Tempio
contro
tempio
Hindu contro musulmani. Infuria in India una guerra
di religione che ha già ucciso 538 persone. Un treno di
pellegrini
in fiamme, moschee incendiate, uccisioni. E la ferita aperta
della moschea di Babri, distrutta nel `92 perché eretta sulle
macerie
del tempio di Rama. Che gli hindu intendono ricostruire il 15
marzo
MARCO D'ERAMO
Da mercoledì scorso, nello stato indiano del Gujarat sono morte
538 persone in disordini di carattere religioso. Nella città di
Ahmedabad (3,5 milioni di abitanti), al grido "Figli di Babur
andatevene in Pakistan!", folle inferocite di hindu hanno
incendiato più di 26 moschee, di cui poi hanno "purificato" il
terreno lasciando dietro di sé statue del dio scimmia Hanuman.
Gli hindu si sono vendicati con il fuoco dei 58 pellegrini morti
in un treno incendiato mercoledì scorso da musulmani, nella
stazione di Godha. La furia ha investito sia Ahmedabad, sia
cittadine e villaggi della provincia. A Dedhar quattro musulmani
sono stati bruciati vivi. A Sardapur una folla di 4.500 hindu ha
ucciso 28 musulmani. In un solo rogo, in un edificio di cemento
in cui si erano rifugiate famiglie musulmane in fuga dalle loro
capanne, sono morti sei bambini, 15 donne e 5 uomini.
Ma tra dieci giorni, il 15 marzo, esattamente alle ore 14.30 (ora
locale), questo bagno di sangue rischierà di apparire una
bazzecola. E' quel preciso momento infatti che gli astrologi
hanno indicato come il più propizio per cominciare a costruire un
tempio a Rama nella cittadina di Ayodhya (in Uttar Pradesh), sul
terreno dove fino al 6 dicembre 1992 sorgeva la moschea Babri
Masjid, costruita nel 1526 dal conquistatore Moghul Babur il
Grande (1526-1530). Gli hindu morti nel rogo del treno che ha
scatenato i disordini di questi giorni tornavano proprio da un
pellegrinaggio ad Ayodhya.
Da sei mesi, dall'11 settembre, siamo stati bombardati da un tale
profluvio di messaggi sul fondamentalismo islamico (taleban, al
Qaeda, wahabismo, deobandismo, blabla...), da non accorgerci che
in giro per il mondo vi sono altri fondamentalismi,
potenzialmente altrettanto, se non più, esplosivi. L'integralismo
hindu è uno di questi. (Ma una volta o l'altra bisognerà pur
gettare uno sguardo su quello cristiano, in particolare quello
protestante Usa, che fornisce il blocco elettorale che ha mandato
alla Casa bianca Bush il giovane, il prode cow-boy che sfida
l'integralismo islamico: ma quest'esplorazione Oipaz la
rimanda a un prossimo appuntamento).
Il 6 dicembre 1992 infatti, i massimi leader del partito che
guida il governo dell'Unione Indiana, il Bjp (Bharatiya Janata
Party), l'attuale ministro dell'interno L. K. Advani e il
ministro dell'istruzione Murli Manohar Joshi, guidarono una
"marcia su Ayodhya" alla testa di una folla di integralisti hindu
che rase al suolo la moschea di Babri perché, secondo loro, era
stata costruita distruggendo un precedente tempio a Rama (che è
una delle incarnazioni del dio Visnu), anzi nel preciso luogo di
nascita di Rama, anche se gli storici non confermano l'esistenza
di un precedente tempio. Gli hindu chiamano quest'area Ram
Janmahaboomi (Luogo di nascita di Rama). Delle forze dell'ordine
che con occhio benevolo tollerarono questa distruzione, il
romanziere Salman Rushdie scrisse: "Guardavano distaccate le
forze della storia che cancellavano la storia". Alla distruzione
della moschea seguirono disordini e scontri religiosi in cui
perirono circa 3.000 persone. I disordini più gravi avvennero nel
febbraio 1993 a Bombay dove vi furono 800 morti, con la polizia
che stava a guardare i pogrom contro i musulmani.
