24 Agosto 2001
 
 
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La lunga rivolta dei contadini messicani
Sono quotidiani i blocchi stradali contro il mais che arriva dagli Usa. I campesinos chiedono di limitare l'import che deprime il mercato locale
FULVIO GIOANETTO - MICHOACAN (MESSICO)

Ogni giorno gruppi di agricoltori, produttori di mais e di grano degli stati di Sonora e Sinaloa, nel Messico settentrionale, improvvisano posti di blocco sulle strade che arrivano dagli Stati uniti: intercettano ai posti di controllo fitosanitario i camion che importano cereali dagli Stati uniti, di bassa qualitá nutritiva, e li svuotano sull'asfalto. Per i camionisti è diventata un'impresa passare questi posti di blocco spontanei, che si spostano di continuo per non essere localizzati in anticipo. Giorni fa 400 contadini hanno bloccato addirittura la strada Panmericana al chilometro 3, sul ponte internazionale di Ciudad Juarez (stato di Chihuahua), uno dei maggiori passaggi tra gli Usa e il Messico. Chiedono, come sempre, che si riducano le quote di importazione dagli Stati uniti, che considerano sleali, e che si valorizzi invece il mercato locale. Chiedono anche la riduzione del prezzo del diesel, oramai esorbitante (un paradosso in un paese come il Messico che produce ed esporta petrolio).
Piú a sud, negli stati di Zacatecas, Veracruz e Michoacan, gli impoveriti, indebitati e defraudati produttori di canna da zucchero occupano decine di zuccherifici e uffici ministeriali: chiedono che gli siano versati i soldi del precedente raccolto, che astuti industriali avevano "inglobato" nei loro debiti bancari con una manovra finanziaria assai spregiudicata. Anche i produttori di riso, ananas e legumi sono ormai sul piede di guerra.
Da poco si sono spenti i riflettori dei media sulla manifestazione nazionale degli agricoltori a Cittá del Messico, che doveva portare nella capitale la voce degli oppressi delle campagne, le lotte silenziose e dimenticate di tante generazioni di campesinos da sempre sfruttati. La marcia coincideva oltretutto con l'anniversario della nascita di Emiliano Zapata, il tanto amato generale dell'Armata del Sud e della "Terra, Democrazia e Libertá", in un paese dove ancora si muore nei conflitti agrari (34.000 cause di legalizazzione si trascinano da anni) e per il diritto a coltivare la terra (45 persone sono morte dall'inizio dell'anno in conflitti fra comunitá indigene e allevatori, in lotte intetniche o fra ejidos - collettività di villaggio - e comunitá). La marcia è stata sottotono, per il numero dei partecipanti e per le divisioni interne nella galassia delle 56 organizazzioni e sindacati che, ciascuna a suo modo, dicono rappresentare il movimento contadino messicano - nondimeno il ministro dell'agricoltura è stato obbligato a scusarsi con i leaders sindacali contadini, che aveva qualche giorno prima accusati fra l'altro, e non del tutto a torto, di essere dei burocrati corrotti. Ben più impatto nell'opinione comune aveva avuto la marcia, a cavallo e veicoli a motore, che mesi fa avevano organizzato gli organismi contadini e dei consumatori indipendenti dall'assetato nord fino all'inquinata e opulenta Cittá del Messico, dove oltre agli abituali blocchi e picchetti davanti ai ministeri avevano organizzato vendita di fagioli, riso, mais e latte nelle piazze della capitale.
Tutti segnali di quanto complessa e tragica sia la situazione degli agricoltori messicani, non riducibile alla semplice visione di vittime delle assurde e inefficaci logiche economiche del neoliberalismo in Centroamerica. Tragica come in Chihuahua o in Aguascalientes, dove ormai centinaia di paesi e piccole cittadine rurali sono spopolate per la prolungata siccitá e per l'assenza di aiuti e crediti ai contadini, costretti alla scelta dolorosa e forzata dell'emigrazione verso gli Stati Uniti. Alcune cifre, che ovviamente non esauriscono la tragedia umana, ecologica e sociale di questo immenso esodo. In questi ultimi tre anni 15 milioni di contadini messicani hanno dovuto abbandonare le loro terre. Hanno perso raccolti, terre e famiglie in aree e zone rurali dove prima si produceva, magari poco, ma si campava. La miseria sta lasciando dietro di sé paesi fantasma. Migrazioni forzate verso gli Usa, una traversata in cui centinaia di persone continuano a morire o dove si massacra povera gente nella piú completa legalitá (dal settembre 1999 a oggi sono morti 269 cittadini messicani alla frontiera con Texas, 140 in California e 106 in Arizona): persone colpevoli di cercare di passare la frontiera senza documenti in cerca di lavoro sottopagato.
