19 Agosto 2001
 
 
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Un tocco al polso durato millenni
ERNESTO IANNACCONE


Roma, giugno 1985, sono in attesa del dottor Triguna, luminare ayurvedico in visita in Italia per tenere una conferenza. Per l'occasione vedrà alcuni pazienti ed io sarò il suo assistente-traduttore. Sono molto incuriosito: ha fama di essere uno dei più grandi medici ayurvedici viventi. Davanti alla porta del suo studio, nel quartiere poverissimo di Nizamuddin, nella vecchia Delhi, tra mucche e mendicanti, si accalca ogni giorno, una folla di centinaia di persone d'ogni censo e religione, ognuna delle quali aspetta pazientemente il proprio turno. Ogni tanto accade di vedere il viso disorientato di qualche europeo. Le visite del dottor Triguna, totalmente gratuite, durano uno, due minuti al massimo: per lui il tempo di sfiorare il polso del malato, dettare una ricetta all'assistente seduto a fianco e di impartire qualche veloce consiglio. Nessuna domanda, nessuna parola di troppo. Come farà?
Ho deciso di chiedere ai pazienti italiani di espormi i loro problemi di salute, prima di entrare nel salottino dove Triguna li vedrà. Annoterò tutto in dettaglio e poi confronterò con la diagnosi del dottore indiano. Uno, due, tre, dieci pazienti entrano ed il mio scetticismo iniziale è scosso: le diagnosi del dottor Triguna, fatte in pochi secondi con un semplice tocco sul polso, coincidono sorprendentemente con quelle dei miei appunti, anzi, se possibile, sono ancora più accurate! Quasi cento pazienti, la lunga giornata è finita e con essa se ne è andato tutto il mio scetticismo. Sono molto confuso: la mia fiducia nei sofisticati metodi d'indagine della medicina moderna è scesa al minimo. E penso a quanto lo stato potrebbe risparmiare se tutti i medici fossero dei Triguna.

Solo alcuni mesi dopo eccomi su un aereo, in viaggio per l'India, diretto verso il Maharishi World Center for Ayurveda, un ospedale ayurvedico situato nei pressi di Delhi, dove mi fermerò per qualche tempo, deciso ad approfondire questa conoscenza che ha messo in crisi i miei schemi di riferimento, ma che mi ha aperto nuovi orizzonti.
L'Ayurveda è uno dei grandi sistemi medici dell'antichità, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Insieme alla medicina cinese esso rappresenta una delle poche forme di sapere medico organizzato che si siano conservate pressochè inalterate per millenni e che costituiscano una realtà viva e vitale tuttora oggi. Il segreto della preservazione di questo sapere è insito, forse, nel modo tradizionale in cui, fin dall'antichità, i membri di gruppi familiari apprendevano a memoria i testi medici e li passavano ai loro figli generazione dopo generazione. Bisogna poi tener presente che l'India, culla geografica dell'Ayurveda, era nell'antichità una terra estremamente colta. Prova di ciò è l'esistenza stessa del sanscrito, una lingua i cui vocaboli, inadatti a descrivere i concetti del vivere comune, si prestano benissimo ad esprimere concetti filosofici, medici e spirituali.