Babri Masjid è perciò un nome che non ha bisogno di essere
spiegato in India. E il 6 dicembre 1992 segna un tornante nella
vita politica indiana, ultimo retaggio avvelenato della
Partition, della divisione operata dalla potenza
coloniale inglese alla mezzanotte del 15 agosto 1947, al momento
di concedere l'indipendenza al suo ex impero: gli inglesi
avallarono la separazione dell'India a maggioranza hindu dal
Pakistan a maggioranza islamica (che allora comprendeva anche
l'attuale Bangladesh, il Bengala orientale). Seguì un esodo
incrociato di massa, con gli hindu che fuggivano il Pakistan dove
avevano vissuto per secoli, e i musulmani che fuggivano l'India
dove avevano abitato per centinaia di anni. Nei massacri di
"pulizia religiosa" da una parte e dall'altra morirono più di un
milione di persone, mentre decine di altri milioni perdevano la
casa e ogni avere. All'origine delle due nazioni, India e
Pakistan vi è perciò un bagno di sangue: in questo senso gli
attuali indiani e pakistani sono "i figli di mezzanotte".
Ma mentre in Pakistan l'impronta religiosa fu subito visibile e
dominante, in India, con la dinastia dei Nehru prevalse una
concezione laica, secolare dello stato indiano, anche perché in
India vivono 130 milioni di musulmani che ne fanno, dopo
Indonesia e Pakistan, il terzo stato islamico del mondo in ordine
di popolazione. Con gli anni però e con le leggi d'emergenza, il
potere dinastico dei Nehru subì un'usura che - paradossalmente -
fu frenata solo dall'omicidio d'Indira Gandhi (figlia di Jawarhal
Nehru), uccisa nel 1984 da sue due guardie del corpo sikh (cui
seguì nelle città indiane una terribile caccia al sikh). Rajiv
Gandhi fu così portato al potere da un risorgere de nazionalismo
hindu e il partito del Congress (I) cercò di giocare la carta
degli opposti integralismi, quando la questione di Ayodhya fu
riaperta nel 1986 dal partito Bjp e dai due più forti movimenti
del fondamentalismo hindu, il Viswha Hindu Parishad (Vhp) e le
Rss (Rashtriya Swayamsevak Sangh, o "volontari della nazione",
che stanno al Bjp come le Sa stavano al partito nazista in
Germania). La bega di Ayodhya non era infatti una novità, e la
causa per il possesso del terreno di Babri Masjid (o
Janmahaboomi) si trascinava almeno da una cinquantina d'anni nei
tribunali indiani. Ma ha acquistato impulso solo negli anni '80,
in parte anche come reazione al risveglio dell'integralismo nel
mondo islamico, non solo nell'Iran di Khomeiny, ma anche nel
Pakistan del dittatore Zia Ul Haq.
Certo è che dal 1945 al 1992 il tema Ayodhya spinse sempre più su
le fortune elettorali del Bjp che passò dal 7,4 % dei voti e dai
2 seggi del 1984 all'11,5% dei voti e agli 86 seggi nel 1989 fino
al 20,1% dei voti e i 120 seggi del 1991 - fino alla maggioranza
relativa nel `96. La causa di Rama ha portato molti voti al Bjp,
così non stupisce che nelle sedute del parlamento, quando devono
esprimere il proprio voto favorevole, i deputati Bjp non dicono
"sì" come i loro colleghi, ma esclamano "Jai Sri ram", "Vittoria
a Rama".
