente coinvolti fanno marcia indietro guardando ai propri interessi, c'è anche chi si preoccupa dell'interesse dei profughi e si fa avanti per apportare un aiuto, anche piccolo. Il primo ministro della Nuova Zelanda Helen Clark ha manifestato la possibilità di aiutare l'Australia a soccorrere i profughi, anche se con modeste risorse: il numero di immigrati sul cargo Tampa equivale alla quota di rifugiati accolti annualmente dal paese. Offerte d'aiuto anche da Timor Est, che, chissà se casualmente, proprio ieri vedeva l'inizio delle elezioni generali, e dalla Norvegia.
Il segretario generale Onu Kofi Annan, chiamato in aiuto dal premier Howard, non si è ancora espresso sul "caso Tampa". Ma il commissariato Onu sui diritti umani e quello per i rifugiati (Achnur) dichiarano preoccupanti le condizioni dei profughi, che vivono in condizioni critiche e privati di un loro diritto sancito da una convenzione internazionale: chiedere asilo politico. "L'Achnur non vuole vedere attuata alcuna misura che capovolgesse la tradizione umanitaria contro il respingimento in mare", dice Jean Marie Fakhour, direttore dell'Achnur per l'Asia e il Pacifico. "Negli anni '70 e '80 l'Australia prese parte agli sforzi internazionali per soccorrere i boat people indocinesi e combattere contro il respingimento in mare messo in atto da altri paesi". Come suonano strane queste parole, oggi.

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