La lunga rivolta dei contadini
messicani Sono quotidiani i blocchi stradali contro il mais che
arriva dagli Usa. I campesinos chiedono di limitare l'import
che deprime il mercato locale FULVIO GIOANETTO - MICHOACAN
(MESSICO)
Ogni giorno gruppi di agricoltori,
produttori di mais e di grano degli stati di Sonora e Sinaloa,
nel Messico settentrionale, improvvisano posti di blocco sulle
strade che arrivano dagli Stati uniti: intercettano ai posti
di controllo fitosanitario i camion che importano cereali
dagli Stati uniti, di bassa qualitá nutritiva, e li svuotano
sull'asfalto. Per i camionisti è diventata un'impresa passare
questi posti di blocco spontanei, che si spostano di continuo
per non essere localizzati in anticipo. Giorni fa 400
contadini hanno bloccato addirittura la strada Panmericana al
chilometro 3, sul ponte internazionale di Ciudad Juarez (stato
di Chihuahua), uno dei maggiori passaggi tra gli Usa e il
Messico. Chiedono, come sempre, che si riducano le quote di
importazione dagli Stati uniti, che considerano sleali, e che
si valorizzi invece il mercato locale. Chiedono anche la
riduzione del prezzo del diesel, oramai esorbitante (un
paradosso in un paese come il Messico che produce ed esporta
petrolio). Piú a sud, negli stati di Zacatecas, Veracruz e
Michoacan, gli impoveriti, indebitati e defraudati produttori
di canna da zucchero occupano decine di zuccherifici e uffici
ministeriali: chiedono che gli siano versati i soldi del
precedente raccolto, che astuti industriali avevano
"inglobato" nei loro debiti bancari con una manovra
finanziaria assai spregiudicata. Anche i produttori di riso,
ananas e legumi sono ormai sul piede di guerra. Da poco si
sono spenti i riflettori dei media sulla manifestazione
nazionale degli agricoltori a Cittá del Messico, che doveva
portare nella capitale la voce degli oppressi delle campagne,
le lotte silenziose e dimenticate di tante generazioni di
campesinos da sempre sfruttati. La marcia coincideva
oltretutto con l'anniversario della nascita di Emiliano
Zapata, il tanto amato generale dell'Armata del Sud e della
"Terra, Democrazia e Libertá", in un paese dove ancora si
muore nei conflitti agrari (34.000 cause di legalizazzione si
trascinano da anni) e per il diritto a coltivare la terra (45
persone sono morte dall'inizio dell'anno in conflitti fra
comunitá indigene e allevatori, in lotte intetniche o fra
ejidos - collettività di villaggio - e comunitá). La
marcia è stata sottotono, per il numero dei partecipanti e per
le divisioni interne nella galassia delle 56 organizazzioni e
sindacati che, ciascuna a suo modo, dicono rappresentare il
movimento contadino messicano - nondimeno il ministro
dell'agricoltura è stato obbligato a scusarsi con i leaders
sindacali contadini, che aveva qualche giorno prima accusati
fra l'altro, e non del tutto a torto, di essere dei burocrati
corrotti. Ben più impatto nell'opinione comune aveva avuto la
marcia, a cavallo e veicoli a motore, che mesi fa avevano
organizzato gli organismi contadini e dei consumatori
indipendenti dall'assetato nord fino all'inquinata e opulenta
Cittá del Messico, dove oltre agli abituali blocchi e
picchetti davanti ai ministeri avevano organizzato vendita di
fagioli, riso, mais e latte nelle piazze della
capitale. Tutti segnali di quanto complessa e tragica sia
la situazione degli agricoltori messicani, non riducibile alla
semplice visione di vittime delle assurde e inefficaci logiche
economiche del neoliberalismo in Centroamerica. Tragica come
in Chihuahua o in Aguascalientes, dove ormai centinaia di
paesi e piccole cittadine rurali sono spopolate per la
prolungata siccitá e per l'assenza di aiuti e crediti ai
contadini, costretti alla scelta dolorosa e forzata
dell'emigrazione verso gli Stati Uniti. Alcune cifre, che
ovviamente non esauriscono la tragedia umana, ecologica e
sociale di questo immenso esodo. In questi ultimi tre anni 15
milioni di contadini messicani hanno dovuto abbandonare le
loro terre. Hanno perso raccolti, terre e famiglie in aree e
zone rurali dove prima si produceva, magari poco, ma si
campava. La miseria sta lasciando dietro di sé paesi fantasma.
Migrazioni forzate verso gli Usa, una traversata in cui
centinaia di persone continuano a morire o dove si massacra
povera gente nella piú completa legalitá (dal settembre 1999 a
oggi sono morti 269 cittadini messicani alla frontiera con
Texas, 140 in California e 106 in Arizona): persone colpevoli
di cercare di passare la frontiera senza documenti in cerca di
lavoro sottopagato. Stati come Aguascalientes, Durango e
Zacatecas stanno affrontando l'ottavo anno di siccitá. Esempi
emblematici di quanto sta accadendo sono il mais e il caffè.
