Un tocco al polso durato millenni
ERNESTO
IANNACCONE
Roma, giugno 1985, sono in attesa del dottor
Triguna, luminare ayurvedico in visita in Italia per tenere
una conferenza. Per l'occasione vedrà alcuni pazienti ed io
sarò il suo assistente-traduttore. Sono molto incuriosito: ha
fama di essere uno dei più grandi medici ayurvedici viventi.
Davanti alla porta del suo studio, nel quartiere poverissimo
di Nizamuddin, nella vecchia Delhi, tra mucche e mendicanti,
si accalca ogni giorno, una folla di centinaia di persone
d'ogni censo e religione, ognuna delle quali aspetta
pazientemente il proprio turno. Ogni tanto accade di vedere il
viso disorientato di qualche europeo. Le visite del dottor
Triguna, totalmente gratuite, durano uno, due minuti al
massimo: per lui il tempo di sfiorare il polso del malato,
dettare una ricetta all'assistente seduto a fianco e di
impartire qualche veloce consiglio. Nessuna domanda, nessuna
parola di troppo. Come farà? Ho deciso di chiedere ai
pazienti italiani di espormi i loro problemi di salute, prima
di entrare nel salottino dove Triguna li vedrà. Annoterò tutto
in dettaglio e poi confronterò con la diagnosi del dottore
indiano. Uno, due, tre, dieci pazienti entrano ed il mio
scetticismo iniziale è scosso: le diagnosi del dottor Triguna,
fatte in pochi secondi con un semplice tocco sul polso,
coincidono sorprendentemente con quelle dei miei appunti,
anzi, se possibile, sono ancora più accurate! Quasi cento
pazienti, la lunga giornata è finita e con essa se ne è andato
tutto il mio scetticismo. Sono molto confuso: la mia fiducia
nei sofisticati metodi d'indagine della medicina moderna è
scesa al minimo. E penso a quanto lo stato potrebbe
risparmiare se tutti i medici fossero dei Triguna.
Solo
alcuni mesi dopo eccomi su un aereo, in viaggio per l'India,
diretto verso il Maharishi World Center for Ayurveda, un
ospedale ayurvedico situato nei pressi di Delhi, dove mi
fermerò per qualche tempo, deciso ad approfondire questa
conoscenza che ha messo in crisi i miei schemi di riferimento,
ma che mi ha aperto nuovi orizzonti. L'Ayurveda è uno dei
grandi sistemi medici dell'antichità, le cui origini si
perdono nella notte dei tempi. Insieme alla medicina cinese
esso rappresenta una delle poche forme di sapere medico
organizzato che si siano conservate pressochè inalterate per
millenni e che costituiscano una realtà viva e vitale tuttora
oggi. Il segreto della preservazione di questo sapere è
insito, forse, nel modo tradizionale in cui, fin
dall'antichità, i membri di gruppi familiari apprendevano a
memoria i testi medici e li passavano ai loro figli
generazione dopo generazione. Bisogna poi tener presente che
l'India, culla geografica dell'Ayurveda, era nell'antichità
una terra estremamente colta. Prova di ciò è l'esistenza
stessa del sanscrito, una lingua i cui vocaboli, inadatti a
descrivere i concetti del vivere comune, si prestano benissimo
ad esprimere concetti filosofici, medici e
spirituali.
Le prime testimonianze che provano
l'esistenza di un sapere medico organizzato nella regione
della valle dell'Indo sono rintracciabili nel Rig Veda
e nell'Atharva Veda e possono essere datate intorno al
1000 a.C. e forse ancor prima. E' difficile avere certezze al
riguardo anche perché i materiali giunti fino a noi sono
estremamente frammentari e di provenienza incerta. Celebre al
riguardo è la storia del manoscritto Bower, contenente
documenti originali sull'Ayurveda, che fu rinvenuto in modo
romanzesco dal capitano inglese Bower durante la caccia ad un
brigante nel deserto del Gobi nel 1890. Gli esperti sono
però nella maggioranza concordi nel distinguere due grandi
periodi: 1) Il periodo Vedico, nel quale il
trattamento della malattia consisteva prevalentemente di
terapie spirituali come le yajna, complessi rituali
durante i quali venivano recitati mantra (suoni o parole
dotati di effetti specifici), e solo in parte di medicine a
base di erbe. 2)Il periodo post-vedico o delle
Samhita (i grandi trattati medici), durante il quale il sapere
medico venne organizzato in forma sistematica sotto forma di
trattati estensivi, chiamati Samhita. In questa fase
l'approccio diagnostico e terapeutico diviene "razionale" e
"scientifico" nel senso in cui si intendono quei termini oggi.
