30 Agosto 2001
 
 
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Pirati d'Australia
Il presidente John Howard ordina alle sue teste di cuoio di abbordare il cargo norvegese Tampa che, carico di profughi afghani salvati da un naufragio, aveva osato entrare nelle acque territoriali australiane. Ma il comandante si rifiuta di muoversi. Denuncia all'Onu
R. ZAN.

Ipirati sono andati all'assalto di buon mattino, salpando su un gommone superpotente. Conoscevano la preda e il suo carico. Hanno abbordato il cargo senza difficoltà, sono saliti, hanno preso il comando della nave senza sparare un colpo. I pirati conoscono bene il loro mestiere. Sono stati addestrati per questo, hanno dimostrato il loro valore in decine di operazioni. Vestivano le insegne della Special Air Service, le Sas, le teste di cuoio australiane.
E lo erano. Al largo dell'Isola Christmas, un sogno di spiagge e palme sprofondata nell'oceano a metà strada tra l'Australia e l'Indonesia - mare di pirati veri, di vascelli carichi di spezie e di tesori - le truppe d'assalto inviate dal primo ministro australiano John Howard hanno conquistato il cargo norvegese Tampa e ispezionato il tesoro nella stiva: 438 rifugiati afghani in cerca di asilo, salvati dal naufragio due giorni fa. Materiale infettivo, esseri umani socialmente radioattivi, minacce bipedi a cui non permettere per alcun motivo di metter piede sul suolo australiano. Carne migrante che da giorni viene sballottata tra l'Australia a cui hanno chiesto asilo, l'Indonesia dove il cargo era diretto, la Norvegia a cui appartiene la nave che li ha salvati, la Nuova Zelanda che si è offerta di alloggiarli e il fondo dell'oceano che li stava per accogliere tutti quanti, demolendo a ondate la carriola rugginosa con cui erano salpati in fuga dal paese dei Talebani.
Per la prima volta l'Australia ha impedito l'attracco a una nave di profughi, per la prima volta ha inviato l'esercito a guardia dei propri confini, mai realmente minacciati nemmeno durante la Seconda guerra mondiale. Il parlamento australiano è riunito in seduta d'emergenza a Canberra, il governo conservatore ha proposto in fretta e un furia una legge speciale che consenta allo stato di respingere i profughi, nel frattempo le teste di cuoio hanno preso possesso del cargo norvegese e i medici militari di bordo si rifiutano di assistere i profughi finché la nave non uscirà dalle acque nazionali australiane, che aveva violato senza permesso. Il capitano della nave ha rifiutato di muoversi, il governo di Oslo ha emesso comunicati sdegnati, persino i Taleban hanno chiesto all'Onu di intervenire, l'Agenzia delle Nazioni unite per i profughi ha dettato note furiose ma niente da fare, la porta dell'isola più grande del mondo è rimasta chiusa. Diciotto milioni di abitanti per un territorio grande come l'Europa e non c'è posto per 438 persone, donne incinte, bambini. Tanto da dover ricorrere alla pirateria.
Da molti anni le coste australiane sono chiuse ai profughi. Una chiusura permeabile, da cui filtrano migliaia di persone ogni anno passando dalle purghe dei "centri di accoglienza" al cui confronto quelli italiani sono palazzi principeschi: giri di filo spinato che cingono baracche nel Northern Territory, in zone desertiche e bollenti, in cui viene ammassata l'intera quantità di boat people che riesce in un modo o nell'altro a vincere il mare e arrivare in Australia. E' come l'America, di serie B ma a portata di mano e di speranza dei poveri del sudest asiatico e dell'Oriente più o meno lontano. Ci restano anni, nei centri di detenzione, i profughi in cerca di asilo. Mentre le ambasciate australiane in Vietnam, Laos, Cambogia, Cina e altrove verificano con pignoleria di ragionieri se effettivamente il signor Ming o Dhieu o cos'altro è un perseguitato politico, e se sì perché, e se lo è che cosa rischia se torna in patria, e se effettivamente rischia va bene, faccia le carte, si metta in coda e speriamo che rientri nella quota di immigrati prevista dalla legge, 12mila massimo ogni anno, tanti auguri.
Dopo aver costruito la propria storia con i residui delle galere inglesi, (la storiografia ufficiale australiana afferma che i deportati erano coraggiosi irredentisti irlandesi, quella ufficiosa dimostra che ladri, assassini, prostitute e falsari hanno costituito il grosso della colonizzazione forzata imposta dalla Corona), l'Australia si è fatta una fama di paese aperto, anzi apertissimo. La casella postale della radio statale australiana, la Sbs, è forse l'unico residuo di decenni passati ad accogliere tutto e tutti: in ogni sede Sbs, a Sydney come a Melbourne, la posta viene infilata in un gigantesco pannello diviso in oltre duecento caselle, ognuna con l'etichetta di una lingua diversa: italiano, swahili, serbocroato, hindu, bahasa malaysia, urdu e tutte le lingue in cui gli esseri umani si esprimono, la torre di Babele organizzata in una stanza. Erano altri tempi. Oggi le teste di cuoio abbordano le navi che osano entrare con carichi non anglofoni, dopo essersi fatti un nome difendendo manu militari le proprietà delle compagnie minerarie australiane a Papua, minacciate da scontri di piazza.
Sulla Tampa invasa dalle teste di cuoio, intanto, scarseggia tutto tranne la disperazione. Il cargo potrebbe ospitare quaranta persone, ma tra le montagne di container ammassati si accalcano i profughi, minacciando di buttarsi in mare se la nave cambierà rotta, rifiutando il cibo. Non sanno nulla della campagna elettorale in corso in Australia, i profughi afghani, ed è a quella che devono il loro status di problema internazionale. L'ultradestra ha guadagnato fette di consensi rilevanti che i sondaggisti dicono in libera uscita, laburisti e conservatori fanno a gara per aggiudicarseli, rincorrendo a destra qualsiasi paura della massa di australiani bianchi con un po' di benessere e tutta l'intenzione di non dividerlo con nessuno. Bipartisanship quasi perfetta, quella che va in scena a Canberra, e non sarà un comunicato ufficiale della Croce rossa che parla di trattamento "inaccettabile e inumano" a far cambiare rotta a un paese che ha chiuso la porta. L'ultima grande ondata di immigrazione si verificò nell'89, quando l'allora premier, sconvolto dalle scene televisive trasmesse da piazza Tiananmen, disse a reti unificate che avrebbe convesso il visto a tutti i cinesi che l'avessero chiesto. La mattina successiva si presentarono ventimila studenti cinesi, ognuno con il proprio passaporto, e l'immigrazione in Australia diventò improvvisamente un tema delicato.
Nonostante l'assalto, la Tampa non si è mossa dalle acque australiane. Il capitano ha rifiutato di salpare. Cosa faranno i pirati?

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