21 Agosto 2001
 
 
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DA NORDEST
Figli del Veneto minore
GIANFRANCO BETTIN


D.ha quattordici anni, compiuti da pochissimi giorni. Lo guardi e ti sembra che ne abbia undici o dodici: braghette corte, maglietta, capelli con la riga, sguardo smarrito. Esce dal minuscolo ambulatorio medico dell'istituto minorile di Santa Bona a Treviso, sorretto da un paio di operatori, e ti viene spontaneo di chiedere cosa ci faccia lì un bambino. Capitati nell'istituto per una visita di routine, il sottoscritto e Marco Rigamo di "Radio Evasione", redazione sul e dal carcere di Radio Sherwood, ci sentiamo rispondere: "Ha ammazzato la nonna, ieri sera".
In realtà, l'anziana signora che D. è accusato di avere ucciso in un piccolo paese delle benestante provincia veneta non è sua nonna, ma una vicina di casa. Sapremo poi una storia di difficoltà famigliari, di lunghe permanenze in istituti, di abbandoni. Ma questo è il passato: ora conterebbe il futuro, a meno di non pensare che un bambino sia già perduto. Guardiamo, intanto, così il presente, sul quale provare a ipotizzare un futuro. Guardiamo al Santa Bona, dunque, dove D., che continua a chiedersi perché sia là, dovrà stare per un po'.
Strutture anguste, spazi che sarebbero per una dozzina di "ospiti" al massimo e che invece, oggi, ne contano ventitre. Naturalmente, anche il personale è sottodimensionato, sia per quel che riguarda la custodia in senso stretto che per i compiti educativi, assistenziali e di recupero. Dei ventitre ragazzi presenti solo due sono italiani, entrambi veneti, tutti gli altri sono, come si dice, "extracomunitari". Sono questi ultimi, insomma, come già nelle carceri "per adulti", il problema principale. Detenuti per piccoli reati, in genere, più spesso legati al piccolo spaccio o alle molte varianti dell'arte di arrangiarsi per chi non ha altro, costituiscono ormai il nucleo crescente della popolazione detenuta nel Nordest (e in Italia, come dimostra anche il recentissimo rapporto sulle carceri curato dai Radicali). Non è tuttavia di questi detenuti che vorrei qui sottolineare la condizione, avendo già avuto modo, più volte, di farlo e di indicare la radice della loro brutale esclusione dai diritti e dalle opportunità in una diffusa attitudine e vocazione razzista presente in settori della società locale dediti, nei confronti degli immigrati, alla pratica infame dell'usa (cioè sfrutta, come manodopera) e getta (in galera, se possibile).
Vorrei piuttosto sottolineare la condizione dei due ragazzi italiani, due figli doc del Nordest, presenti a Santa Bona. Di D. si è detto. Di E., l'altro ragazzo, bisogna dire che ha 17 anni, con tutta evidenza è un bambinone, anche per la mole, ipercinetico e claustrofobico, al punto da non riuscire a tenerlo chiuso in cella, dove la notte impazzisce, sempre in giro per l'istituto, accudito come si può dagli operatori e dagli stessi compagni di sorte. Vita difficilissima alle spalle. Come D. non dovrebbe stare qui. Avrebbe bisogno di una struttura di tipo comunitario-assistenziale. Nel ricchissimo Nordest, una struttura del genere non c'è. Solo galere, per i figli difficili che mette al mondo, mentre investe e produce e fa soldi a palate.

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