La terapia è prevalentemente a base di piante medicinali e si
fa uso anche di complesse procedure di depurazione della
fisiologia, assai vicine allo spirito della medicina
ippocratica. Vi è enfasi sull'importanza dell'adozione di
stili di vita salutari. Esiste una sensibile soluzione di
continuità tra i due periodi. Nel primo la medicina è
ritualizzata ed è appannaggio della classe sacerdotale
braminica, la quale esercita il controllo della società. Nel
secondo il sapere medico viene sviluppato in modo
"alternativo" ai sacerdoti e gestito da figure di guaritori i
quali sono inseriti molto più marginalmente nella società. Si
tratta di asceti, yogi e sadhu che vivevano nei boschi e
sviluppavano in tal modo una conoscenza diretta della flora
medicinale e dei suoi impieghi. Questi guaritori si spostavano
probabilmente di villaggio in villaggio prestando la loro
opera dove capitava: essi furono ben descritti dagli storici
greci che si recarono in India al seguito di Alessandro Magno.
Non è un caso che il più celebre medico ayurvedico
dell'antichità, figura sospesa tra mito e storia, si chiamasse
Charaka, un termine sanscrito che significa "colui che
viaggia" o addirittura "la spia".
Con il tempo la
conoscenza medica degli asceti, ben organizzata sotto forma di
trattati medici, fu assorbita dalla società e divenne di nuovo
appannaggio della casta dominante braminica, la quale si trovò
dunque di nuovo a gestire il sapere medico, pur se sotto forma
differente. Parallelamente a ciò la medicina ayurvedica venne
praticata nei monasteri buddisti e da lì esportata in altre
regioni, verso il Tibet, la Cina e l'Estremo
Oriente. Eccellenti studi su questi temi storici sono stati
compiuti da studiosi moderni, tra i quali spiccano i nomi di
Filliozat, Zisk e Wujastik. La dottrina ayurvedica fu
codificata in tre grandi trattati: la Charaka Samhita (III-II
sec. a.C), la Sushruta Samhita (II-I sec. a.C) e l'Astanga
Hridaya (VI-VII sec. a.C). Sorprendentemente, dopo
quest'ultimo, vale a dire per i tredici secoli successivi fino
a oggi, nulla di veramente interessante è stato più scritto
nel campo dell'Ayurveda e nessun contributo innovativo è più
emerso. Si può parlare, dunque, di un declino storico, da
attribuirsi in parte al susseguirsi di dominazioni straniere
in India nel corso dei secoli. Nonostante ciò l'Ayurveda è
ancora oggi un sistema vivo, insegnato nelle università,
praticato da decine di migliaia di medici, cui fanno ricorso
centinaia di milioni di individui in tutto il mondo, in
particolare nel continente indiano. Si assiste anzi
paradossalmente a un processo di diffusione dell'Ayurveda come
metodo di cura nei paesi più ricchi, come gli Stati Uniti e le
nazioni europee. Oggi si possono distinguere
fondamentalmente due modalità di pratica: un Ayurveda
tradizionale, tramandato di padre in figlio o di maestro
in allievo e custodito gelosamente dai depositari di questo
sapere nei piccoli villaggi, nelle foreste e nelle aree più
remote dell'India, specialmente della sua parte meridionale.
