01 Settembre 2001
 
 
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A Durban i "niggers" palestinesi
Si apre in Sudafrica la Conferenza contro il razzismo. E scende in piazza il Durban social forum con una manifestazione grande e colorata. Ventimila persone, con nel cuore la tragedia della Palestina. Kofi Annan: Israele non si nasconda dietro la Shoa... MARINA FORTI - INVIATA A DURBAN

Il campo sportivo Technikon Natal trabocca, e continuano ad arrivare autobus zeppi. Finalmente la folla si avvia all'uscita. In testa lo striscione del Durban Social Forum con una variante dello slogan divenuto celebre nella città brasiliana di Porto Alegre: "Un mondo migliore è possibile". Sono appena passate le dieci del mattino e migliaia di persone si muovono da quest'angolo al bordo di Durban per puntare verso il centro cittadino. Il corteo è dominato dalle bandiere palestinesi e dalle kefiah, e dagli striscioni con scritto: amandla intifada, vittoria all'intifada palestinese - amandla è la parola resa quasi uno slogan da decenni di lotta contro l'apartheid in Sudafrica. Negli stessi minuti, nel Convention Centre adiacente all'Hilton, il presidente sudafricano Thabo Mbeki salutava i suoi ospiti: la Conferenza delle Nazioni unite "contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative intolleranze" ha preso il via. Una conferenza difficile, ha subito aggiunto il segretario dell'Onu Kofi Annan. C'è una quindicina di capi di stato o di governo (ne erano attesi di più), di cui nessuno da Europa né tantomeno Stati uniti. Sarà per la polemica sulla politica di Israele nei territori palestinesi - o perché in fondo razzismo, schiavismo e colonialismo sono temi che appassionano solo il terzo mondo?
Il corteo che avanza per le strade di Durban ha comunque il suo messaggio da portare alla Conferenza. Sono quindici, forse ventimila persone. La numerosa rappresentanza palestinese ha l'onore dello spezzone iniziale. Ci sono persone appena arrivate dai Territori palestinesi, i rappresentanti di organizzazioni non governative di altri paesi arabi. Donne in jeans e altre in abiti più ortodossi con il foulard musulmano. Striscioni che chiedono di processare il premier israeliano Sharon come criminale di guerra, cartelli che affermano "Israele è uno stato razzista", altri che accusano: "George Bush, hai sangue palestinese sulle mani". Ci sono i "rabbini contro il sionismo", con le loro palandrane nere, cappelli e boccoli, a braccetto con militanti sudafricani del movimento dei senzaterra e con ragazzi arabi con la kefiah. Poi ci sono centinaia di giovani militanti del "Movimento dei giovani musulmani" del Sudafrica: sono i più numerosi. Hanno cartelli che chiedono "libertà per i nostri fratelli e sorelle" palestinesi. Dicono che "Israele è uno stato terrorista".
Ma il corteo è ancora all'inizio. Avanza il gruppo degli indiani, donne in sari e uomini con le camice kurta: hanno bandane con scritto "i diritti dei Dalit sono diritti umani" (Dalit è il nome generico per tutti i fuoricasta, quelli che nel sistema castale hindu sono gli "intoccabili"). Anche loro portano bandierine palestinesi, mentre i cartelli ricordano che "ci sono 260 milioni di buoni motivi per includere la casta nella conferenza contro il razzismo", tanti quanti sono le persne definite intoccabili oggi al mondo. Le buone cause si mescolano: striscioni per i diritti dei migranti, cartelli che chiedono di fermarte il massacro dei tamil nello Sri Lanka. Poi arriva il furgone del Comitato nazionale per la terra, una delle organizzazioni che un mese fa ha formato il Durban Social Forum: è il movimento dei senzaterra sudafricani, sono centinaia. Sostengono che è una conseguenza del sistema razzista se i neri sono senza terra - e che la redistribuzione delle terre è una delle questioni ancora aperte nel Sudafrica post-apartheid.
