13 Ottobre 2001
 
 
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L'orgoglio ferito dei musulmani
Preghiera affollata alla grande moschea di Roma. Qui non si sentiamo proclami di guerra ma i commenti amareggiati dei fedeli: la stampa occidentale non distingue tra islam e terrorismo. "Se ci fosse la pace in Palestina non ci sarebbe tutto questo". "I bimbi afghani non hanno bisogno del dollaro dei bambini americani, ma di pace" MARINA FORTI - ROMA

Non è alla grande moschea di Roma che sentiremo proclami infiammatori o appelli a prendere le armi. Non certo dai religiosi responsabili del maggiore luogo di culto musulmano in Italia: anzi, l'Imam ieri ha scelto per la sua predica di metà giornata una sura del Corano che parla dell'importanza di conoscersi e comprendersi tra religioni diverse. Ma neppure tra i fedeli che ieri hanno affollato la grande moschea sentiamo appelli alla guerra. Sentiamo amarezza, rabbia, questa sì: persone offese di sentirsi descritte come "terroristi", e perché quelle bombe che cadono sui poveri afghani suscitano un senso di ingiustizia...
Dopo la preghiera delle 13,30, la più affollata, il mercatino che compare ogni venerdì sul viale della Moschea si riempie. Chiedere un'opinione significa suscitare un capannello (e di giornalisti che fanno domande ce ne sono parecchi). "Il problema è che la stampa occidentale non distingue, fa di terrorismo e islam la stessa cosa", sbotta Mohamad, che è tunisino e a Roma fa il cuoco: "L'occidente fa la guerra a noi musulmani tout court, come civiltà. Dobbiamo tornare a parlare delle crociate?".
Ci spostiamo per chiedere l'opinione di un signore che si presenta come Saf, è di origine palestinese e fa il commerciante: "Ho un profondo dispiacere per quello che è successo negli Stati uniti. E' molto grave. Ma dobbiamo meditare: l'ingiustizia porta a sfoghi violenti. La sofferenza del mondo arabo, soprattutto dei palestinesi e degli iracheni, produce atti disperati". Non lo dice per giustificare il terrorismo, precisa, ma "dobbiamo sapere perché succede: gli Usa hanno sempre addossato ai palestinesi la colpa di non volere la pace. Ma sono gli israeliani che hanno le armi". Mohamad rincara: "Il più forte è rispettato, questa è la logica del mondo. L'israeliano che è andato a sparare alla moschea di Hebron hanno detto che era un pazzo, non un terrorista".
"Non è un problema di religione, è politico. Se c'era la pace tra Israele e Palestina tutto questo non succedeva", dice uno giovane (niente nomi). Un compagno rincara: "Ci dispiace perché non è giusto ammazzare gente innocente", e si riferisce alle seimila persone perite nelle Twin Towers di New York: "Ma il problema è la pace. Gli americani parlano tanto di diritti umani ma cosa dicono dei palestinesi che muoiono ogni giorno?".
Un signore dalla barba brizzolata mostra la copertina di un settimanale italiano: sulla foto di un manifestante arabo scrive "Quest'uomo ti odia. E tu?". E' infuriato: "Dicono che noi odiamo i cristiani, fanno una gran confusione, etichettano chi è integralista e chi no". Lui si chiama Abdullah ed è algerino, anzi berbero precisa, e riprende a spiegare che l'Islam non è contro le altre religioni del Libro. "Nessuno vuole la violenza, ma la ragione di tutto questo è politica. Ora ci sono morti civili, già 200 sotto le bombe in Afghanistan. La violenza chiama violenza".
Farida Enenhas, marocchina, insiste: "Ci sono tanti ignoranti", ha l'accento romanesco, "Mettono il terrorismo e l'islam nello stesso bunker". Bin Laden? "Io non lo difendo di certo".
Ma chi è poi Bin Laden? "Il dubbio che sia davvero lui il responsabile degli attentati dell'11 settembre ce l'abbiamo tutti", dice Saf. Accanto a un banchetto che prepara gustosi falafel (le polpettine di fave egiziane) un ragazzo ride: "Non le sembra strano che venti minuti dopo il crollo delle torri avevano già dato la colpa a Bin Laden? Con che prove? Forse solo perché loro lo conoscono bene".
Ormai la folla si è diradata, le telecamere sono partite, i capannelli sciolti. "Mi dispiace di cuore quello che è successo in America", dice una signora maghrebina vedendo il taccuino e la penna: "Là sono morti seimila innocenti. Di loro si parla. Ma nessuno parla di quanti arabi, palestinesi, sono morti in 50 anni. O del milione di iracheni, donne vecchi e bambini. Per gli americani i popoli arabi non contano". Mustafà, egiziano, sta sgomberando la sua bancarella. "Io non so nulla di nulla. Non mi piace la violenza, la guerra è sempre brutta, non importa se colpisce musulmani, cristiani o ebrei". Ma poi si scalda: "E' l'ingiustizia nel mondo la causa di tutto. Non mescolate la religione con la politica, non c'entra nulla. Bin Laden non so chi sia. Io non lo conosco. Gli americani sì, lo conoscono: ha studiano negli Usa, ha lavorato per loro. Quello che so è che c'è un miliardo e 300 milioni di Bin Laden nel mondo, c'è la politica, c'è il petrolio, e qui può scoppiare la terza guerra mondiale". Una signora lo interrompe: è Maryam, somala, ha un hijjab blu. "Voglio che Bush sappia una cosa. Lui dice ai bambini americani di dare un dollaro per i bambini afghani. Ma i bambini dell'Afghanistan non hanno bisogno un dollaro, hanno bisogno la pace a casa loro. Quella di Bush non è guerra: è terrorismo, è una vendetta".

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