06 Settembre 2001
 
 
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Durban, le parole per dirlo
Medioriente, schiavismo e immigrazione: si lavora per salvare la conferenza
MARINA FORTI - INVIATA A DURBAN

Per oltre una settimana gruppi di persone venuti da tutto il mondo in questa città sull'oceano Indiano hanno raccontato le proprie esperienze e perorato le proprie cause: dai gruppi Rom alle organizzazioni dei migranti, alle comunità indigene, i movimenti dei neri nelle Americhe, le organizzazioni palestinesi, i movimenti per i diritti dei dalit ("intoccabili") dell'Asia meridionale. Ma ora l'esito della Conferenza Onu contro il razzismo è appeso a un lavorìo diplomatico che si svolge tutto dietro le quinte, tra colloqui informali e incontri riservati nel centro congressi. Le questioni che possono determinare il fallimento o la riuscita della conferenza restano due, forse tre. Il medioriente, ovvero quali parole nei testi approvati dalla conferenza dovranno descrivere la sofferenza del popolo palestinese nei territori occupati da Israele. Poi l'insieme di questioni che il gergo qui prevalente definisce "ingiustizie del passato": ovvero con quali termini riconoscere l'orrore della tratta transatlantica degli schiavi e il colonialismo, la necessità di espressioni di "rammarico" o "scuse", e se riconoscere (e con quali parole) almeno in via di principio la necessità di una "riparazione" per gli effetti perduranti di schiavismo e colonialismo. Infine, l'elenco dei gruppi di persone vittime di razzismo, discriminazioni, xenofobia - un elenco che continua a suscitare problemi. Di ora in ora i negoziatori si dichiarano ottimisti o pessimisti: ieri sera prevaleva il pessimismo.

La questione palestinese

Tentativi di mediazione si incrociano. A metà del pomeriggio sul congresso di Durban rimbalzano i dispacci d'agenzia provenienti da Parigi: il premier francese Lionel Jospin dichiara che "se il legame tra il sionismo e il razzismo viene mantenuto" la Francia e l'Unione europea abbandoneranno i lavori. Un aut-aut? Ma no, bofonchia un diplomatico transalpino, è che mercoledì a Parigi si riunisce il consiglio dei ministri. "Non è in questione per il momento un ritiro europeo", commenta, in veste più ufficiale, il portavoce del ministro degli esteri belga Louis Michel, il cui paese ha la presidenza di turno dell'Ue. E' lui dunque che conduce per conto dei 15 il negoziato più delicato di queste ore, nel gruppo ristretto guidato dal Sudafrica e incaricato di dirimere la questione mediorientale: trovare parole che riconoscano la situazione a cui è sottoposto il popolo palestinese senza definire Israele "razzista". La nuova bozza è stata scritta dalla ministra degli esteri sudafricana Nkosazana Dlamini Zuma. A quanto è dato sapere, l'Ue cerca di fondervi un suo testo che però incontra l'opposizione dei paesi arabi. Pare anche che l'Ue giochi "duro" - le dichiarazioni di Jospin potrebbero essere parte della pressione sul fronte arabo. Alcuni diplomatici dicono che in queste ore le dichiarazioni pubbliche non sono da prendere alla lettera, ma letti tra le righe. Come è già successo in questi giorni nessuno cita frasi precise, perché il negoziato è fatto proprio di parole e di virgole. L'esito era annunciato per il tardo pomeriggio, poi per la notte, forse stamattina. Ma l'esito di una trattativa dipende dalle altre. Il consenso sul medioriente potrebbe darsi al prezzo di concessioni sulle "ingiustizie del passato" o viceversa...

