05 Settembre 2001
 
 
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La fame diminuirà, ma non per tutti
TERRATERRA di FRANCO CARLINI


Sì, c'è la fame nel mondo e quella dei bambini in particolare. Mentre il governo italiano esibisce un rimarchevole disinteresse alla sostanza del problema, occupandosi solo di come trasferire fuori Roma i delegati della Fao, quello tedesco ospita da ieri a Bonn una conferenza internazionale con più di mille partecipanti da tutto il mondo.
Il tema è "Sustainable Food Security for All" (una sicurezza alimentare sostenibile per tutti) ed è organizzata da una delle agenzie più importanti del settore, l'Ipri (International Food Policy Research Institute) di Washington. Nell'occasione l'istituto presenta le sue ultime ricerche, dedicate alla sottoalimentazione dei bambini del mondo, e i risultati non sono incoraggianti: da qui all'anno 2020 la malnutrizione infantile diminuirà solo del 20%, a meno di scelte più coraggiose e lungimiranti da parte dei paesi ricchi.
Lo studio, un volume di 224 pagine, è ovviamente basato solo su delle proiezioni al computer (un modello matematico) e queste cercano di tenere conto di tutti i possibili fattori che influenzano il fenomeno: per i 16 principali alimenti vengono esaminati i fattori di produzione, distribuzione e consumo nelle diverse aree geografiche, incrociandoli con le possibili azioni politiche e sociali, dalla liberalizzazione dei commerci alla crescita di investimenti nell'agricoltura, nella sanità e nella sicurezza alimentare.
I risultati non sono confortanti, o almeno non lo sono per tutti. Secondo l'Ipri dunque nel giro dei prossimi 20 anni - che non sono comunque pochi - l'America Latina potrebbe avere sconfitto la malnutrizione infantile e la Cina potrebbe dimezzarla, ma in India, allo stato attuale delle proiezioni, questo continuerà a essere un problema acuto, dato che un terzo di tutti i malnutriti saranno nel suo territorio. Come sempre, poi, le cifre peggiori riguardano l'Africa sub-Sahariana dove si annunciano "eccezionali emergenze alimentari" provocate dalle condizioni climatiche e dalla instabilità sociali e politiche. Tuttavia non si rassegna il direttore generale dell'Ifpri, Per Pinstrup-Andersen: "C'è la possibilità di correggere questo stato di cose - ha dichiarato - e con modeste modifiche delle politiche e delle priorità si possono raddoppiare i risultati nella lotta alla malnutrizione". Quali? Lo spiega l'autore del rapporto, Mark Rosegrant: "il nostro scenario più ottimistico prevede che sia possibile ottenere una riduzione del 42% della malnutrizione con un investimento annuo di 10 miliardi di dollari che equivalgono a una settimana di spese militari del mondo".
E che dire delle biotecnologie? Queste spesso sono demagogicamente indicate come la soluzione principe di fronte ai problemi della fame nel mondo e gli oppositori degli organismi geneticamente modificati sono sovente accusati di essere anime belle e occidentali che condannano alla sofferenza gli abitanti dei paesi più poveri. Al riguardo la posizione di Pinstrup-Andersen è prudente: "la moderna biotecnologia non è l'arma magica per risolvere il problema del cibo, ma usata in congiunzione con i metodi tradizionali di ricerca può rivelarsi un utile strumento. Ha il potenziale infatti di accrescere la produttività dell'agricoltura".
Alla conferenza di Bonn viene anche presentato uno studio svolto da Greenpeace insieme a Bread for the World, un'organizzazione cristiana Usa. Il rapporto elenca 208 casi di sviluppi sostenibile in agricoltura, realizzati in 52 paesi in via di sviluppo. Secondo Greenpeace è la dimostrazione che "la fame e la povertà possono essere superati grazie a un'agricoltura sostenibile, senza ricorrere all'ingegneria genetica la quale minaccia la biodiversità, erode il suolo, inquina le acque e minaccia la salute umana".
La tesi è che combattere la fame è possibile, che i governi devono fare la loro parte e che nel trattare questi problemi ogni delega alla tecnologia è inevitabilmente fallimentare.

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