Chi lo pratica conosce profondamente le piante medicinali
della propria regione ed utilizza ricette tramandate per
millenni, che è poco incline a divulgare. Esiste poi un
Ayurveda moderno, insegnato nelle università indiane,
ma con un discreto livello di integrazione con la medicina
moderna e caratterizzato dalla marcata propensione alla
ricerca scientifica e clinica, rigettata invece dai medici più
tradizionalisti, e la tendenza a interpretare i principi
ayurvedici di anatomia, fisiologia, patologia e terapia in
chiave moderna. In questo complesso e variegato quadro non
si possono però non menzionare seri tentativi di coniugare tra
loro tutte le diverse anime dell'Ayurveda. E' particolarmente
rilevante l'opera di Maharishi Mahesh Yogi, il padre della
Meditazione Trascendentale, il quale ha svolto negli ultimi
anni una valida opera di recupero e di diffusione nel mondo
dell'Ayurveda originale. Ma è davvero pensabile una diffusione
planetaria di un sistema che ha più di duemila anni di vita, i
cui libri di testo si fermano al VII secolo d.C., e la cui
piattaforma dottrinale è molto lontana dal nostro modo di
sentire e pensare?
A tale quesito non può essere data
una risposta univoca, in un senso o nell'altro; i più pensano
che bisognerebbe estrarre dall'Ayurveda i valori universali,
lasciando da parte quelli più legati alla cultura indiana e al
passato. Qualcosa di simile è già avvenuto per la medicina
cinese, dalla quale ci si è limitati a importare alcune
metodiche pratiche, come l'agopuntura, trascurando però le sue
basi filosofiche e dottrinali. Ma così facendo, non si rischia
di svilire un sistema e di nuocere alla sua integrità? Sul
tema cito alcune riflessioni tratte dall'interessante volume
Le medicine complementari (Utet, 2000), curato
dall'Osservatorio per le Medicine Complementari della facoltà
di medicina dell'università di Verona in collaborazione con
l'ordine dei medici della stessa città: "Ciò che stupisce
l'osservatore esterno è che un sistema medico bimillenario e
per di più alquanto difficile e 'chiuso', nel senso che é
caratterizzato da un alto tasso d'autoreferenzialità, abbia
trovato credito in Occidente e si stia imponendo a livello di
pubblico e di medici prescrittori. La recente ripresa di
questo sistema, sia in India che negli Stati Uniti e in
Europa, indica che esso viene incontro adeguatamente ad un
bisogno altrimenti inevaso ad opera della medicina
scientifica... Si devono guardare con favore quei tentativi di
spiegare, in termini scientifici e non solo metaforici, gli
effetti medicinali vantati dalle formulazioni ayurvediche,
come ad esempio i positivi effetti delle miscele di sostanze
antiossidanti contenute in alta concentrazione nelle
preparazioni fitoterapiche dell'Ayurveda... Ci si trova anche
qui di fronte al dilemma, presente in molte delle pratiche
mediche non convenzionali provenienti da altre culture, tra
integrazione con il moderno - con inevitabile annacquamento
dell'ispirazione originaria - e mantenimento "forte"
dell'identità con accentuazione del carattere 'alternativo'
del sistema medico in oggetto."
In India la medicina
ayurvedica svolge un ruolo sociale sicuramente positivo, in
quanto contribuisce a soddisfare i bisogni sanitari di base
della popolazione grazie ai suoi bassi costi e alla sua
diffusione capillare sul territorio: basti pensare che nel
Kerala, stato del Sud dell'India a governo comunista e di
religione cattolica, dove l'Ayurveda è il primo sistema di
cura, l'aspettativa di vita è pari a quella di molti paesi
occidentali. Prendiamo ora in esame i punti caratterizzanti
della dottrina dell'Ayurveda: questo sistema, innanzitutto,
può essere considerato "ecologista" per natura. Le proprietà
dei vari tipi di alimenti, animali e vegetali, vengono
considerate non in modo avulso dal contesto ma messe in
relazione all'ambiente dove l'animale e la pianta sono nati e
cresciuti. Il benessere dell'uomo è possibile solo in un
contesto ambientale sano in cui l'individuo sia profondamente
integrato. Il terzo capitolo della sezione Vimanasthana (il
Libro delle Misure) della Charaka Samhita analizza i diversi
tipi di squilibri ambientali e le loro conseguenze sulla
salute umana. La descrizione è estremamente drammatica e
