A Durban
i "niggers"
palestinesi
Si apre in Sudafrica la Conferenza contro il razzismo.
E scende in piazza il Durban social forum con una manifestazione
grande e colorata. Ventimila persone,
con nel cuore la tragedia della Palestina.
Kofi Annan: Israele non si nasconda dietro la Shoa...
MARINA FORTI -
INVIATA A DURBAN
Il campo sportivo Technikon Natal trabocca, e continuano ad
arrivare autobus zeppi. Finalmente la folla si avvia all'uscita.
In testa lo striscione del Durban Social Forum con una variante
dello slogan divenuto celebre nella città brasiliana di Porto
Alegre: "Un mondo migliore è possibile". Sono appena passate le
dieci del mattino e migliaia di persone si muovono da
quest'angolo al bordo di Durban per puntare verso il centro
cittadino. Il corteo è dominato dalle bandiere palestinesi e
dalle kefiah, e dagli striscioni con scritto: amandla
intifada, vittoria all'intifada palestinese - amandla
è la parola resa quasi uno slogan da decenni di lotta contro
l'apartheid in Sudafrica. Negli stessi minuti, nel Convention
Centre adiacente all'Hilton, il presidente sudafricano Thabo
Mbeki salutava i suoi ospiti: la Conferenza delle Nazioni unite
"contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e
le relative intolleranze" ha preso il via. Una conferenza
difficile, ha subito aggiunto il segretario dell'Onu Kofi Annan.
C'è una quindicina di capi di stato o di governo (ne erano attesi
di più), di cui nessuno da Europa né tantomeno Stati uniti. Sarà
per la polemica sulla politica di Israele nei territori
palestinesi - o perché in fondo razzismo, schiavismo e
colonialismo sono temi che appassionano solo il terzo mondo?
Il corteo che avanza per le strade di Durban ha comunque il suo
messaggio da portare alla Conferenza. Sono quindici, forse
ventimila persone. La numerosa rappresentanza palestinese ha
l'onore dello spezzone iniziale. Ci sono persone appena arrivate
dai Territori palestinesi, i rappresentanti di organizzazioni non
governative di altri paesi arabi. Donne in jeans e altre in abiti
più ortodossi con il foulard musulmano. Striscioni che chiedono
di processare il premier israeliano Sharon come criminale di
guerra, cartelli che affermano "Israele è uno stato razzista",
altri che accusano: "George Bush, hai sangue palestinese sulle
mani". Ci sono i "rabbini contro il sionismo", con le loro
palandrane nere, cappelli e boccoli, a braccetto con militanti
sudafricani del movimento dei senzaterra e con ragazzi arabi con
la kefiah. Poi ci sono centinaia di giovani militanti del
"Movimento dei giovani musulmani" del Sudafrica: sono i più
numerosi. Hanno cartelli che chiedono "libertà per i nostri
fratelli e sorelle" palestinesi. Dicono che "Israele è uno stato
terrorista".
Ma il corteo è ancora all'inizio. Avanza il gruppo degli indiani,
donne in sari e uomini con le camice kurta: hanno bandane con
scritto "i diritti dei Dalit sono diritti umani" (Dalit è il nome
generico per tutti i fuoricasta, quelli che nel sistema castale
hindu sono gli "intoccabili"). Anche loro portano bandierine
palestinesi, mentre i cartelli ricordano che "ci sono 260 milioni
di buoni motivi per includere la casta nella conferenza contro il
razzismo", tanti quanti sono le persne definite intoccabili oggi
al mondo. Le buone cause si mescolano: striscioni per i diritti
dei migranti, cartelli che chiedono di fermarte il massacro dei
tamil nello Sri Lanka. Poi arriva il furgone del Comitato
nazionale per la terra, una delle organizzazioni che un mese fa
ha formato il Durban Social Forum: è il movimento dei senzaterra
sudafricani, sono centinaia. Sostengono che è una conseguenza del
sistema razzista se i neri sono senza terra - e che la
redistribuzione delle terre è una delle questioni ancora aperte
nel Sudafrica post-apartheid.