I militanti del "Movimento dei giovani musulmani" urlano "Allahu akhbar", dio è grande. Tra loro gruppi di ragazze giovanissime con lunghe palandrane blu o nere e il foulard islamico, o ragazzi con la tunica bianca. Uno striscione affianca due nomi: Hector Peterson e Muhammad Al-Durrah "sono morti per la stessa causa". Circola un volantino che affianca due foto famose: quella scattata nella township sudafricana di Soweto nel 1976, un ragazzo tiene tra le braccia un bambinetto appena ucciso dalla polizia che ha sparato sugli studenti neri (è Hector Peterson). E quella di un padre che cerca di riparare suo figlio a Gaza, il 2 ottobre 2000, ma non riesce a inpedire che sia ucciso dalle pallottole israeliane. La lotta dei palestinesi risuona in Sudafrica. Risuona anche a livelli più ufficiali: l'African National Congress, il partito che è al governo dopo aver sconfitto il regime dell'apartheid, scrive nel suo notiziario di questi giorni che "una conferenza internazionale contro il razzismo non può evitare di discutere le pratiche razziste dello stato di Israele contro il popolo palestinese: elenca l'uso di proiettili veri contro la popolazione civile, le forme di punizione collettiva inflitte ai palestinesi, le colonie illegali...
La questione palestinese risuona anche nelle sale della Conferenza ed è inevitabile. Stati uniti, Canada e Israele hanno mandato qui sono delegazioni di basso livello accusando la conferenza di tenere propositi accusatori contro lo stato ebraico. "Questa conferenza è stata straordinariamente difficile da preparare", ha detto Kofi Annan ieri nel suo discorso inaugurale, e si riferiva al Medio Oriente: "il popolo ebraico è stato vittima dell'anti-semitismo in molte parti del mondo e in europa è stato oggetto dell'Olocausto, supremo abominio. ... Si capisce dunque che molti ebrei risentano di essere accusati di razzismo. Eppure non possiamo aspettarci che i palestinesi accettino questa come una ragione perché i torti inflitti a loro - l'occupazione, gli sfollati, il blocco, ora le uccisioni extragiudiziarie - siano accettati, comunque li si voglia definire".
Sono le parole più dure tenute finora sulla questione palestinese dai microfoni ufficiali. Ben più dure di quelle usate dal presidente sudafricano Mbeki: l'altro giorno ha attaccato il razzismo e una globalizzazione "non inclusiva", ma poi si è limitato a condanare la "de-umanizzazione causata dall'oppressione razziale e di genere, dalla discriminazione e la povertà, o dalla mancanza di uno stato, come succede ai palestinesi". E molti attivisti di movimenti sociali sudafricani si sono dichiarati delusi dalla moderazione del loro presidente. Così alcuni cartelli accusano: "Mbeki è un bugiardo", "Fate pagare i colonizzatori", "Risarcimenti per la schiavitù". Ci sono anche i comitati di quartiere che lottano contro gli sfratti, o contro il taglio di acqua e luce a chi non riesce a pagare le bollette.
Il corteo costeggia il Mercato indiano e taglia il quartiere che sa di curry (a Durban sono molti i discendenti degli indiani portati qui a lavorare dai britannici nel secolo scorso: era approdato qui anche il Mahatma Gandhi). Gli indiani (quelli venuti invece dall'India) cantano "no apartheid" e "diritti dei dalit" accompagnandosi sui tamburi, gli africani alternano slogans ritmati. Costeggiamo supermercati popolari, negozi di pegni (pawn shops), palazzoni con le insegne di chiese "dell'ultimo testamento" o sociatà del Corano. Il corteo arriva infine davanti al Convention centre (ben protetto dalla polizia sudafricana). Gli organizzatori del Durban Social Forum chiedono che venga il presidente Mbeki, vogliono dargli un memorandum e una petizione dei senzaterra. Restano delusi quando arriva un delegato del presidente. I senzaterra, centinaia, e restano a rumoreggiare davanti alla barriera di polizia. Un religioso intona le orazioni e qualche centinaio di ragazze e ragazzi in abiti islamici si rivolge verso la mecca per pregare. Il corteo si scioglie.

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