Questioni di razza
A meno di
due settimane dal suo inizio, la Conferenza dell'Onu contro il
razzismo è ostaggio di polemiche esplosive come quelle sul
sionismo e sulla schiavitù MARINA FORTI
Schiavismo, sionismo, colonialismo,
sistemi di casta... la prossima Conferenza mondiale contro il
razzismo, che comincia tra meno di due settimane a Durban, in
Sudafrica, ha aperto conflitti profondi, di principio e
politici. Minacce di boicottaggio restano all'orizzonte. I
delegati di oltre 130 paesi continuano a discutere virgola per
virgola i documenti di base: i lavori preparatori, che
dovevano concludersi a Ginevra nella prima settimana di
agosto, andranno avanti - fino all'ultimo minuto. La
"Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione
razziale, la xenofobia e relative intolleranze" - questo il
nome completo - si terrà dal 31 agosto al 7 settembre sotto la
presidenza della signora Mary Robinson, Alto commissario
dell'Onu per i diritti umani. La scelta del Sudafrica è
significativa: in nessun altro paese al mondo il dominio dei
bianchi sui neri era stato codificato in un sistema politico e
giuridico così brutale. Del resto le prime due conferenze
contro il razzismo, nel 1978 e nell'83 a Ginevra, si erano
occupate soprattutto del Sudafrica, allora governato dal
regime dell'apartheid. Erano state più facili, la condanna del
regime razzista sudafricano faceva l'unanimità. Ora il
paese dove i neri hanno vinto - almeno sul piano politico e
simbolico, ché poi l'esclusione sociale è altra cosa - ospita
la conferenza delle Nazioni unite. Ma quella che si prepara è
tutt'altro che una celebrazione: tramontato l'apartheid,
emergono altri aspetti della discriminazione razziale,
xenofobia, intolleranza. La questione che ha suscitato le
polemiche più violente è quella del sionismo e
dell'oppressione dei palestinesi nei territori occupati da
Israele. Il gruppo dei paesi arabi ha dapprima proposto di
riprendere, nei testi della conferenza, una risoluzione
dell'Assemblea generale dell'Onu del 1975 che definiva il
sionismo "una forma di razzismo" (quella risoluzione era stata
annullata però nel 1991). Questo ha provocato l'opposizione
non solo di Israele ma anche dell'Unione europea (che vi legge
una rimessa in questione dell'esistenza stessa dello stato di
Israele) e soprattutto degli Stati uniti, che hanno minacciato
di boicottare la conferenza di Durban. Tom Lantos, senatore
(democratico, California) e membro della delegazione Usa ai
lavori preparatori - e personalmente sopravvissuto
all'Olocausto - ha usato parole dure: gli Usa "non possono
prendere parte al linciaggio di Israele". Ha aggiunto poi che
"la conferenza di Durban ha bisogno degli Stati uniti più di
quanto gli Usa abbiano bisogno della Conferenza di Durban".
Era il 9 agosto, entro il giorno dopo dovevano essere pronti i
documenti preparatori (una dichiarazione di principi e un
piano d'azione). E' allora che Mary Robinson ha visto la
conferenza in serio pericolo, ha lanciato appello al
"realismo" - e ha chiesto di proseguire il lavoro preparatorio
a oltranza. I paesi arabi più moderati, Egitto in testa,
hanno proposto formule come "le pratiche razziste del potere
occupante", o "la discriminazione razziale contro i
palestinesi", senza nominare né il sionismo, né Israele. La
questione resta aperta, o meglio: resta da vedere se formule
simili convinceranno gli Stati uniti a ritirare la minaccia di
boicottaggio, ed è ovvio che dipende dai rapporti di forza
politici. Altre questioni dividono i paesi partecipanti. Un
punto delicato è identificare le vittime del razzismo. Finora
sono indicati come gruppi "vulnerabili" a discriminazione e
intolleranza i discendenti di africani (nelle Americhe o in
Europa), i popoli indigeni, i migranti e rifugiati o sfollati
interni. Ma ci sono proposte per includere altri gruppi: i Rom
(zingari), le persone di origine asiatica (i giapponesi
maltrattati negli Usa durante la guerra...), le vittime
dell'antisemitismo o di sentimenti anti islamici. Qualcuno
chiede di riconoscere come "circostanza aggravante"
dell'oppressione razzista l'essere donna. E perché poi non
includere una condanna esplicita del sistema di casta (cosa
che ha suscitato la protesta dell'India). Ma l'altra
questione esplosiva, che mobilita i paesi africani, è quella
della schiavitù. E' la rivendicazione, neppure questa nuova,
che la schiavitù sia riconosciuta come "un crimine contro
l'umanità". A questo si aggiunge la richiesta di "scuse" alle
vittime di tre secoli di tratta dei neri - e magari di
risarcimenti. Nei lavori preparatori, Unione europea e Usa
hanno finora accettato di riconoscere "la natura perversa"
della schiavitù, ma quanto alle scuse Washington si oppone:
suonerebbe come un'ammissione di colpa, e aprirebbe la strada
ad azioni legali con richieste di risarcimenti da parte dei
discendenti degli schiavi - questione da lungo dibattuta,
negli Usa. E forse proprio per questo, e per le pressioni del
suo Black Caucus (il gruppo trasversale dei parlamentari neri
al Congresso), l'opposizione di Washington si traduce
soprattutto in imbarazzo. E' imbarazzata anche l'Europa, che
in fondo è responsabile della tratta degli schiavi (ma allora
i negrieri arabi?). Ma gli stessi paesi africani sono
divisi: quelli anglofoni, guidati da Nigeria e Ghana, sono su
posizioni più estreme (era stato il nigeriano Moshood Abiola
nel 1990 a organizzare una conferenza a Lagos per lanciare
l'idea dei risarcimenti, che aveva quantificato in 25 miliardi
di dollari). I francofoni, con in testa il moderato Senegal,
si attestano sulla richiesta di riconoscimento morale e scuse.
Il presidente senegalese Abdulaye Wade è stato esplicito: "Noi
subiamno ancora oggi gli effetti della schiavitù e della
colonizzazione, e valutarli in termini monetari è assurdo e
perfino insultante". Ai primi di agosto un documento del
Gruppo dei paesi africani alla conferenza ha posto le basi del
compromesso: vi si invita l'occidente a "prestare attenzione"
alla New African Initiative che i governi del
continente hanno lanciato un mese fa, e a "tradurre con
urgenza gli impegni di solidarietà in azioni concrete":
crediti, investimenti... E' in Sudafrica intanto che la
conferenza di Durban infiamma di più gli animi. Giovedì
centinaia di persone hanno manifestato davanti all'ambasciata
degli Stati uniti a Pretoria. "L'occidente non più
semplicemente sottrarsi alle sue responsabilità nelle
conseguenze economiche e sociali di decenni di dominazione
coloniale", scriveva giorni fa il Sowetan. La
conferenza di Durban si preannuncia calda.
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