04 Settembre 2001
 
 
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AUSTRALIA
Cronaca di una deriva razzista
GIANNI MORIANI


Come si è potuto consolidare il razzismo nello spazioso (7,68 milioni di chilometri quadrati) paese dei canguri? Cosa ha spinto il primo ministro John Howard (di una coalizione liberale di destra) a mostrare una disumana ferocia contro gli oltre 400 rifugiati (raccolti dalla nave mercantile norvegese Tampa) per non "contaminare" eccessivamente il ceppo di popolazione anglosassone? La reazionaria deriva anticlandestini del Paese Felice appare tanto più sorprendente se si pensa che nella "Fortezza Australia" un cittadino su quattro è nato oltreoceano. Infatti, la prima colonia bianca di 859 tra condannati e guardie penitenziarie fu stabilita dal governo britannico nel 1788, nell'attuale Sydney. Non c'è inoltre alcun dubbio che l'Australia moderna abbia tratto origine dall'immigrazione. Nel 1945 accolse addirittura 580 mila profughi con appositi programmi umanitari. Poi, tra il 1977 e il 1991 vi giunsero 130 mila profughi indocinesi, quando il governo liberale accolse i boat people vietnamiti. Va qui tuttavia ricordato che solo nel 1973 venne abbandonata la legge "Australia bianca": un test di lingua inglese che impediva l'ingresso in terra australiana delle persone di pelle scura.
La contraddittoria politica sull'immigrazione del precedente governo del premier laburista Paul Keating spianò la strada al razzismo di Stato, in quanto contemporaneamente propose un'Australia multiculturale e aprì nel deserto i campi di sicurezza a gestione privata (sarebbe più corretto chiamarli lager) per rinchiudervi quanti arrivavano senza autorizzazione. Ripetuti rapporti dell'Onu hanno evidenziato in questi lager patenti violazioni dei diritti umani.
Ma è nel 1996 che si consuma l'attuale svolta caratterizzata dal razzismo di Stato. Il 6 gennaio 1996 una donna praticamente sconosciuta, Pauline Hanson con una lettera pubblica criticava i privilegi, a suo dire immeritati, di cui godevano gli aborigeni australiani. Questa venditrice di fish and chips a Ipswich, nel Queensland, metteva in discussione "i fondi, le agevolazioni e le opportunità" che il governo concedeva agli aborigeni per controbilanciare i loro svantaggi. "One Nation", il partito di Pauline, nel 1998 rese pubblico il documento su immigrazione, popolazione e coesione sociale, che trasudava intolleranza. Eccone un significativo frammento: "Così come è ora, l'immigrazione porterà all'asiaticizzazione dell'Australia e si avranno città in gran parte asiatiche sulle nostre coste, che differiranno da un punto di vista culturale e razziale dal tradizionale carattere australiano del resto del paese. L'immigrazione deve quindi essere consentita sempre che le cifre non alterino in modo significativo la composizione etnica e culturale del paese". In seguito al successo di "One Nation", la Hanson venne eletta al parlamento del Queensland e nel suo primo discorso agitò il rischio per l'Australia di essere "inondata" dagli immigranti asiatici, a cui aggiunse un attacco al multiculturalismo, un lamento per la vendita di imprese australiane agli stranieri condito da alcuni suggerimenti relativi al taglio degli aiuti destinati all'estero e alla revisione dei rapporti con le Nazioni Unite.
A livello nazionale, numerosi comuni cittadini si sono identificati con la signora di Ipswich: quel 40% della popolazione che non comprendeva perché erano stati abbandonati i costumi e le vecchie usanze dell'Australia bianca.
Timorosa di perdere la propria base elettorale, la coalizione conservatrice al governo ha ulteriormente inasprito la sua politica contro gli immigrati. Proprio la scorsa settimana il governo, con l'appoggio dei laburisti, si è impegnato ad aprire altri cinque lager per rinchiudervi, anche per la durata di cinque anni, i clandestini in fuga. L'invio delle teste di cuoio contro i disperati raccolti dalla Tampa è solo l'ultimo atto di questa infame politica contro l'immigrazione.

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