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il manifesto - 03 Luglio 2003 SOCIETĄ pagina 09
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pag.08

Cosa cerca chi ha voluto il black out?
GUGLIELMO RAGOZZINO
 
IN BREVE
Giovanardi e l'uranio
 
Arrivano gli Ogm. Con l'etichetta
TIZIANA BARRUCI
 
TERRA TERRA
Se la Colombia fuma Monsanto
MARINA FORTI
 

pag.09

L'Italia dei profughi sospesi
MASSIMO GIANNETTI
BARI
 
MIGRANTI
Deportazioni australiane
 
175 milioni di persone in movimento
CINZIA GUBBINI
ROMA
 
 

taglio basso

175 milioni di persone in movimento
Presentato il rapporto sulle migrazioni 2003: la prossima frontiera è la gestione
Il numero dei migranti in trent'anni è raddoppiato, ma sono solo il 3% della popolazione mondiale. Permangono le difficoltà politiche ad accettare il fenomeno

CINZIA GUBBINI
ROMA
Se tutti i migranti decidessero di creare uno stato a sé, darebbero vita al quinto paese più grande del mondo. Una persona su trentacinque, al mondo, è migrante. Sono alcuni esempi che emergono dal Rapporto mondiale sulle migrazioni 2003, presentato a Roma dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim): 396 pagine - complete di mappe statistiche e tavole - che cercano di disegnare le nuove tendenze della mobilità delle persone. Ancora: sono 175 milioni i migranti nel mondo, il 48% è donna. Cifre enormi? Affatto: rappresentano solo il 2,9% della popolazione mondiale. Ciò non toglie che, dal 1975 a oggi, la popolazione dei migranti sia raddoppiata. Il Rapporto dell'Oim cerca di focalizzare alcuni punti: dove emigrano le persone e perché? Quali sono le principali questioni che i governanti si trovano ad affrontare? Rispondere alla prima domanda è abbastanza semplice, nonostante la comparabilità dei dati crei alcune difficoltà: le mete privilegiate di immigrazione sono gli Stati uniti (35 milioni), la Russia (13,5 milioni), l'Unione europea (19 milioni, 6 dei quali comunitari). Seguono: Arabia saudita (3,4 milioni), India (3,3 milioni). La motivazione per cui si decide di lasciare il proprio paese è prevalentemente economica: le persone cercano di conquistare uno standard di vita migliore. Un'osservazione scontata, che però rimanda a un «villaggio globale» in cui la liberalizzazione dei commerci e dei servizi incoraggia anche la mobilità dei lavoratori, in virtù di una disuguaglianza plateale tra la condizione dei paesi ricchi e quella dei paesi poveri. Spulciando nel Rapporto emergono dati eloquenti, su quest'ultimo aspetto: a livello mondiale, il totale delle rimesse ammonta a circa 100 miliardi di dollari nel 1999 - tenendo conto dei canali non ufficiali - di cui più del 60% indirizzati proprio ai paesi in via di sviluppo, per i quali è una fonte di reddito che supera di molto gli aiuti ufficiali allo sviluppo.

Gestire i flussi, chiede l'Oim: con un'ottica «multidimensionale» che - assumendo l'impossibilità di fermare le migrazioni - studi strategie comuni per avviare «un movimento ordinato di persone in una società globalizzata sempre più incline alla mobilità». Un invito molto razionale, che prende atto di alcune evidenze: se i paesi impoveriti hanno bisogno delle migrazioni (vedi le rimesse), i paesi ricchi chiedono lavoratori, sempre più specializzati. Ad aver accolto nel 1999 il più alto numero di lavoratori specializzati sono stati gli Stati uniti, il Giappone e il Canada. Un fenomeno che oltretutto ha ricadute negative sui paesi in via di sviluppo: le rimesse sono notevoli ma, soprattutto in Africa, c'è anche una sempre più grave «fuga di cervelli» che impoverisce quei paesi. C'è dunque una convergenza di interessi nel ciclo delle migrazioni: perché allora tanti ostacoli a una gestione dei flussi migratori?

Il motivo era possibile percepirlo proprio durante la presentazione del Rapporto, in cui si sono confrontati due modi molto diversi di guardare al fenomeno delle migrazioni. Da un lato, il sottosegretario agli esteri Margherita Boniver; accanto a lei, don Graziano Battistella, dello Scalabrini international migration institute. Per una la parola «gestione» non era adatta: meglio governare. Neanche l'altro era soddisfatto del termine: meglio guidare, perché non può esservi controllo nella migrazione. Secondo l'onorevole Boniver è necessario favorire gli ingressi regolari «per soddisfare il mercato», d'altro canto occorre prevenire e contrastare i flussi irregolari per «motivi di sicurezza e di ordine pubblico». Battistella ha ricordato che se nell'86 eranno 33 i paesi intenzionati a ridurre l'immigrazione, nel 2001 se ne contano 78, con un crescente accento sui problemi della sicurezza. A suo avviso, invece, non ha senso separare le migrazioni regolari da quelle irregolari, visto che per entrambe «cause ultime, inserimento occupazionale espesso intermediari sono gli stessi». In nuce, le distanze che dividono due mondi: uno - quello delle istituzioni che adesso ha imparato a chiamare l'immigrato «una risorsa» - incapace di stare al passo degli avanzamenti culturali proposti dal secondo, più a contatto con la realtà delle migrazioni e, soprattutto, sganciato da interessi politici nazionali. A sottolineare la distorsione con cui le istituzioni guardano al proprio operato nel campo delle migrazioni, un lapsus che ha visto protagonista proprio Boniver. Il giorno della presentazione del Rapporto si celebrava l'entrata in vigore - grazie alla ratifica di 22 paesi, tutti «di provenienza» dell'emigrazione - della «Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti». Il sottosegretario era convintissimo che anche l'Italia avesse firmato, invece no. Le istituzioni hanno imparato a dire «risorsa» e che le migrazioni sono «strutturali», ma faticano a riconoscerne la legittimità.


 
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