Accordo solo a metà
CONFERENZA
ONU SUL RAZZISMO Compromesso a Durban: la schiavitù è
un crimine contro l'umanità, ma senza risarcimenti
MARINA FORTI - DURBAN
Che finale confuso, la Conferenza delle
Nazioni unite contro il razzismo, tra notizie di accordi e
improvvise battute d'arresto. Frasi pesate col bilancino e
questioni procedurali, sofismi linguistici e vocabolari
ambigui. Che scena imbarazzante, per la conferenza che doveva
in qualche modo celebrare in Sudafrica il tramonto della forma
più estrema di razzismo istituzionalizzato del mondo
contemporaneo, l'Apartheid sudafricano appunto - e per la
prima volta doveva affrontare il sorgere di nuove forme di
razzismo, l'emergere di movimenti xenofobi, la persecuzione di
minoranze etniche, la riparazione dell'ingiustizia creata da
secoli di colonialismo... Solo nel tardo pomeriggio di ieri
i delegati dei 170 paesi qui rappresentati hanno finito di
approvare i due documenti che resteranno come atti ufficiali,
la "Dichiarazione di principi" e il "Piano d'azione" contro il
razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le
relative intolleranze - come recita il titolo completo della
conferenza. Ma questo è avvenuto con ventiquattrore di ritardo
sul previsto, con notevoli ginnastiche procedurali e dopo
numerosi colpi di scena... All'alba di sabato sembra fatta:
un compromesso dell'ultimo minuto, nella notte, aveva permesso
di trovare un linguaggio accettato sulle 2 questioni che hanno
polarizzato la conferenza: la situazione in Medioriente e "le
ingiustizie del passato", schiavitù e colonialismo. A distanza
di pochi minuti, è stato annunciato prima un accordo sul
documento che tratta di Medioriente - che circola ormai da
giovedì sera - e poi su un nuovo testo su schiavitù e
colonialismo.
Rammarico e vaghe promesse
Le parole sono state scelte con cura. La conferenza
riconosce che "la schiavitù e la tratta transatlantica degli
schiavi sono state terribili tragedie dell'umanità", e che
"sono crimini contro l'umanità e avrebbero dovuto esserlo
sempre, ... e sono tra le maggiori fonti di razzismo,
discriminazione razziale, xenofobia... e che gli africani e
persone di origine africana, asiatici e persone di origine
asiatica e popoli indigeni ne sono state vittima e continuano
a essere vittima delle loro conseguenze". Le "sofferenze del
colonialismo" sono citate in una frase ben distinta (non
rientrano nel crimine contro l'umanità). La conferenza offre
delle vaghe scuse alle vittime ma senza l'esplicita parola
apology, bensì riconoscendo la "sofferenza" causata da
schiavitù e colonialismo. C'è un "rammarico" (regret,
che è meno impegnativo di remorse) per gli effetti di
schiavitù e colonialismo, che "sono tra i fattori che
contribuiscono a perduranti diseguaglianze economiche e
sociali". Infine, non c'è la parola reparations ma
c'è un generale (e generico) accenno alla "necessità... di
programmi per lo sviluppo sociale ed economico" dei paesi che
hanno sofferto schiavitù e colonialismo e della Diaspora (i
discendenti degli schiavi africani, gli asiatici, i popoli
indigeni). Il documento cita la New African Initiative, il
programma di sviluppo che si appresta a lanciare l'Unione
Africana, e il nuovo Fondo mondiale di solidarietà, poi
elenca: remissione del debito, programmi anti-povertà, per
rafforzare istituzioni democratiche, per promuovere
investimenti stranieri e accesso ai mercati, sicurezza
alimentare, trasferimento di tecnologie, investimenti nella
sanità... Lista lodevole ma alquanto futile, visto che i
governi occidentali (quelli che dovrebbero risarcire) erano
rappresentati a questa conferenza da alti funzionari o
ministri degli esteri, nessuno con la delega a impegnare nuovi
finanziamenti. Ma tant'è. Agli europei stava a cuore che
queste formule non lasciassero adito a questioni legali e
richieste di risarcimenti pecuniari da parte di stati o gruppi
di persone, e sono certi di esserci riusciti: "Non ci possono
essere conseguenze legali", rassicurava ieri Koen Vervaeke,
portavoce del ministro degli esteri belga (che qui
rappresentava l'Unione europea).
Approvati, con riserva
All'alba la ministra degli esteri sudafricana
Nkosazana Dlamini-Zuma, presidente della Conferenza, poteva
annunciare "un accordo generale". L'impasse era superato. Il
comitato generale era convocato alle 8 del mattino,
l'assemblea plenaria a mezzogiorno, per sancire con un voto
l'approvazione dei documenti. Ma è stata tutt'altro che
pacifica. Gli ambasciatori dell'Autorità nazionale palestinese
- quello in Sudafrica, el Herfi, e quello presso l'Onu a New
York Naser Alkidwa - hanno ripetuto più volte che i
palestinesi vogliono il successo della conferenza: "non è
questione di essere pienamente d'accordo con tutto". Ma gli
stati dela Conferenza Islamica hanno diffuso un comunicato per
esprimere "serie riserve" sul testo che riguarda il Medio
oriente: "Nonostante riconosca la sofferenza del popolo
palestinese sotto occupazione straniera, non condanna le
politiche discriminatorie e le pratiche di Israele". I
delegati di diversi stati arabi avevano tentato di aggiungere
una frase per dire che "l'occupazione straniera ... è una
fonte di discriminazione razziale". Il Canada, il Brasile e
l'Ue hanno annunciato un voto contrario se quella frase fosse
inserita: tutto sembrava di nuovo rimesso in discussione.
Infine, l'assemblea plenaria ha votato contro un emendamento
della Siria, che respingeva la frase "l'Olocausto non va mai
dimenticato" (il genocidio degli ebrei è una responsabilità
europea, non del resto del mondo, aveva argomentato
l'ambasciatore Farouk al-Sharaa). Tutto il documento sul
Medioriente è stato messo agli atti da trasmettere all'Onu,
incluse le riserve di Siria e Iran e di Canada e Australia (in
senso opposto). Nonostante i sofismi e le frasi volutamente
vaghe, le Nazioni unite ora hanno all'attivo nuove
dichiarazioni di principi e un nuovo piano d'azione: non sono
trattati vincolanti, ma sono pur sempre principi e strategie
che 170 governi si impegnano ad applicare. Per la prima volta
un documento delle Nazioni unite contiene "un riconoscimento
storico della natura criminale della schiavitù e dell'obbligo
morale a ripararne le conseguenze", ha fatto notare in serata
Reed Brody, dell'organizzazione per i diritti umani Human
Rights Watch: "Gli attivisti in tutto il mondo userano questa
dichiarazione nel periodo a venire".
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