Le prime testimonianze che provano l'esistenza di un sapere medico organizzato nella regione della valle dell'Indo sono rintracciabili nel Rig Veda e nell'Atharva Veda e possono essere datate intorno al 1000 a.C. e forse ancor prima. E' difficile avere certezze al riguardo anche perché i materiali giunti fino a noi sono estremamente frammentari e di provenienza incerta. Celebre al riguardo è la storia del manoscritto Bower, contenente documenti originali sull'Ayurveda, che fu rinvenuto in modo romanzesco dal capitano inglese Bower durante la caccia ad un brigante nel deserto del Gobi nel 1890.
Gli esperti sono però nella maggioranza concordi nel distinguere due grandi periodi:
1) Il periodo Vedico, nel quale il trattamento della malattia consisteva prevalentemente di terapie spirituali come le yajna, complessi rituali durante i quali venivano recitati mantra (suoni o parole dotati di effetti specifici), e solo in parte di medicine a base di erbe.
2)Il periodo post-vedico o delle Samhita (i grandi trattati medici), durante il quale il sapere medico venne organizzato in forma sistematica sotto forma di trattati estensivi, chiamati Samhita. In questa fase l'approccio diagnostico e terapeutico diviene "razionale" e "scientifico" nel senso in cui si intendono quei termini oggi. La terapia è prevalentemente a base di piante medicinali e si fa uso anche di complesse procedure di depurazione della fisiologia, assai vicine allo spirito della medicina ippocratica. Vi è enfasi sull'importanza dell'adozione di stili di vita salutari.
Esiste una sensibile soluzione di continuità tra i due periodi. Nel primo la medicina è ritualizzata ed è appannaggio della classe sacerdotale braminica, la quale esercita il controllo della società. Nel secondo il sapere medico viene sviluppato in modo "alternativo" ai sacerdoti e gestito da figure di guaritori i quali sono inseriti molto più marginalmente nella società. Si tratta di asceti, yogi e sadhu che vivevano nei boschi e sviluppavano in tal modo una conoscenza diretta della flora medicinale e dei suoi impieghi. Questi guaritori si spostavano probabilmente di villaggio in villaggio prestando la loro opera dove capitava: essi furono ben descritti dagli storici greci che si recarono in India al seguito di Alessandro Magno. Non è un caso che il più celebre medico ayurvedico dell'antichità, figura sospesa tra mito e storia, si chiamasse Charaka, un termine sanscrito che significa "colui che viaggia" o addirittura "la spia".

Con il tempo la conoscenza medica degli asceti, ben organizzata sotto forma di trattati medici, fu assorbita dalla società e divenne di nuovo appannaggio della casta dominante braminica, la quale si trovò dunque di nuovo a gestire il sapere medico, pur se sotto forma differente. Parallelamente a ciò la medicina ayurvedica venne praticata nei monasteri buddisti e da lì esportata in altre regioni, verso il Tibet, la Cina e l'Estremo Oriente.
Eccellenti studi su questi temi storici sono stati compiuti da studiosi moderni, tra i quali spiccano i nomi di Filliozat, Zisk e Wujastik.
La dottrina ayurvedica fu codificata in tre grandi trattati: la Charaka Samhita (III-II sec. a.C), la Sushruta Samhita (II-I sec. a.C) e l'Astanga Hridaya (VI-VII sec. a.C). Sorprendentemente, dopo quest'ultimo, vale a dire per i tredici secoli successivi fino a oggi, nulla di veramente interessante è stato più scritto nel campo dell'Ayurveda e nessun contributo innovativo è più emerso. Si può parlare, dunque, di un declino storico, da attribuirsi in parte al susseguirsi di dominazioni straniere in India nel corso dei secoli. Nonostante ciò l'Ayurveda è ancora oggi un sistema vivo, insegnato nelle università, praticato da decine di migliaia di medici, cui fanno ricorso centinaia di milioni di individui in tutto il mondo, in particolare nel continente indiano. Si assiste anzi paradossalmente a un processo di diffusione dell'Ayurveda come metodo di cura nei paesi più ricchi, come gli Stati Uniti e le nazioni europee.
Oggi si possono distinguere fondamentalmente due modalità di pratica: un Ayurveda tradizionale, tramandato di padre in figlio o di maestro in allievo e custodito gelosamente dai depositari di questo sapere nei piccoli villaggi, nelle foreste e nelle aree più remote dell'India, specialmente della sua parte meridionale. Chi lo pratica conosce profondamente le piante medicinali della propria regione ed utilizza ricette tramandate per millenni, che è poco incline a divulgare.
Esiste poi un Ayurveda moderno, insegnato nelle università indiane, ma con un discreto livello di integrazione con la medicina moderna e caratterizzato dalla marcata propensione alla ricerca scientifica e clinica, rigettata invece dai medici più tradizionalisti, e la tendenza a interpretare i principi ayurvedici di anatomia, fisiologia, patologia e terapia in chiave moderna.
In questo complesso e variegato quadro non si possono però non menzionare seri tentativi di coniugare tra loro tutte le diverse anime dell'Ayurveda. E' particolarmente rilevante l'opera di Maharishi Mahesh Yogi, il padre della Meditazione Trascendentale, il quale ha svolto negli ultimi anni una valida opera di recupero e di diffusione nel mondo dell'Ayurveda originale. Ma è davvero pensabile una diffusione planetaria di un sistema che ha più di duemila anni di vita, i cui libri di testo si fermano al VII secolo d.C., e la cui piattaforma dottrinale è molto lontana dal nostro modo di sentire e pensare?

