11 Ottobre 2001
 
 
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Da domani a Torino un convegno sul rapporto tra violenza e monoteismo
IAIA VANTAGGIATO

Con Giobbe in questi giorni - e ad essere credenti - verrebbe da esclamare: "Dio mio, perché mi hai abbandonato". E invece è proprio il nome di dio che sembra ispirare la prima guerra del terzo millennio. Fedeli ad Allah, si armano gli eserciti islamici e la stessa lingua parlano devoti e combattenti; fedeli a dio onnipotente, rispondono gli occidentali e a loro volta si armano. E intanto ad una sempre più martoriata Gerusalemme, un dio senza volto sembra incapace di assicurare anche un solo giorno di pace.
Certo si sa, del nome di dio gli uomini si servono per mascherare avidità e potere, desiderio di conquista e volontà di potenza. Ma la forza che emana dal volto di Osama bin Laden quando incita alla guerra santa, l'adesione che le sue parole raccolgono, la risposta - pure quella ispirata - di Bush e quel nome infelice, "Giustizia infinita", scelto all'inizio per definire l'operazione antitalebani; tutto questo impone di chiedersi se la violenza bellica sia solo un portato esterno degli intrecci politici in cui soprattutto cristianesimo e Islam si sono da sempre trovati coinvolti. Vale, insomma, la pena chiedersi - e proprio in questi giorni - fino a che punto la violenza bellica risieda "nella logica stessa di questi sistemi religiosi, nel loro regime di verità, nella necessità di imporre la fede dell'unico Dio contro l'idolatria o la non fede trasformando l'Altro, renitente alla conversione, in nemico". Con queste parole Giovanni Filoramo interroga i relatori del convegno "Pace e guerra nella Bibbia e nel Corano" che si terrà a Torino, a Palazzo Carignano, da domani sino a domenica. L'incontro - organizzato dall'associazione laica di cultura biblica "Biblia" - si offre come luogo di ospitalità e di confronto fra i tre monoteismi; di riflessione sui testi sacri a partire dai testi sacri; di indagine sulle possibilità di convivenza al di là di tutte le differenze.
Numerosi e tutti di altissimo livello i contributi (qui sotto anticipiamo ampi stralci dell'intervento della teologa femminista e pastora valdese Elisabeth E. Green). Domani apriranno i lavori Giovanni Filoramo, docente di storia del cristianesimo, e Riccardo Di Segni, direttore del collegio rabbinico italiano. Al primo il compito di esaminare il nesso profondo che lega non solo violenza e sacro ma soprattutto monoteismo e violenza: un paradosso, se si pensa che le religioni monoteistiche sono portatrici di concezioni di salvezza fondate sulla pace universale e l'amore reciproco. Dei concetti di pace e guerra nella storia e nel diritto di Israele parlerà, invece, Di Segni. Lettura apocalittica e veterotestamentaria quella che, invece, riserverà ai due concetti Florentino Garcia Martinez, direttore del Qumran Insituut di Groningen. A "Violenza e nonviolenza nel linguaggio di Gesù" è dedicato l'intervento di Piero Stefani, docente di dialogo con l'ebraismo. Riapertura dei lavori, sabato mattina, con l'Islam: a Fouad Allam Khaled, docente di sociologia del mondo musulmano a Trieste e Urbino, l'amaro calice dell'attualità con una relazione su "La problematica della violenza nell'Islam contemporaneo" mentre Alberto Ventura indagherà il legame tra teologia e politica nel pensiero islamico a partire dal concetto di squilibrio: nota dominante della creazione che si esprime attraverso la violenza naturale e la guerra che di quella violenza è la manifestazione più parossistica. Tra lo squilibrio e l'equilibrio assoluto che è in Dio sta l'Islam: tra ordine e disordine, equità e ingiustizia. Nella consapevolezza che ogni squilibrio è relativo. E tra due estremi - come spigherà Giovanni Miccoli, direttore del dipartimento di storia a Trieste, nella sua densa e rigorosa relazione - sembra ristare anche la teologia cristiana almeno sino agli esiti catastrofici della II guerra mondiale. Da una parte la periodica risorgenza del messaggio evangelico che impone di amare i nemici e rifiutava l'uso della spada, dall'altro la volontà di corrispondere alle domande del potere e il rigido strutturarsi di gerarchie politiche. Saranno Amos Luzzatto, Achille Silvestrini e Mario Scialoja a chiudere il convegno, domenica mattina, con una tavola rotonda su "Gerusalemme: una storia, un simbolo". Da lì si è partiti e lì vale la pena tornare per capire: "a condizione - come dice Luzzatto - che si rinunci a un possesso esclusivo della città e dei suoi simboli". E parlare di Gerusalemme, va da sé, è come parlare di di
o.

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