05 Settembre 2001
 
 
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Durban, è scontro anche su schiavismo e diritti
Mary Robinson (Onu): "Nemmeno i paesi europei riconoscono lo schiavismo come crimine contro l'umanità"
MA. FO. - INVIATA A DURBAN

I delegati sono stati accolti dal suono dei tamburi ieri mattina, quinto giorno della tumultuosa Conferenza delle Nazioni unite contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative intolleranze. Davanti al centro dei congressi di Durban si erano assembrate decine di persone: gruppi di natives del nordamerica hanno assicurato una colonna sonora di percussioni mentre i cartelli rendevano chiaro il messaggio: "Lasciate la 's' alla parola popoli" (in inglese la s indica il plurale), "i nostri diritti non sono negoziabili", "diritto di autodeterminazione". Altri cartelli e slogans nella tarda mattinata se la prendono con gli Stati uniti: "L'amministrazione Usa va via, i cittadini Usa sono qui". Uno striscione avverte: "Colin Powell non parla per me". Un volantino di organizzazioni nere americane accusa il governo di non voler discutere del razzismo oggi in America.
Dopo la defezione degli Stati uniti, che lunedì sera hanno deciso di ritirare la propria delegazione (già di basso profilo), le dichiarazioni di rammarico si moltiplicano anche da voci più ufficiali. La Conferenza di Durban prosegue, dice la signora Mary Robinson, Alto Commissario delle Nazioni unite per i diritti umani e segretaria generale di questo meeting: "Il razzismo e la discriminazione esistono in ogni paese e in ogni comunità. Per questo mi rammarico profondamente che gli Stati uniti e Israele abbiano deciso di ritirarsi". Sembra quasi ridicola la precisazione fatta ieri mattina dal vice sottosegretario del dipartimento di stato Usa, Michael Southwich, mentre lasciava Durban: i delegati venuti da Washington se ne vanno, ma gli Usa restano qui rappresentati dal loro console generale...
Dentro al palazzo dei congressi, tra sale e salette, da lunedì sera sono in corso tre diversi tentativi di diplomazia affidati ad altrettanti gruppi ad hoc. Uno riguarda il Medioriente (ne riferiamo in questa pagina). Ma ce ne sono altri due in corso, e non sono meno difficili: uno (affidato ai ministri di Kenya e Brasile) riguarda il capitolo delle "passate ingiustizie", come dice la signora Robinson, ovvero riconoscere la tremenda ingiustizia che è stata la tratta degli schiavi e risarcire (ma come, in che senso?) le vittime dello schiavismo e del colonialismo. E' straordinario che tutt'ora i paesi europei siano disposti a esprimere "rammarico" per la tratta degli schiavi ma non a definirla "un crimine contro l'umanità". Ma è di questo, e di risarcimenti, che sia i governi che le numerose organizzazioni e movimenti africani, sia i neri di tutte le Americhe qui presenti vogliono parlare - compresi i brasiliani colorati che ieri manifestavano con lo striscione per "riparazioni positive". Si parla di possibili scambi tra dichiarazioni di principio (riconoscere la schiavitù) e riconoscimenti concreti: finanziamenti, debiti cancellati. Si parla anche di negoziati bilaterali già in corso...
L'altro tentativo di mediazione, affidato al Messico, riguarda "i terreni di discriminazione": ovvero, quali gruppi di persone debbano essere inclusi tra le vittime attuali di discriminazione, xenofobia, intolleranza. Neppure questo è ovvio. I migranti e rifugiati sono dentro alla lista, come i Rom e Sinti. Ci sono i popoli indigeni, ma proprio per questo protestavano i nativi americani ieri mattina: non è chiaro come sarà definita la pluralità di "nazioni dentro alle nazioni". La guatemalteca Rigoberta Menchù, Nobel per la pace per il suo attivismo di indigena, ha fatto appello a non cancellare la voce delle "nazioni non riconosciute". E poi: non è ancora chiaro se sono dentro le persone discriminate per "nascita e mestiere", cioè per casta. Per questo sono qui a Durban numerose organizzazioni di Dalit, i fuoricasta, o "intoccabili". Il governo indiano si oppone: oggi le discriminazioni di casta in India non sono istituzionalizzate, se restano è piuttosto un problema sociale. Certo è la prima volta che una delle istituzioni più imbarazzanti della società indiana diventa oggetto di dibattito internazionale. E poi: bisogna esplicitamente dire che in ogni società le persone più vulnerabili a razzismo e discriminazione sono le donne appartenenti a gruppi marginalizzati, migranti, minoranze - insomma, che c'è una intersezione tra le discriminazioni di razza e di genere? Bisogna includere le persone afflitte da handicap o malattie come l'Aids, tra i gruppi vulnerabili alle discriminazioni?
Ha ragione la signora Robinson quando ricorda che tutto questo è sul tavolo qui a Durban, e quando rende omaggio al Forum delle organizzazioni non governative, alla "società civile in tutta la sua ricca diversità" giunta qui da tutto il mondo: questa conferenza "ha permesso alla voce delle vittime, quelle ridotte troppo a lungo al silenzio, di essere udite". Ma precisa: "Sono dispiaciuta dai passaggi della dichiarazione del Forum delle Ong che parlano di Israele, quelle accuse di genocidio sono inappropriate. E' triste ma .. non posso raccomandare ai delegati (di fare propria) quella dichiarazione". Diverse organizzazioni non governative - quelle italiane e molte europee - hanno preso le distanze da quella parte del documento, che del resto ieri sera ancora pochi avevano visto stampato nella sua forma definitiva. E' vero: parla di genocidio e pulizia etnica, e chiede di ripristinare la risoluzione delle Nazioni unite del 1975 che definiva il sionismo una pratica razzista, e di lanciare una politica internazionale di isolamento di Israele come quella che isolò il Sudafrica dell'apartheid.

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