02 Settembre 2001
 
 
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La Tampa sbarca. Anzi no
Gli oltre 400 profughi rifiutati dal governo australiano restano dove sono da ormai sette giorni: sospesi nell'Oceano. Ieri, dopo l'approvazione di un piano di accoglienza provvisorio tra Nuova Zelanda, Nauru e Australia, la loro odissea sembrava finalmente conclusa. Ma un giudice ha bloccato la nave per discutere il ricorso di un'associazione contro l'intransigenza di Sidney CINZIA GUBBINI

Si potrebbe incolpare il destino cinico e baro, se non fossero sin troppo chiare le responsabilità politiche: la vicenda dei 433 profughi afghani che da sei giorni si trovano a bordo della nave norvegese Tampa al largo dell'isola australiana Christmas non accenna a concludersi. Ora ci si mette anche il giudice federale Tony North, che ieri ha bloccato un accordo raggiunto in mattinata per trasportare i migranti nella Repubblica di Nauru e in Nuova Zelanda. Il giudice, infatti, ha vietato alla nave di lasciare le acque australiane in vista dell'udienza di oggi, in cui si dicuterà un ricorso presentato dall'associazione umanitaria "Victorian council for civic liberties" teso a costringere il governo australiano a far sbarcare i profughi sull'isola Christmas e a chiedere asilo politico in Australia.
E pensare che ieri il caso sembrava chiuso, e nella conclusione sembrava di leggere una parabola, visto che la più piccola repubblica del mondo, quella di Nauru, aveva deciso si accogliere 310 profughi, mentre il resto sarebbe andato in Nuova Zelanda. E' vero che il premier di Nauru aveva tenuto a precisare che gli immigrati, perlopiù afghani, avrebbero potuto fermarsi sull'isola soltanto per tre mesi. E oltretutto sarebbe stata l'Australia a sostenere finanziariamente lo sbarco e la permanenza dei migranti, ma è sempre meglio di niente. Persino Helen Clark, premier neozelandese, che ha accettato di ospitare i profughi idonei a ricevere asilo politico ieri si lamentava: "Non è giusto chiedere a un esiguo numero di paesi di risolvere la questione dei rifugiati. La comunità internazionale deve assumersi le proprie responsabilità". Certo, la nuova Zelanda è uno dei 12 paesi (al mondo) che ha accettato di stabilire quote annuali di accoglienza per i rifugiati, ma il tetto fissato quest'anno è di 750 persone, nulla in confronto alle 95 mila domande d'asilo accettate nel '99 dalla Germania, per fare un esempio.
Comunque anche se Nauru e Nuova Zelanda avessero accolto a braccia aperte i profughi, non sarebbero finiti i problemi. Pare infatti che sia molto difficile trasportarli fino in Nuova Zelanda. La Tampa non può affrontare un lungo viaggio e l'Australia si rifiuta di far sbarcare i profughi in territorio australiano anche solo per poche ore.
Da parte sua l'Alto commissariato delle nazioni unite manda a dire da Ginevra: "raccondiamo che qualsiasi azione sia portata avanti con umanità". Continuando a sostenere la soluzione più logica, che è poi quella contenuta nel ricorso, e cioè che i profughi accedano alle procedure per la richiesta d'asilo in territorio australiano. Ma l'Australia è un osso duro. Sull'atteggiamento autistico del governo pesa probabilmente la necessità di non perdere la faccia proprio all'ultimo, dopo aver dimostrato tanta severità per mandare, come ama ripetere il premier conservatore Howard, un segnale agli immigrati che ogni anno arrivano irregolarmente nel paese (non più di 5 mila, in media). Non giovano poi le telefonate di appoggio alla linea del governo con cui gli australiani continuano a tempestare i programmi radiofonici dedicati al tema, visto che i sondaggi danno per probabile la sconfitta dei conservatori alle prossime elezioni. Ma non mancano le voci critiche che in questi giorni hanno censurato il comportamento dell'Australia, a partire dal senatore australiano verde Bob Brown che ha detto: "Stiamo infangando la reputazione del paese".
L'unica nota positiva di tutta la vicenda è la determinazione dei profughi stessi, che sono riusciti a sollevare un caso mondiale. E la protesta si estende. 138 afghani, detenuti da due settimane in un carcere indonesiano dopo essersi salvati da un naufragio, sono scesi in sciopero della fame "finché non ci faranno lasciare questo posto e non ci permetteranno di fare domanda per il diritto d'asilo".

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