DA NORDEST Figli del Veneto minore
GIANFRANCO BETTIN
D.ha quattordici anni, compiuti da pochissimi
giorni. Lo guardi e ti sembra che ne abbia undici o dodici:
braghette corte, maglietta, capelli con la riga, sguardo
smarrito. Esce dal minuscolo ambulatorio medico dell'istituto
minorile di Santa Bona a Treviso, sorretto da un paio di
operatori, e ti viene spontaneo di chiedere cosa ci faccia lì
un bambino. Capitati nell'istituto per una visita di routine,
il sottoscritto e Marco Rigamo di "Radio Evasione", redazione
sul e dal carcere di Radio Sherwood, ci sentiamo rispondere:
"Ha ammazzato la nonna, ieri sera". In realtà, l'anziana
signora che D. è accusato di avere ucciso in un piccolo paese
delle benestante provincia veneta non è sua nonna, ma una
vicina di casa. Sapremo poi una storia di difficoltà
famigliari, di lunghe permanenze in istituti, di abbandoni. Ma
questo è il passato: ora conterebbe il futuro, a meno di non
pensare che un bambino sia già perduto. Guardiamo, intanto,
così il presente, sul quale provare a ipotizzare un futuro.
Guardiamo al Santa Bona, dunque, dove D., che continua a
chiedersi perché sia là, dovrà stare per un po'. Strutture
anguste, spazi che sarebbero per una dozzina di "ospiti" al
massimo e che invece, oggi, ne contano ventitre. Naturalmente,
anche il personale è sottodimensionato, sia per quel che
riguarda la custodia in senso stretto che per i compiti
educativi, assistenziali e di recupero. Dei ventitre ragazzi
presenti solo due sono italiani, entrambi veneti, tutti gli
altri sono, come si dice, "extracomunitari". Sono questi
ultimi, insomma, come già nelle carceri "per adulti", il
problema principale. Detenuti per piccoli reati, in genere,
più spesso legati al piccolo spaccio o alle molte varianti
dell'arte di arrangiarsi per chi non ha altro, costituiscono
ormai il nucleo crescente della popolazione detenuta nel
Nordest (e in Italia, come dimostra anche il recentissimo
rapporto sulle carceri curato dai Radicali). Non è tuttavia di
questi detenuti che vorrei qui sottolineare la condizione,
avendo già avuto modo, più volte, di farlo e di indicare la
radice della loro brutale esclusione dai diritti e dalle
opportunità in una diffusa attitudine e vocazione razzista
presente in settori della società locale dediti, nei confronti
degli immigrati, alla pratica infame dell'usa (cioè sfrutta,
come manodopera) e getta (in galera, se possibile). Vorrei
piuttosto sottolineare la condizione dei due ragazzi italiani,
due figli doc del Nordest, presenti a Santa Bona. Di D. si è
detto. Di E., l'altro ragazzo, bisogna dire che ha 17 anni,
con tutta evidenza è un bambinone, anche per la mole,
ipercinetico e claustrofobico, al punto da non riuscire a
tenerlo chiuso in cella, dove la notte impazzisce, sempre in
giro per l'istituto, accudito come si può dagli operatori e
dagli stessi compagni di sorte. Vita difficilissima alle
spalle. Come D. non dovrebbe stare qui. Avrebbe bisogno di una
struttura di tipo comunitario-assistenziale. Nel ricchissimo
Nordest, una struttura del genere non c'è. Solo galere, per i
figli difficili che mette al mondo, mentre investe e produce e
fa soldi a palate.
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