01 Settembre 2001
 
 
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Annan condanna Israele
"L'Olocausto non rende accettabili i torti inflitti ai palestinesi": alla conferenza sul razzismo di Durban il leader dell'Onu si schiera subito con decisione. Sionismo-razzismo, Jesse Jackson media con Arafat
MARINA FORTI - INVIATA A DURBAN

L'atmosfera ovattata è già rotta. Nel modernissimo centro dei congressi di Durban è cominciata ieri la Conferenza delle Nazioni unite contro il razzismo, ed è stato lo stesso segretario dell'Onu, Kofi Annan, a mettere subito le carte in tavola. Non si è limitato a rendere omaggio al paese ospite, il Sudafrica: "per decenni il nome di questo paese era sinonimo del razzismo nella sua forma più vigliacca", ha ricordato, ma è proprio qui che l'apartheid è stato sconfitto - grazie a generazioni di combattenti per la giustizia, da Gandhi ai leader dell'African National Congress. Ma il razzismo va combattuto là dove si presenta, e Annan è andato alla questione più controversa di questi giorni: "Il popolo ebraico è stato vittima dell'anti-semitismo e in Europa è stato oggetto dell'Olocausto, supremo abominio. Eppure non possiamo aspettarci che i palestinesi accettino questa come una ragione perché i torti inflitti loro - l'occupazione, gli sfollati, il blocco, ora le uccisioni extragiudiziarie - siano accettati".
Annan non poteva evitare il riferimento al Medio Oriente. Gli Stati uniti, oltre al Canada e a Israele, hanno inviato una delegazione in tono minore dichiarando che non possono avallare una conferenza dove Israele viene etichettata di stato razzista. La polemica su Israele, e se il sionismo debba essere definito un progetto razzista, ha oscurato ogni altro tema: anche questioni importanti (e polemiche) come quella di come si debba riparare a secoli di schiavismo, o al persistere di discriminazioni razziali. La questione palestinese domina, a Durban. Per le strade, dove un corteo di 15, forse 20mila persone ieri ha messo insieme i senzaterra sudafricani, gli "intoccabili" indiani e la causa palestinese. Lo slogan amandla intifada, ripetuto su striscioni e cartelli, fa la sintesi. Ma domina anche all'interno della conferenza, dove ieri il leader dell'Autorità nazionale palestinese Yasser Arafat ha chiesto di sostenere il suo popolo: "La condanna dell'occupazione israeliana e delle sue leggi e pratiche razziste è una richiesta urgente del nostro popolo". A scaldare ancor più l'atmosfera è l'iniziativa del reverendo Jesse Jackson. Il leader dei diritti civili statunitense è andato a incontrare la delegazione palestinese uscendo dall'incontro con un documento manoscritto da Nabil Shaat, ministro degli esteri dell'Anp. I palestinesi, riferisce Jackson, hanno lasciato cadere l'equazione tra sionismo e razzismo. E lo dice, il reverendo americano, per polemizzare con il suo governo: non può essere questa la scusa per non venire a Durban, a discutere di discriminazione razziale. E' un fatto: nessun capo di stato occidentale si è degnato di scendere a Durban.

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