I militanti del "Movimento dei giovani musulmani" urlano "Allahu
akhbar", dio è grande. Tra loro gruppi di ragazze giovanissime
con lunghe palandrane blu o nere e il foulard islamico, o ragazzi
con la tunica bianca. Uno striscione affianca due nomi: Hector
Peterson e Muhammad Al-Durrah "sono morti per la stessa causa".
Circola un volantino che affianca due foto famose: quella
scattata nella township sudafricana di Soweto nel 1976, un
ragazzo tiene tra le braccia un bambinetto appena ucciso dalla
polizia che ha sparato sugli studenti neri (è Hector Peterson). E
quella di un padre che cerca di riparare suo figlio a Gaza, il 2
ottobre 2000, ma non riesce a inpedire che sia ucciso dalle
pallottole israeliane. La lotta dei palestinesi risuona in
Sudafrica. Risuona anche a livelli più ufficiali: l'African
National Congress, il partito che è al governo dopo aver
sconfitto il regime dell'apartheid, scrive nel suo notiziario di
questi giorni che "una conferenza internazionale contro il
razzismo non può evitare di discutere le pratiche razziste dello
stato di Israele contro il popolo palestinese: elenca l'uso di
proiettili veri contro la popolazione civile, le forme di
punizione collettiva inflitte ai palestinesi, le colonie
illegali...
La questione palestinese risuona anche nelle sale della
Conferenza ed è inevitabile. Stati uniti, Canada e Israele hanno
mandato qui sono delegazioni di basso livello accusando la
conferenza di tenere propositi accusatori contro lo stato
ebraico. "Questa conferenza è stata straordinariamente difficile
da preparare", ha detto Kofi Annan ieri nel suo discorso
inaugurale, e si riferiva al Medio Oriente: "il popolo ebraico è
stato vittima dell'anti-semitismo in molte parti del mondo e in
europa è stato oggetto dell'Olocausto, supremo abominio. ... Si
capisce dunque che molti ebrei risentano di essere accusati di
razzismo. Eppure non possiamo aspettarci che i palestinesi
accettino questa come una ragione perché i torti inflitti a loro
- l'occupazione, gli sfollati, il blocco, ora le uccisioni
extragiudiziarie - siano accettati, comunque li si voglia
definire".
Sono le parole più dure tenute finora sulla questione palestinese
dai microfoni ufficiali. Ben più dure di quelle usate dal
presidente sudafricano Mbeki: l'altro giorno ha attaccato il
razzismo e una globalizzazione "non inclusiva", ma poi si è
limitato a condanare la "de-umanizzazione causata
dall'oppressione razziale e di genere, dalla discriminazione e la
povertà, o dalla mancanza di uno stato, come succede ai
palestinesi". E molti attivisti di movimenti sociali sudafricani
si sono dichiarati delusi dalla moderazione del loro presidente.
Così alcuni cartelli accusano: "Mbeki è un bugiardo", "Fate
pagare i colonizzatori", "Risarcimenti per la schiavitù". Ci sono
anche i comitati di quartiere che lottano contro gli sfratti, o
contro il taglio di acqua e luce a chi non riesce a pagare le
bollette.
Il corteo costeggia il Mercato indiano e taglia il quartiere che
sa di curry (a Durban sono molti i discendenti degli indiani
portati qui a lavorare dai britannici nel secolo scorso: era
approdato qui anche il Mahatma Gandhi). Gli indiani (quelli
venuti invece dall'India) cantano "no apartheid" e "diritti dei
dalit" accompagnandosi sui tamburi, gli africani alternano
slogans ritmati. Costeggiamo supermercati popolari, negozi di
pegni (pawn shops), palazzoni con le insegne di chiese
"dell'ultimo testamento" o sociatà del Corano. Il corteo arriva
infine davanti al Convention centre (ben protetto dalla polizia
sudafricana). Gli organizzatori del Durban Social Forum chiedono
che venga il presidente Mbeki, vogliono dargli un memorandum e
una petizione dei senzaterra. Restano delusi quando arriva un
delegato del presidente. I senzaterra, centinaia, e restano a
rumoreggiare davanti alla barriera di polizia. Un religioso
intona le orazioni e qualche centinaio di ragazze e ragazzi in
abiti islamici si rivolge verso la mecca per pregare. Il corteo
si scioglie.
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