A tale quesito non può essere data una risposta univoca, in un senso o nell'altro; i più pensano che bisognerebbe estrarre dall'Ayurveda i valori universali, lasciando da parte quelli più legati alla cultura indiana e al passato. Qualcosa di simile è già avvenuto per la medicina cinese, dalla quale ci si è limitati a importare alcune metodiche pratiche, come l'agopuntura, trascurando però le sue basi filosofiche e dottrinali. Ma così facendo, non si rischia di svilire un sistema e di nuocere alla sua integrità? Sul tema cito alcune riflessioni tratte dall'interessante volume Le medicine complementari (Utet, 2000), curato dall'Osservatorio per le Medicine Complementari della facoltà di medicina dell'università di Verona in collaborazione con l'ordine dei medici della stessa città: "Ciò che stupisce l'osservatore esterno è che un sistema medico bimillenario e per di più alquanto difficile e 'chiuso', nel senso che é caratterizzato da un alto tasso d'autoreferenzialità, abbia trovato credito in Occidente e si stia imponendo a livello di pubblico e di medici prescrittori. La recente ripresa di questo sistema, sia in India che negli Stati Uniti e in Europa, indica che esso viene incontro adeguatamente ad un bisogno altrimenti inevaso ad opera della medicina scientifica... Si devono guardare con favore quei tentativi di spiegare, in termini scientifici e non solo metaforici, gli effetti medicinali vantati dalle formulazioni ayurvediche, come ad esempio i positivi effetti delle miscele di sostanze antiossidanti contenute in alta concentrazione nelle preparazioni fitoterapiche dell'Ayurveda... Ci si trova anche qui di fronte al dilemma, presente in molte delle pratiche mediche non convenzionali provenienti da altre culture, tra integrazione con il moderno - con inevitabile annacquamento dell'ispirazione originaria - e mantenimento "forte" dell'identità con accentuazione del carattere 'alternativo' del sistema medico in oggetto."