Ma oggi, dieci anni dopo la distruzione di Ayodhya, e al governo
dal 1998, il Bjp è in difficoltà. Le ultime elezioni statali gli
sono andate male, in particolare in Uttar Pradesh che è non solo
lo stato di Ayodhya, ma con i suoi 160 milioni di abitanti è
anche il più grande stato dell'Unione, il centro di gravità
dell'hindi belt nella pianura del Gange. Perciò la
posizione del Bjp è ora più vulnerabile rispetto ai suoi partners
centristi nella coalizione di governo. In particolare in un
momento di tensione con il Pakistan e quando il Bjp vuole
mostrarsi all'opinione pubblica mondiale (e in particolare
all'amministrazione statunitense) come un partito di governo
responsabile, moderato, favorevole all'apertura dei mercati,
affidabile nella "lotta al terrorismo".
Ma nello stesso tempo il Bjp non può tradire le aspettative del
suo zoccolo duro, proprio perché indebolito e ormai molto più
"istituzione " che "movimento" (con un'evoluzione anche in questo
tanto simile alla Lega lombarda). Tanto più che nel Bjp le
milizie delle Rss e il Vhp hanno un'influenza che può essere
paragonata solo a quella che la Christian Coalition (gli
ultraconservatori protestanti) ha sul partito repubblicano di
Bush.
Il problema per il Bjp con l'ala dura della sua base è che fino a
oggi non ha attuato nessuno dei suoi tre obiettivi politici
principali reiterati in ogni campagna: 1) la costruzione del
tempio di Ayodhya; 2) l'abrogazione dell'articolo 370 della
costituzione che regola l'accesso dello stato del Kashmir
nell'Unione indiana (concedendogli un'ampia autonomia
amministrativa e politica); 3) il mandato costituzionale per
riscrivere il codice civile in versione hindu. per questa
ragione che l'anno scorso, durante la grande festività del Kumbh
Mela (in cui 70 milioni di pellegrini si bagnano nella confluenza
dei tre fiumi sacri, il Gange, la Jamuna e il Saraswati,
quest'ultimo essendo solo mitico e sotterraneo) il premier Atal
Behari Vajpayee disse che "la costruzione del tempio esprime un
sentimento nazionale indiano che rimane ancora irrealizzato" e
stabilì per la posa della prima pietra la data limite del 12
marzo 2002, giorno della festività di Sivaratri (data poi
spostata al 15 marzo per ragioni astrologiche).
Nel frattempo già da anni scalpellini e manovali forgiano le
centinaia di colonne e scolpiscono le decorazioni del futuro
tempio. Di fronte alla tensione che saliva tra hindu e musulmani
a causa del progetto di costruzione del tempio, per tutto
l'ultimo anno il Bjp "ha corso con la lepre, e cacciato con i
cani", scrive il quindicinale Frontline. Ma ora, dopo i
massacri dei giorni la situazione si fa più delicata. Mentre ad
Ayodhya il Viswha Hindu Parishad va avanti con il programma di
shila pujan (consacrazione di ogni pietra scolpita che
sarà usata per il tempio), la polizia dell'Uttar Pradesh ha
allontanato le decine di migliaia di kar sevak
(volontari) che erano confluiti in città. Le consultazioni
per un rinvio della posa della prima pietra i stanno facendo
frenetiche, anche perché non tutte le organizzazioni hindu sono
d'accordo nello scatenare i conflitti religiosi. Per esempio la
All India Akhara Parishad ha comunicato di essere contraria a
ogni politicizzazione del tempio di Ram Janmabhoomi. Il potente
ministro della difesa George Fernandes del Samata Party ha
minacciato di ritirarsi dalla coalizione se l'edificazione del
tempio andrà avanti. Ma le Rss e il Vhp tirano innanzi con i
rituali preparatori e con la yagna (che non so cosa
sia).
P.S. Non capire capita spesso con l'inglese indiano, che
è talmente frammentato da termini locali da essere quasi un
inglese a parte. Ecco per esempio una frase di un articolo
dell'ultima versione di Frontline: "A Dighauri, Sonia
Gandhi è stata benedetta dalle Shankaracharyas di Dwarakapeeth,
Puri e Kanchi. Ha eseguito un Rudrabhishek di 40 minuti tra cori
di mantra nell'appena consacrato tempio di Ratheshwar dove un
Sivalinga era stato installato".
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