attuale: "Sebbene le persone differiscano in diverse cose,
come la costituzione, vi sono dei fattori comuni a causa dello
squilibrio dei quali le malattie sorgono e distruggono la
comunità. [...]: l'aria, l'acqua, la terra e il clima. L'aria
dei seguenti tipi andrebbe considerata come fonte di malattie:
irregolare rispetto alla stagione, eccessivamente umida,
instabile, rigida, fredda, calda e secca, [...],
caratterizzata da cattivi odori, vapori, particelle, polvere e
fumo. L'acqua andrebbe considerata non di buona qualità
quando sono troppo cattivi il suo odore, colore, sapore e
consistenza, [...], quando contiene pochi animali acquatici ed
è sgradevole. La terra andrebbe considerata non salubre
quando il suo normale colore, odore, sapore e consistenza sono
alterati, quando contiene eccessiva umidità, è popolata da
rettili, animali violenti, zanzare, locuste, mosche, gufi,
avvoltoi, sciacalli, [...]; quando il suo aspetto è diverso
dal consueto, i raccolti sono ridotti, rinsecchiti e
danneggiati [...] vari animali e uccelli sono disorientati e
sofferenti, la comunità ha abbandonato e distrutto la virtù,
la verità, la modestia, la buona condotta ed altri
comportamenti meritori, i fiumi sono costantemente agitati e
fuoriescono dal loro letto, vi è frequente comparsa di
meteoriti, fulmini, terremoti, la natura ha un aspetto
manifestamente crudele, il sole, la luna e le stelle hanno
frequentemente aspetto irregolare, [...], l'atmosfera è
pervasa da confusione, eccitazione, apprensione, grida,
oscurità e suoni lamentosi come se del paese si fossero
impadroniti i demoni. Il clima dovrebbe essere considerato
insalubre se mostra segni contrari, eccessivi o inappropriati
rispetto a quelli normali delle stagioni. I medici dicono che
questi quattro fattori se viziati vanno considerati la causa
dell'annientamento delle comunità, mentre se non viziati sono
salubri."
Se guardati dal punto di vista dell'Ayurveda,
il nostro modo di vivere, di nutrirsi e interagire con
l'ambiente possono essere definiti in un solo modo: aberranti.
In un antico testo dell'Ayurveda è detto: "Vai su di una
collina e guardati intorno. Tutto ciò che vedrai è sufficiente
per vivere, nutrirti e curarti". Un altro aspetto peculiare
dell'Ayurveda è la sua visione spirituale dell'uomo e del
mondo considerati sostanzialmente identici. E' scritto:
"L'uomo è la misura dell'universo: le differenti entità che
sono nell'universo sono anche nell'uomo, come pure le
differenti entità che sono nell'uomo sono anche
nell'universo." E ancora: "Colui che vede l'universo in sé e
se stesso nell'universo non smarrisce mai la serenità basata
sulla pura conoscenza". Il proposito principale della vita è
descritto dall'Ayurveda come Moksha, letteralmente
"liberazione" dai limiti dell'indidualità ed identificazione
con l'universale. In tal senso la vita è semplicemente uno
strumento per raggiungere questo fine. A sua volta la scienza
della medicina è un ulteriore strumento, che aiuta la vita a
raggiungere il suo fine. Paradossalmente, così, l'Ayurveda o
"Scienza della Vita" diviene un mezzo per raggiungere un
obiettivo che trascende la vita stessa.
Infine, un
cenno sulla famosa teoria dei tre dosha sviluppata
dall'Ayurveda: questa somiglia in modo sorprendente alla
teoria che contemporaneamente, ma a molte migliaia di
chilometri di distanza, veniva proposta da un grande saggio
dell'antichità: il medico di Cos. Ma viene da domandarsi se
siano venuti prima i tre dosha dell'Ayurveda o i tre umori di
Ippocrate. Secondo i pandit indiani, i medici greci, venuti a
contatto con la cultura ayurvedica dopo i viaggi di
Alessandro, da lì avrebbero mutuato le loro dottrine. Secondo
gli storici occidentali, invece, è stata l'onda lunga della
medicina greca a raggiungere l'India ed a influenzare i vaidya
ayurvedici. Una terza ipotesi prevede che la medesima
conoscenza si sviluppata contemporaneamente in Grecia come in
India, in Occidente come in Oriente. Jean Filliozat ha
trattato l'argomento nella sua magistrale opera The
classical doctrine of indian medicine senza però giungere
ad alcuna conclusione decisiva. L'enigma è probabilmente
destinato a non venire mai svelato, come tanti altri
affascinanti misteri della
storia.
(5/continua)
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