In India la medicina ayurvedica svolge un ruolo sociale sicuramente positivo, in quanto contribuisce a soddisfare i bisogni sanitari di base della popolazione grazie ai suoi bassi costi e alla sua diffusione capillare sul territorio: basti pensare che nel Kerala, stato del Sud dell'India a governo comunista e di religione cattolica, dove l'Ayurveda è il primo sistema di cura, l'aspettativa di vita è pari a quella di molti paesi occidentali.
Prendiamo ora in esame i punti caratterizzanti della dottrina dell'Ayurveda: questo sistema, innanzitutto, può essere considerato "ecologista" per natura. Le proprietà dei vari tipi di alimenti, animali e vegetali, vengono considerate non in modo avulso dal contesto ma messe in relazione all'ambiente dove l'animale e la pianta sono nati e cresciuti. Il benessere dell'uomo è possibile solo in un contesto ambientale sano in cui l'individuo sia profondamente integrato. Il terzo capitolo della sezione Vimanasthana (il Libro delle Misure) della Charaka Samhita analizza i diversi tipi di squilibri ambientali e le loro conseguenze sulla salute umana. La descrizione è estremamente drammatica e attuale: "Sebbene le persone differiscano in diverse cose, come la costituzione, vi sono dei fattori comuni a causa dello squilibrio dei quali le malattie sorgono e distruggono la comunità. [...]: l'aria, l'acqua, la terra e il clima. L'aria dei seguenti tipi andrebbe considerata come fonte di malattie: irregolare rispetto alla stagione, eccessivamente umida, instabile, rigida, fredda, calda e secca, [...], caratterizzata da cattivi odori, vapori, particelle, polvere e fumo.
L'acqua andrebbe considerata non di buona qualità quando sono troppo cattivi il suo odore, colore, sapore e consistenza, [...], quando contiene pochi animali acquatici ed è sgradevole.
La terra andrebbe considerata non salubre quando il suo normale colore, odore, sapore e consistenza sono alterati, quando contiene eccessiva umidità, è popolata da rettili, animali violenti, zanzare, locuste, mosche, gufi, avvoltoi, sciacalli, [...]; quando il suo aspetto è diverso dal consueto, i raccolti sono ridotti, rinsecchiti e danneggiati [...] vari animali e uccelli sono disorientati e sofferenti, la comunità ha abbandonato e distrutto la virtù, la verità, la modestia, la buona condotta ed altri comportamenti meritori, i fiumi sono costantemente agitati e fuoriescono dal loro letto, vi è frequente comparsa di meteoriti, fulmini, terremoti, la natura ha un aspetto manifestamente crudele, il sole, la luna e le stelle hanno frequentemente aspetto irregolare, [...], l'atmosfera è pervasa da confusione, eccitazione, apprensione, grida, oscurità e suoni lamentosi come se del paese si fossero impadroniti i demoni. Il clima dovrebbe essere considerato insalubre se mostra segni contrari, eccessivi o inappropriati rispetto a quelli normali delle stagioni. I medici dicono che questi quattro fattori se viziati vanno considerati la causa dell'annientamento delle comunità, mentre se non viziati sono salubri."

Se guardati dal punto di vista dell'Ayurveda, il nostro modo di vivere, di nutrirsi e interagire con l'ambiente possono essere definiti in un solo modo: aberranti. In un antico testo dell'Ayurveda è detto: "Vai su di una collina e guardati intorno. Tutto ciò che vedrai è sufficiente per vivere, nutrirti e curarti".
Un altro aspetto peculiare dell'Ayurveda è la sua visione spirituale dell'uomo e del mondo considerati sostanzialmente identici. E' scritto: "L'uomo è la misura dell'universo: le differenti entità che sono nell'universo sono anche nell'uomo, come pure le differenti entità che sono nell'uomo sono anche nell'universo." E ancora: "Colui che vede l'universo in sé e se stesso nell'universo non smarrisce mai la serenità basata sulla pura conoscenza". Il proposito principale della vita è descritto dall'Ayurveda come Moksha, letteralmente "liberazione" dai limiti dell'indidualità ed identificazione con l'universale. In tal senso la vita è semplicemente uno strumento per raggiungere questo fine. A sua volta la scienza della medicina è un ulteriore strumento, che aiuta la vita a raggiungere il suo fine. Paradossalmente, così, l'Ayurveda o "Scienza della Vita" diviene un mezzo per raggiungere un obiettivo che trascende la vita stessa.

Infine, un cenno sulla famosa teoria dei tre dosha sviluppata dall'Ayurveda: questa somiglia in modo sorprendente alla teoria che contemporaneamente, ma a molte migliaia di chilometri di distanza, veniva proposta da un grande saggio dell'antichità: il medico di Cos. Ma viene da domandarsi se siano venuti prima i tre dosha dell'Ayurveda o i tre umori di Ippocrate. Secondo i pandit indiani, i medici greci, venuti a contatto con la cultura ayurvedica dopo i viaggi di Alessandro, da lì avrebbero mutuato le loro dottrine. Secondo gli storici occidentali, invece, è stata l'onda lunga della medicina greca a raggiungere l'India ed a influenzare i vaidya ayurvedici. Una terza ipotesi prevede che la medesima conoscenza si sviluppata contemporaneamente in Grecia come in India, in Occidente come in Oriente. Jean Filliozat ha trattato l'argomento nella sua magistrale opera The classical doctrine of indian medicine senza però giungere ad alcuna conclusione decisiva. L'enigma è probabilmente destinato a non venire mai svelato, come tanti altri affascinanti misteri della storia.

(5/continua)

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