06 Settembre 2001
 
 
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Gettati nell'Egeo
Cinque profughi kurdi-iracheni, stremati dalla fame e dalla stanchezza, sono annegati dopo essere stati "scaricati" in mare dai trafficanti, tre dei quali sono stati arrestati dalla polizia greca. In 350 sono invece riusciti a raggiungere a nuoto la costa dell'isola di Eubea
PAVLOS NERANTZIS - ATENE

Costretti dai trafficanti a buttarsi in mare quando si trovavano a decine di metri dalla riva. E' quanto accaduto all'alba di ieri a 350 profughi abbandonati al largo dell'isola greca di Eubea, nel mar Egeo. Per cinque di loro, stremati dalla fame e dalla stanchezza, si è trattata dell'ultima violenza che hanno dovuto subìre. I loro cadaveri sono stati ritrovati su una spiaggia nella parte sud orientale dell'isola, non lontano dal punto in cui sarebbero approdati i loro compagni. Una tragedia, che rischia però di assumere dimensioni ancora maggiori.
Secondo alcune testimonianze non confermate, altri profughi sarebbero morti di fame e di sete durante il viaggio. Le autorità greche hanno arrestato tre membri dell'equipaggio, tutti di nazionalità turca. Si tratta del comandante della nave, Mohammed Demetzi, 39 anni, di Souleiman Saritak, 34 anni e di Beli Hisli, 51, quat'ultimo già condannato a otto anni di carcere perché nel '92 aveva trasportato 29 immigrati dalle coste turche all'isola di Lesvos.
Era l'alba quando la "Im-Dat", un cargo di trenta metri di lunghezza, è giunto davanti alle coste greche e il suo equipaggio ha costretto con la forza i profughi a sbarcare. 350 persone, in maggioranza kurdi iracheni, tra i quali anche 13 donne e 12 bambini, si sono così ritrvate in acqua. Secondo alcuni testimoni sarebbero stati proprio alcuni di loro, una volta a terra, a dare l'allarme denunciando la morte dei loro compagni. I primi a essere fernati sono stati comunque proprio loro: 215 persone stanche, affamate e assetate che la polizia ha bloccato a Mandoudi, un paese situato a nord est di Atene e collegato con un ponte all'isola di Eubea. Tutti sono stati ospitati temporaneamente nel palezzetto dello sport, in attesa che venga vagliata la loro posizione. Per uno di loro è stato invecee necessario il ricovero in ospedale, mentre altre cento persone sono ricercate dalla polizia.
Il viaggio era cominciato una settimana fa dal porto tirco di Bodrum: tremila dollari a testa per una traversata non molto lunga ma piuttosto pericolosa, considerato che molto spesso in questo periodo le condizioni del mare sono burrascose. La scorsa settimana altri cento immigrati, questa volta provenienti dall'Afghanistan, sono stati buttati in mare vicino all'isola di Kos perché il peschereccio che li trasportava, a detta dei trafficanti, si trovava in una situazione di pericolo. Ieri però ci sono scappati i morti.
Fortunatamente non tutti gli uomini sono uguali. E così se c'è chi specula sulle tragedie altrui, c'è anche chi si rimbocca le maniche per dare aiuto e solidarietà agli stessi disgraziati. Appena i profughi della "Im-Dat" sono stati avvistati sull'isola di Eubea, molti abitanti di Mandoudi sono accorsi portando cibo e coperte.
"Dobbiamo rafforzare le misure nei confini, ma nello stesso tempo, di fronte a tragedie di queste dimensioni, non possiamo rimanere indifferenti e facciamo il possibile" ha detto il portavoce governativo, Dimitris Reppas, mentre il ministro della Marina Mercantile, Christos Papoutsis, ha chiesto al governo turco di prendere ulteriori misure per affrontare gli sbarchi clandestini perché, ha spiegato, "non è possibile voler entrare in questo modo nell'Unione europea".

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