12 Settembre 2001
 
 
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L'Australia condannata in casa
Per il governo australiano è una severa batosta: "Impedire lo sbarco dei 433 afghani è stata un'azione illegale", ha sentenziato la corte federale di Canberra accogliendo il ricorso di un'associazione umanitaria. Ma le autorità di Sidney non ci sentono. Respingono il verdetto dei giudici e intimano alla nave di proseguire il viaggio verso la Nuova Zelanda SIMONA MANNA

Il governo australiano è stato riconosciuto colpevole dalla Corte federale. Secondo il giudice Tony North, Canberra "ha agito illegalmente" quando ha vietato alla Tampa, la nave norvegese che ha soccorso i 433 profughi afghani il 26 agosto scorso, di far sbarcare i rifugiati sull'isola di Christmas, e "ha agito "illegalmente quando", inviando le teste di cuoio sul mercantile, ha di fatto "posto boat people in stato di detenzione".
E' un duro colpo per il primo ministro australiano John Howard che, sottraendosi ai doveri umanitari sanciti da una convenzione dell'Onu nei confronti dei profughi, aveva cominciato, proprio dopo il rifiuto degli immigrati, una feroce campagna anti-immigrazione. Ora è costretto a pagare la "pena del contrappasso", perché il magistrato della corte federale ha deciso ieri mattina che i 433 profughi afgani devono fare rientro in Australia. Una penale che il governo di Canberra non sembra però voler pagare. Nonostante il tribunale federale abbia stabilito venerdì prossimo come tempo massimo per effettuare l'operazione di rientro dei profughi in Australia, l'esecutivo di John Howard ha già annunciato che presenterà ricorso in appello, fatto che contribuirà a congelare ulteriormente l'iter giudiziario, al quale il destino dei profughi è appeso. A difendere la legittimità dell'operato australiano è stato soprattutto il ministro della Difesa Peter Reith che, respingendo il verdetto della corte, ha affermato che "è il governo a dover decidere se far entrare o no in territorio australiano persone che non ne hanno il diritto". E non solo l'Australia ricorre in appello, ma dà ordini alla sua nave militare, la Manoora, di proseguire verso la Nuova Guinea. "Procederemo come previsto - ha affermato il ministro dell'immigrazione Philip Ruddock - gli ordini che abbiamo dato fin dall'inizio prevedevano la possibilità di un ricorso".
Così in balia di onde e di un governo che non si arrende neanche all'evidenza di una sentenza della Corte federale, i profughi continuano a vivere l'odissea, nella più totale ignoranza di quanto ancora sia incerto il loro destino. Loro sono ancora convinti che arriveranno a Port Moresby, e da lì prenderanno una delle due strade, o la Nuova Zelanda o Nauru, la più piccola isola stato della Micronesia. Probabilmente non sanno neanche che "sono stati venduti" dall'Australia a Nauru, che riceverà 24 miliardi di aiuti in cambio dell'accoglienza dei profughi. Il presidente dello Stato di Nauru ha ricevuto subito dopo la sentenza della corte la telefonata del ministro degli esteri australiano Alexander Downer, che ha chiesto di andare avanti con i piani "fino a ordine contrario".
L'Australia, dunque, non si arrende. Non le è bastato l'ordine del tribunale, che ha emesso questa condanna dopo aver accolto l'istanza presentata dai gruppi per la tutela dei diritti umani. Il premier John Howard continua a tenere illegalmente prigionieri i profughi. Questa "detenzione illecita" degli immigrati da parte del governo australiano è cominciata quando le teste di cuoio sono state mandate a bordo della Tampa per controllare i boat people, che minacciavano di buttarsi in acqua se il cargo norvegese avesse abbandonato le acque australiane. E ora i profughi vengono trasportati illecitamente verso la Nuova Guinea, rischiando però di rimanere al largo chissà quanto giorni se la Corte fermerà l'operazione in attesa di un verdetto finale.
L'Australia sta pagando cara la sua manovra diplomatica. Gli ultimi provvedimenti contro gli immigrati, molto più duri rispetto a una politica che ha sempre combattuto la migrazione clandestina ma mai aveva negato diritto d'asilo come è successo coi 433 profughi afghani, sono frutto di espedienti da campagna elettorale (le prossime elezioni in Australia saranno a dicembre). I cittadini australiani, infatti, esigono leggi intransigenti che riducano le ondate migratorie che ogni anno invadono il paese. Anche se poi lo Stato è costretto a sborsare miliardi, a mobilitare la marina militare e le teste di cuoio, a esigere che altri quattro paesi si prendano gli oneri della vicenda, ad andare contro le proprie leggi.

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