Annan condanna Israele
"L'Olocausto non rende accettabili i torti
inflitti ai palestinesi": alla conferenza sul razzismo di Durban
il leader dell'Onu si schiera subito con decisione.
Sionismo-razzismo, Jesse Jackson media con Arafat
MARINA FORTI -
INVIATA A DURBAN
L'atmosfera ovattata è già rotta. Nel modernissimo centro
dei congressi di Durban è cominciata ieri la Conferenza delle
Nazioni unite contro il razzismo, ed è stato lo stesso segretario
dell'Onu, Kofi Annan, a mettere subito le carte in tavola. Non si
è limitato a rendere omaggio al paese ospite, il Sudafrica: "per
decenni il nome di questo paese era sinonimo del razzismo nella
sua forma più vigliacca", ha ricordato, ma è proprio qui che
l'apartheid è stato sconfitto - grazie a generazioni di
combattenti per la giustizia, da Gandhi ai leader dell'African
National Congress. Ma il razzismo va combattuto là dove si
presenta, e Annan è andato alla questione più controversa di
questi giorni: "Il popolo ebraico è stato vittima
dell'anti-semitismo e in Europa è stato oggetto dell'Olocausto,
supremo abominio. Eppure non possiamo aspettarci che i
palestinesi accettino questa come una ragione perché i torti
inflitti loro - l'occupazione, gli sfollati, il blocco, ora le
uccisioni extragiudiziarie - siano accettati".
Annan non poteva evitare il riferimento al Medio Oriente. Gli
Stati uniti, oltre al Canada e a Israele, hanno inviato una
delegazione in tono minore dichiarando che non possono avallare
una conferenza dove Israele viene etichettata di stato razzista.
La polemica su Israele, e se il sionismo debba essere definito un
progetto razzista, ha oscurato ogni altro tema: anche questioni
importanti (e polemiche) come quella di come si debba riparare a
secoli di schiavismo, o al persistere di discriminazioni
razziali. La questione palestinese domina, a Durban. Per le
strade, dove un corteo di 15, forse 20mila persone ieri ha messo
insieme i senzaterra sudafricani, gli "intoccabili" indiani e la
causa palestinese. Lo slogan amandla intifada, ripetuto
su striscioni e cartelli, fa la sintesi. Ma domina anche
all'interno della conferenza, dove ieri il leader dell'Autorità
nazionale palestinese Yasser Arafat ha chiesto di sostenere il
suo popolo: "La condanna dell'occupazione israeliana e delle sue
leggi e pratiche razziste è una richiesta urgente del nostro
popolo". A scaldare ancor più l'atmosfera è l'iniziativa del
reverendo Jesse Jackson. Il leader dei diritti civili
statunitense è andato a incontrare la delegazione palestinese
uscendo dall'incontro con un documento manoscritto da Nabil
Shaat, ministro degli esteri dell'Anp. I palestinesi, riferisce
Jackson, hanno lasciato cadere l'equazione tra sionismo e
razzismo. E lo dice, il reverendo americano, per polemizzare con
il suo governo: non può essere questa la scusa per non venire a
Durban, a discutere di discriminazione razziale. E' un fatto:
nessun capo di stato occidentale si è degnato di scendere a
Durban.
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