05 Settembre 2001
 
 
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Braccio di ferro a Durban
E MARINA FORTI - INVIATA A DURBAN

'la giornata dei rammendi. Dopo la decisione degli Stati uniti e di Israele di ritirare le proprie delegazioni dalla Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione e la xenofobia, la diplomazia è al lavoro dietro le quinte: si tratta di trovare un linguaggio per descrivere la situazione in Medio oriente che non sia "insultante e razzista nei confronti di Israele", né "minimizzi la sofferenza del popolo palestinese". Dopo il fallimento norvegese ci prova il governo sudafricano, con l'attivo sostegno dell'Unione europea.

Via le Ong ebraiche ufficiali

Il ritiro americano è stato applaudito dalle organizzazioni ebraiche ufficiali qui presenti, mentre fin dal mattino decine di persone hanno manifestato la loro protesta: gruppi di neri americani hanno cantato "vergogna, vergogna America", o esibito cartelli per dire: "L'amministrazione Bush va via, ma i cittadini sono qui". Dopo i gesti dei governi, le organizzazioni non governative prendono posizione. Ieri mattina il Caucus Ebraico - che riunisce gruppi e associazioni ebraiche di tutto il mondo - ha convocato una conferenza stampa per annunciare che anche loro se ne vanno: protestano contro una conferenza che "addita Israele e usa l'antisemitismo come strumento politico". Un rappresentante legge una brevissima dichiarazione: "Israele è stata oggetto di spurie accuse di genocidio, pulizia etnica e altri crimini contro l'umanità. E' l'unica nazione del pianeta additata alla critica nelle bozze di documento di questa conferenza". Citano un episodio per la verità triste: un volantino circolato nel Forum delle Ong con la caricatura dell'ebreo col naso adunco in sembianze di diavolo: "ricorda la propaganda nazista". Ce ne andiamo da questa conferenza, dicono le organizzazioni ebraiche, "ma non abbandoniamo i suoi obiettivi" di lotta contro razzismo e xenofobia. Daniel Lack, giurista e consulente legale del Congresso ebraico mondiale, dice che i governi di Stati uniti e Israele non avevano scelta: "Gli stati arabi e islamici avevano costruito una maggioranza per cui quelle accuse diffamatorie e oscene a Israele sarebbero entrate in un documento dell'Onu".
Anche il gruppo delle Ong palestinesi ha tenuto una conferenza stampa per argomentare: "Gli Stati uniti tentano di mettere a tacere le voci delle vittime, ma non ci riusciranno", dicono. Chiediamo a Khader Shkirat, direttore della Law Society of Palestine, come motiva l'accusa di razzismo verso Israele: in fondo stiamo parlando di un conflitto politico, militare, "nazionale", non razziale.

"Israele razzista anche per Betselem"

"E' vero, è un conflitto politico. E non è qui che cerchiamo una soluzione a questo conflitto, sappiamo bene che non è questa la sede. Ma questa è una conferenza sul razzismo e siamo qui per dire che la politica di Israele nei nostri confronti è razzista, perché il colonialismo è una forma di razzismo. Stiamo parlando di deportazioni, di persone costrette ad abbandonare i propri villaggi - e questo è successo fin dal 1948, dalla creazione dello stato d'Israele. Parliamo di atti di genocidio, definiti tali anche dalla Corte penale internazionale a Roma. Del massacro di Sabra e Chatila, per cui ora un tribunale in Belgio sta discutendo se incriminare Sharon. Sì, siamo qui per dire che Israele è uno stato di natura razzista". Razzista "di natura"? Sì, risponde Khader Shkirat, "mi riferisco non solo a una politica razzista ma alla ventina di leggi che discriminano tra ebrei e non, a cominciare da quella che riconosce il diritto al ritorno per gli ebrei e non per i palestinesi. E poi alla pulizia etnica nei confronti dei palestinesi. Sì, la chiamo pulizia etnica e del resto non solo noi: anche organizzazioni israeliane per i diritti umani come Betselem la definiscono pulizia etnica".
Non c'è dubbio, la polemica avvenuta qui a Durban è solo in parte riferita al merito di questa conferenza - e ha un impatto più generale, per quanto riguarda la politica mediorientale. Dimostra ad esempio, dice Khader Shkirat, che "la pretesa degli Stati uniti di agire come mediatore nel conflitto mediorientale è falsa. Ancora una volta qui hanno dimostrato di non essere affatto neutrali. Abbiamo bisogno di una forza equilibrata. Abbiamo bisogno che l'Europa entri nel processo negoziale. Ne ha avuto l'occasione, quando il presidente Bill Clinton ha concluso il suo mandato. Purtroppo gli europei sono riluttanti a prendere in mano il negoziato. Ma è l'appello che noi rivolgiamo all'Europa, farsi protagonisti di una nuova iniziativa di pace in Medioriente".

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