Stati come Aguascalientes, Durango e Zacatecas stanno affrontando l'ottavo anno di siccitá. Esempi emblematici di quanto sta accadendo sono il mais e il caffè. Nonostante l'esodo contadino e le avverse condizioni climatiche, il raccolto di mais previsto quest'anno avrá un'eccedenza di 3 milioni e mezzo di tonnellate: secondo la Cnc (Confedercion Nacional Campesina) bastano a "coprire il fabbisogno del mercato nazionale e anche assicurare un volume di quattro mesi di immagazzinamento". L'organizzazzione statunitense Public Citizen segnala che tra il 1993 e il '99 le importazioni in Messico del mais bianco statunitense (prodotto nel "Corn Belt" per farne foraggio, ma qui utilizzato per uso alimentare) hanno provocato la distruzione dei mercati locali e la caduta del 46% del prezzo pagato ai contadini locali, la chiusura della Conasupo (l'organismo statale incaricato dell'acquisto del mais a prezzo sovvenzionato ai campesinos), l'aumento del 36% del prezzo della tortilla e la concentrazione del mercato del mais, ora controllato da quattro multinazionali. "La fede e la speranza mantengono viva l'illusione degli agricoltori" dichiarava giorni fa un alto responsabile della pianificazione agricola.
L'altro esempio viene dal caffè, un prodotto agricolo molto esportato, che finora manteneva vive le speranze di centinaia di migliaia di famiglie di piccoli agricoltori. Ma ora, a causa pare della produzione eccedente di aromatico in Vietnam, India e Colombia, il caffè marcisce nelle piantagioni messicane perché raccoglierlo costa molto piú caro (22-28% in più) del prezzo che spunterebbe quel caffè in un mercato mondializzato. Per salvaguardare la propria posizione sul mercato un gruppo di paesi produttori americano - Messico, Colombia, Costarica, Honduras e Nicaragua - avevano concordato un macropiano economico di miglioramento della qualitá (eliminazione delle varietá inferiori e non richieste dal mercato, blocco volontario da parte dei produttori di una parte del raccolto per attendere un miglioramento della domada del mercato): ma ora questo si sta rivelando catastrofico, anche per la corruzzione dilagante negli organismi incaricati di renderlo operativo. Lo stesso sta succedendo con ananas, mango, avocado e altri frutti tropicali, che finora si erano mantenuti sulla cresta dell'onda.
I campesinos messicani, come nell'epoca prerivoluzionaria, si trovano ancora una volta impoveriti dall'assenza di sussidi e crediti e dalla mancanza di mercati regionali: marginalizzati da un mercato sempre piú globalizzato, dove tra l'altro non riescono ad adeguarsi a standard di qualità a causa delle carenze tecniche e l'impossibilitá di comperare fertilizzanti adeguati. Da un lato dunque c'è un governo che dice di voler trasformare i contadini in imprenditori agricoli e accusa (giustamente) le precedenti amministrazioni di aver creato il caos nelle campagne, e intanto taglia crediti, aiuti e assistenza tecnica. D'altra parte i notabili politici del precedente regime del Pri (il Partito rivoluzionario istituzionale), che per anni hanno utilizzato la massa contadina come sottoproletariato elettorale da controlare con sistemi clientelari e sussidi paternalisti, adesso spingono quegli stessi contadini a rivendicare quello che non avevano ottenuto in 70 anni: diritto alla terra, valorizzazione corretta del loro lavoro, finanziamenti e una politica sostenibile di riordinamento del territorio.
Le preoccupazioni aumentano per quello che puó scoppiare. Giorni fa la stampa regionale e nazionale ha "riscoperto" che nelle campagne messicane circolano migliaia di armi ed operano guardie cantonali e rurali, armate e addestrate dall'esercito, per controllare il territorio e proteggere i produttori. E mentre i politici, di tutte le tendenze, discutono di come controllare questa fastidiosa e indisciplinata massa contadina e come alleviare gli annosi problemi dello sviluppo rurale, la povera gente continua ad emigrare clandestinamente, a morire di fame e di malnutrizione (ultimi esempi nella Sierra Tarahumara e nella mixteca di Oaxaca). Un problema comune in tutto il centro e sudamerica, dai Sim Tierras in Brasile ai recenti attacchi di un migliaio contadini affamati del Frente Social y Ciudadano ai supermercati di Asunción (Paraguay) alla ricerca di cibo.
Soluzioni ne esistono, alcune anche ben avviate e efficienti. Ci sono circa 120.000 ettari di produzioni biologiche certificate in tutto Messico, che traducono lo sforzo, tecnico ed umano, di migliaia di piccoli e medi agricoltori di soddisfare il crescente mercato del cibo naturale: la produzione non soddisfa le richieste di esportazione del mercato verso Usa, Canada, Europa, Giappone e Singapore. Altre esperienze interessanti, concretizzate per prodotti come la tequila, i vini (in Baja California) e alcuni formaggi (nel nord del paese), è la protezione e la valorizzazione di produzioni locali attraverso il sistema della denominazione di origine controllata, ben consosciuta in Italia e in tutta Europa per lo sviluppo di mercati alternativi e regionali. Uno sforzo importante di alcune amministrazioni e municipi soprattutto del nord, in un Messico dove non esiste nessuna politica di protezione delle produzioni agricole nazionali.

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