11 Dicembre 2001
 
 
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Denunciato Ashcroft
DIRITTI Le accuse di Amnesty, Human Right e "The Nation"
CAMILLA LAI

Il 5 dicembre scorso 15 associazioni per la difesa dei diritti umani - tra cui la sezione americana di Amnesty international, Human Rights Watch e la rivista The Nation - hanno citato in giudizio il Dipartimento della giustizia Usa, a cui fa capo anche il Servizio per l'immigrazione e la naturalizzazione (Ins) per aver violato la legge sulla libertà di informazione e il primo articolo della costituzione. La "terra della libertà", i cui cittadini si vantano di essere l'unico paese al mondo dove tutto ciò che non è espressamente proibito dalla legge è permesso, sembra avere qualche problema con i diritti umani, violati dai suoi stessi tutori dell'ordine.
A seguito degli attentati dell'11 settembre contro le Twin Towers e il Pentagono, il direttore dell'Fbi il 25 ottobre annunciava raggiante che oltre mille persone erano state arrestate o fermate nel paese "per attività investigative legate agli attentati". Ieri, i detenuti erano ancora in attesa di giudizio o, peggio, di capi di imputazione.
La denuncia presentata dalle associazioni - ieri Amnesty International con un documento internazionale ha ricordato il diritto disatteso dei profughi afghani in fuga dalla guerra e quello dei detenuti dopo l'11 settembre, i cui diritti "sono a rischio" negli Usa e in Gran Bretagna - non entra nel merito delle indagini condotte dal governo americano. Ma afferma che agire contro la costituzione, rifiutando di comunicare al pubblico informazioni essenziali sul detenuti, mette in crisi il sistema democratico su cui si fonda il paese. "Ci servono prove che la segretezza non venga usata come scusa per violare i diritti umani. Non bastano le dichiarazioni di Mr. Ashcroft che afferma che si sta agendo nel rispetto della costituzione", ha dichiarato Kate Martin, che dirige il Centro di studi per la sicurezza nazionale.
Il Centro di studi per la sicurezza nazionale (che protegge le libertà civili da 25 anni), l'Unione delle libertà civili americana (fondata nel 1920), il Centro di informazione per la riservatezza elettronica, il Comitato per la discriminazione contro gli arabo-americani, la Fondazione sulla legge per l'immigrazione, il Centro per i diritti costituzionali e per la Democrazia e la tecnologia, il Comitato dei cronisti per la libertà di stampa (e altri) hanno cominciato a chiedere informazioni sui detenuti il 29 ottobre, seguendo la normale procedura. Lettere, attese, nessuna risposta.
Nella richiesta si precisava che "le informazioni erano necessarie per informare il pubblico sulla legittimità dell'attività del governo e che rappresentavano vitale interesse mediatico per garantire l'integrità del dipartimento di giustizia". Ma nonostante il regolamento preveda un massimo di 20 giorni lavorativi per soddisfare le richieste, non si è avuta nessuna risposta. Solo a fine novembre, a seguito di pressanti richieste di alcuni membri del Congresso, alcune informazioni sono diventate di dominio pubbliche, ma tutte parziali e frammentarie.
Non è rimasta altra strada che agire per vie legali. Gli avvocati David Sobel, Arthur Spitzer, Kate Martin, Steven Shapiro, Lucas Guttentag ed Elliot Mincberg, a nome delle associazioni che rappresentano, chiedono che la corte distrettuale dello stato di Columbia obblighi formalmente il Dipartimento della giustizia ad agire in conformità al primo articolo della costituzione americana e alla legge sulla libertà di informazione, e risponda alle loro richieste "in modo esaustivo e in tempo ragionevole".
La questione ha assunto proporzioni talmente gigantesche che sembra che si abbia a che fare con fascicoli della Cia o dell'Fbi assolutamente riservati, la cui divulgazione potrebbe diminuire se non annullare il risultato di indagini fondamentali per la sicurezza nazionale. Non è così: si chiede che vengano rese note le identità degli imputati - magari per darne comunicazione ai familiari -, i luoghi dove sono detenuti, le circostanze degli arresti e i capi di imputazione a loro carico, l'identità degli avvocati che li rappresentano - nella speranza che ce ne siano -, i tribunali competenti e il mandato in base a cui le autorità governative hanno deciso di mantenere segrete le indagini. Sarà una battaglia, questa sì, per una libertà duratura.

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