Nonostante l'esodo contadino e le avverse condizioni
climatiche, il raccolto di mais previsto quest'anno avrá
un'eccedenza di 3 milioni e mezzo di tonnellate: secondo la
Cnc (Confedercion Nacional Campesina) bastano a "coprire il
fabbisogno del mercato nazionale e anche assicurare un volume
di quattro mesi di immagazzinamento". L'organizzazzione
statunitense Public Citizen segnala che tra il 1993 e il '99
le importazioni in Messico del mais bianco statunitense
(prodotto nel "Corn Belt" per farne foraggio, ma qui
utilizzato per uso alimentare) hanno provocato la distruzione
dei mercati locali e la caduta del 46% del prezzo pagato ai
contadini locali, la chiusura della Conasupo (l'organismo
statale incaricato dell'acquisto del mais a prezzo
sovvenzionato ai campesinos), l'aumento del 36% del prezzo
della tortilla e la concentrazione del mercato del mais, ora
controllato da quattro multinazionali. "La fede e la speranza
mantengono viva l'illusione degli agricoltori" dichiarava
giorni fa un alto responsabile della pianificazione
agricola. L'altro esempio viene dal caffè, un prodotto
agricolo molto esportato, che finora manteneva vive le
speranze di centinaia di migliaia di famiglie di piccoli
agricoltori. Ma ora, a causa pare della produzione eccedente
di aromatico in Vietnam, India e Colombia, il caffè marcisce
nelle piantagioni messicane perché raccoglierlo costa molto
piú caro (22-28% in più) del prezzo che spunterebbe quel caffè
in un mercato mondializzato. Per salvaguardare la propria
posizione sul mercato un gruppo di paesi produttori americano
- Messico, Colombia, Costarica, Honduras e Nicaragua - avevano
concordato un macropiano economico di miglioramento della
qualitá (eliminazione delle varietá inferiori e non richieste
dal mercato, blocco volontario da parte dei produttori di una
parte del raccolto per attendere un miglioramento della domada
del mercato): ma ora questo si sta rivelando catastrofico,
anche per la corruzzione dilagante negli organismi incaricati
di renderlo operativo. Lo stesso sta succedendo con ananas,
mango, avocado e altri frutti tropicali, che finora si erano
mantenuti sulla cresta dell'onda. I campesinos
messicani, come nell'epoca prerivoluzionaria, si trovano
ancora una volta impoveriti dall'assenza di sussidi e crediti
e dalla mancanza di mercati regionali: marginalizzati da un
mercato sempre piú globalizzato, dove tra l'altro non riescono
ad adeguarsi a standard di qualità a causa delle carenze
tecniche e l'impossibilitá di comperare fertilizzanti
adeguati. Da un lato dunque c'è un governo che dice di voler
trasformare i contadini in imprenditori agricoli e accusa
(giustamente) le precedenti amministrazioni di aver creato il
caos nelle campagne, e intanto taglia crediti, aiuti e
assistenza tecnica. D'altra parte i notabili politici del
precedente regime del Pri (il Partito rivoluzionario
istituzionale), che per anni hanno utilizzato la massa
contadina come sottoproletariato elettorale da controlare con
sistemi clientelari e sussidi paternalisti, adesso spingono
quegli stessi contadini a rivendicare quello che non avevano
ottenuto in 70 anni: diritto alla terra, valorizzazione
corretta del loro lavoro, finanziamenti e una politica
sostenibile di riordinamento del territorio. Le
preoccupazioni aumentano per quello che puó scoppiare. Giorni
fa la stampa regionale e nazionale ha "riscoperto" che nelle
campagne messicane circolano migliaia di armi ed operano
guardie cantonali e rurali, armate e addestrate dall'esercito,
per controllare il territorio e proteggere i produttori. E
mentre i politici, di tutte le tendenze, discutono di come
controllare questa fastidiosa e indisciplinata massa contadina
e come alleviare gli annosi problemi dello sviluppo rurale, la
povera gente continua ad emigrare clandestinamente, a morire
di fame e di malnutrizione (ultimi esempi nella Sierra
Tarahumara e nella mixteca di Oaxaca). Un problema comune in
tutto il centro e sudamerica, dai Sim Tierras in Brasile ai
recenti attacchi di un migliaio contadini affamati del Frente
Social y Ciudadano ai supermercati di Asunción (Paraguay) alla
ricerca di cibo. Soluzioni ne esistono, alcune anche ben
avviate e efficienti. Ci sono circa 120.000 ettari di
produzioni biologiche certificate in tutto Messico, che
traducono lo sforzo, tecnico ed umano, di migliaia di piccoli
e medi agricoltori di soddisfare il crescente mercato del cibo
naturale: la produzione non soddisfa le richieste di
esportazione del mercato verso Usa, Canada, Europa, Giappone e
Singapore. Altre esperienze interessanti, concretizzate per
prodotti come la tequila, i vini (in Baja California) e alcuni
formaggi (nel nord del paese), è la protezione e la
valorizzazione di produzioni locali attraverso il sistema
della denominazione di origine controllata, ben consosciuta in
Italia e in tutta Europa per lo sviluppo di mercati
alternativi e regionali. Uno sforzo importante di alcune
amministrazioni e municipi soprattutto del nord, in un Messico
dove non esiste nessuna politica di protezione delle
produzioni agricole
nazionali.
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