Il vocabolario dello schiavismo

Il capitolo delle ingiustizie passate è stato affidato dalla ministra degli esteri sudafricana Dlamini Zuma a un gruppo ristretto coordinato da Brasile e Kenya. E ieri sera gli ambasciatori di questi due paesi si sono presentati ai cronisti per dire che il lavoro procede in modo positivo, ormai è solo una questione di parole. Solo che le parole pesano. Sembra ad esempio esclusa, dicono i due ambasciatori, la parola apology, "scuse", e anche deep remorse, profondo rimorso. Si cercano sui dizionari parole meno impegnative - non regret, rammarico, che in inglese è più forte, forse "rimorso" senza "profondo"? Ancora ieri attivisti afro-americani chiedevano con striscioni e cartelli di definire la tratta degli schiavi un "crimine contro l'umanità", ma questo sembra escluso, come pure la parola "genocidio". E' invece rimasta nei documenti ufficiali la parola "riparazioni" - resta da vedere con quale forza e in che forma. Un fronte di paesi africani più radicali, guidato da Namibia e Zimbabwe, vuole scuse esplicite da parte dei paesi che furono colonialisti e schiavisti e riparazioni sotto forma di remissione del debito o di finanziamenti e crediti alla New African Initiative, un piano di sviluppo che l'Unione africana vorrebbe lanciare entro l'anno. Ma i paesi occidentali (quelli che hanno un debito del passato da saldare) sono rappresentati qui solo da ministri degli esteri e/o della cooperazione allo sviluppo, che non hanno il mandato di promettere soldi, possono al massimo manovrare tra i fondi per gli aiuti allo sviluppo.

La voce delle vittime

Ieri è stato formalmente presentato all'assemblea il documento del Forum non governativo che si era concluso sabato sera. E' il documento che già da domenica ha suscitato polemiche e prese di distanza. Le ong italiane ad esempio si sono dissociate almeno dalla parte che tratta di Palestina e Israele: ma non l'hanno fatto con una voce unica. La Associazione delle Ong italiane (che rappresenta 164 organizzazioni di cooperazione allo sviluppo, ma solo metà presenti) "si rammarica" che quel documento sia stato discusso in un clima di esacerbazione e parla di un percorso "non trasparente". Anche Udo Clement Enwereuzor, a nome del Cospe, parla di un "processo a volte nebuloso". "Mi rifiuto di sottoscrivere in particolare due paragrafi, quello che dichiara israele uno 'stato razzista' e quello che chiede il ripristino della risoluzione dell'assemblea generale dell'Onu che nel '75 definì il sionismo una pratica razzista". E' un peccato, ci dice: "Su tutto il resto del documento abbiamo una valutazione positiva. Fermo restando l'importanza della questione palestinese, è giusto vedere anche tutte le altre questioni, dalla riparazione dell'ingiustizia presente generata da schiavismo e colonialismo passati alla protezione dei migranti, i Rom, la questione dei dalit: pensa solo al fatto che finalmente il mondo parla di loro, non ne sapevamo nulla". Quel documento "è una collezione di voci delle vittime, che parlano della propria esperienza ovviamente con il proprio linguaggio. Ma non posso accettare quegli articoli su Israele".

La coesistenza e gli indocumentados

Se la conferenza fallisse sarebbe un'ammissione di sconfitta straordinaria per la comunità internazionale, nella prima conferenza contro il razzismo finalmente nell'era post-apartheid. Il delegato della Santa sede, Diarmuid Martins ne è convinto: "Il razzismo è una brutta bestia, che non è sconfitta una volta per tutte. Risorge con forme sempre nuove e un esito importante per questa conferenza sarebbe riconoscere che uno dei gruppi più vulnerabili è quello dei migranti". Già, perché questa conferenza tratta della coesistenza umana sul pianeta e "le migrazioni sono un fenomeno stabile nel mondo moderno e globalizzato. Ciò significa che avremo società sempre più pluriculturali. Bisogna prepararsi. I migranti possono essere fonte di incontro tra culture. Ma oggi è il contrario: ampi settori di migranti sono soggetto a xenofobia e violenze razziste e molti, ad esempio quelli irregolari, non possono neppure cercare la protezione della polizia. Ci vuole responsabilità, anche da parte dei media: oggi diventa accettabile che esponenti politici o mezzi d'informazione esprimano opinioni xenofobe. Bisogna che le società umane smettano di vedere i migranti come fonte di minaccia".

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