Tratta in alto mare
L'Australia dice ancora no ai profughi della Tampa. E per
liberarsene offre soldi a Giakarta
SIMONA MANNA
Quanto valgono 460 profughi? Dovremmo chiederlo all'Australia che,
pur di levare questo fastidioso bastone dalle ruote che la stanno
portando dritta alle elezioni, è disposta a pagare Giakarta
perché accolga lei gli immigrati. Ma a questo "commercio di
clandestini" l'Indonesia non ci sta e in compenso tira fuori i
cannoni. Li userà se il cargo Tampa, che per ora è ancora
fermo nelle acque australiane dell'isola Christmas, dovesse
comparire all'orizzonte indonesiano.
Sono stati tanti, anche ieri, i colpi di scena su questa tragica
situazione che vede 460 immigrati afgani, cingalesi e indonesiani
bloccati in pieno oceano da cinque giorni. Ma il must di
effetti speciali lo ha dato il premier australiano John Howard,
che ha spiegato forze militari, tirato fuori il portafogli,
incrinato il rapporto con l'Indonesia, cercato
unescamotage giuridico e chiesto aiuto a Kofi Annan,
segretario generale delle Nazioni unite. Tutto per un unico
obiettivo: portare il cargo Tampa fuori dalle acque
territoriali. Il premier australiano Howard ha rafforzare il
presidio militare delle forze speciali dell'aviazione (Sas) sul
cargo. I militari hanno l'obbligo di controllare che nessun
profugo si avvicini ai bordi della nave, per evitare che gli
immigrati possano buttarsi in mare vedendo dirottare la nave
verso il porto da cui sono partiti. In queste condizioni, la
situazione a bordo diventa ogni minuto più drammatica. I
profughi, che ora sembrano essere 460 e non 434 come si pensava
all'inizio, hanno bloccato lo sciopero della fame, essendo già in
grave condizione di salute. In più possono scordarsi l'assistenza
medica, che era stata la prima risposta-placebo dell'Australia al
problema, perché i medici a bordo si rifiutano di visitare sinché
la nave si troverà in acque australiane.
Inutile l'appello dell'Alto commissario dell'Onu per i diritti
umani, Mary Robinson, che ha chiesto al governo di Canberra di
consentire al Tampa di attraccare nel porto più vicino,
nel rispetto della convenzione sugli immigrati delle Nazioni
unite. Il premier Howard ha dimostrato di volerla ignorare,
questa convenzione, proponendo in fretta e furia al Senato una
legge incompatibile con i propositi dell'Onu. Legge che, per
grande sollievo della Norvegia, non è stata approvata. Ma il
primo ministro Howard non demorde. Insiste affinché l'Indonesia,
da cui erano partiti i profughi, si faccia carico della
Tampa, allungando un assegno per indorare la pillola.
John Howard ha troppa paura di deludere gli australiani, pronti a
penalizzare nel prossimo voto di dicembre un governo troppo
"morbido" nei confronti dell'immigrazione clandestina. E così
dice "il governo è pronto a intervenire con la forza, se sarà
necessario. L'interesse nazionale ci impone di difendere i nostri
confini".
Se i paesi direttamente coinvolti fanno marcia indietro guardando
ai propri interessi, c'è anche chi si preoccupa dell'interesse
dei profughi e si fa avanti per apportare un aiuto, anche
piccolo. Il primo ministro della Nuova Zelanda Helen Clark ha
manifestato la possibilità di aiutare l'Australia a soccorrere i
profughi, anche se con modeste risorse: il numero di immigrati
sul cargo Tampa equivale alla quota di rifugiati accolti
annualmente dal paese. Offerte d'aiuto anche da Timor Est, che,
chissà se casualmente, proprio ieri vedeva l'inizio delle
elezioni generali, e dalla Norvegia.
Il segretario generale Onu Kofi Annan, chiamato in aiuto dal
premier Howard, non si è ancora espresso sul "caso Tampa". Ma il
commissariato Onu sui diritti umani e quello per i rifugiati
(Achnur) dichiarano preoccupanti le condizioni dei profughi, che
vivono in condizioni critiche e privati di un loro diritto
sancito da una convenzione internazionale: chiedere asilo
politico. "L'Achnur non vuole vedere attuata alcuna misura che
capovolgesse la tradizione umanitaria contro il respingimento in
mare", dice Jean Marie Fakhour, direttore dell'Achnur per l'Asia
e il Pacifico. "Negli anni '70 e '80 l'Australia prese parte agli
sforzi internazionali per soccorrere i boat people
indocinesi e combattere contro il respingimento in mare messo in
atto da altri paesi". Come suonano strane queste parole, oggi.
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