19 Agosto 2001
 
 
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Questioni di razza
A meno di due settimane dal suo inizio, la Conferenza dell'Onu contro il razzismo è ostaggio di polemiche esplosive come quelle sul sionismo e sulla schiavitù
MARINA FORTI

Schiavismo, sionismo, colonialismo, sistemi di casta... la prossima Conferenza mondiale contro il razzismo, che comincia tra meno di due settimane a Durban, in Sudafrica, ha aperto conflitti profondi, di principio e politici. Minacce di boicottaggio restano all'orizzonte. I delegati di oltre 130 paesi continuano a discutere virgola per virgola i documenti di base: i lavori preparatori, che dovevano concludersi a Ginevra nella prima settimana di agosto, andranno avanti - fino all'ultimo minuto.
La "Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e relative intolleranze" - questo il nome completo - si terrà dal 31 agosto al 7 settembre sotto la presidenza della signora Mary Robinson, Alto commissario dell'Onu per i diritti umani. La scelta del Sudafrica è significativa: in nessun altro paese al mondo il dominio dei bianchi sui neri era stato codificato in un sistema politico e giuridico così brutale. Del resto le prime due conferenze contro il razzismo, nel 1978 e nell'83 a Ginevra, si erano occupate soprattutto del Sudafrica, allora governato dal regime dell'apartheid. Erano state più facili, la condanna del regime razzista sudafricano faceva l'unanimità.
Ora il paese dove i neri hanno vinto - almeno sul piano politico e simbolico, ché poi l'esclusione sociale è altra cosa - ospita la conferenza delle Nazioni unite. Ma quella che si prepara è tutt'altro che una celebrazione: tramontato l'apartheid, emergono altri aspetti della discriminazione razziale, xenofobia, intolleranza.
La questione che ha suscitato le polemiche più violente è quella del sionismo e dell'oppressione dei palestinesi nei territori occupati da Israele. Il gruppo dei paesi arabi ha dapprima proposto di riprendere, nei testi della conferenza, una risoluzione dell'Assemblea generale dell'Onu del 1975 che definiva il sionismo "una forma di razzismo" (quella risoluzione era stata annullata però nel 1991). Questo ha provocato l'opposizione non solo di Israele ma anche dell'Unione europea (che vi legge una rimessa in questione dell'esistenza stessa dello stato di Israele) e soprattutto degli Stati uniti, che hanno minacciato di boicottare la conferenza di Durban. Tom Lantos, senatore (democratico, California) e membro della delegazione Usa ai lavori preparatori - e personalmente sopravvissuto all'Olocausto - ha usato parole dure: gli Usa "non possono prendere parte al linciaggio di Israele". Ha aggiunto poi che "la conferenza di Durban ha bisogno degli Stati uniti più di quanto gli Usa abbiano bisogno della Conferenza di Durban". Era il 9 agosto, entro il giorno dopo dovevano essere pronti i documenti preparatori (una dichiarazione di principi e un piano d'azione). E' allora che Mary Robinson ha visto la conferenza in serio pericolo, ha lanciato appello al "realismo" - e ha chiesto di proseguire il lavoro preparatorio a oltranza.
I paesi arabi più moderati, Egitto in testa, hanno proposto formule come "le pratiche razziste del potere occupante", o "la discriminazione razziale contro i palestinesi", senza nominare né il sionismo, né Israele. La questione resta aperta, o meglio: resta da vedere se formule simili convinceranno gli Stati uniti a ritirare la minaccia di boicottaggio, ed è ovvio che dipende dai rapporti di forza politici.
Altre questioni dividono i paesi partecipanti. Un punto delicato è identificare le vittime del razzismo. Finora sono indicati come gruppi "vulnerabili" a discriminazione e intolleranza i discendenti di africani (nelle Americhe o in Europa), i popoli indigeni, i migranti e rifugiati o sfollati interni. Ma ci sono proposte per includere altri gruppi: i Rom (zingari), le persone di origine asiatica (i giapponesi maltrattati negli Usa durante la guerra...), le vittime dell'antisemitismo o di sentimenti anti islamici. Qualcuno chiede di riconoscere come "circostanza aggravante" dell'oppressione razzista l'essere donna. E perché poi non includere una condanna esplicita del sistema di casta (cosa che ha suscitato la protesta dell'India).
Ma l'altra questione esplosiva, che mobilita i paesi africani, è quella della schiavitù. E' la rivendicazione, neppure questa nuova, che la schiavitù sia riconosciuta come "un crimine contro l'umanità". A questo si aggiunge la richiesta di "scuse" alle vittime di tre secoli di tratta dei neri - e magari di risarcimenti. Nei lavori preparatori, Unione europea e Usa hanno finora accettato di riconoscere "la natura perversa" della schiavitù, ma quanto alle scuse Washington si oppone: suonerebbe come un'ammissione di colpa, e aprirebbe la strada ad azioni legali con richieste di risarcimenti da parte dei discendenti degli schiavi - questione da lungo dibattuta, negli Usa. E forse proprio per questo, e per le pressioni del suo Black Caucus (il gruppo trasversale dei parlamentari neri al Congresso), l'opposizione di Washington si traduce soprattutto in imbarazzo. E' imbarazzata anche l'Europa, che in fondo è responsabile della tratta degli schiavi (ma allora i negrieri arabi?).
Ma gli stessi paesi africani sono divisi: quelli anglofoni, guidati da Nigeria e Ghana, sono su posizioni più estreme (era stato il nigeriano Moshood Abiola nel 1990 a organizzare una conferenza a Lagos per lanciare l'idea dei risarcimenti, che aveva quantificato in 25 miliardi di dollari). I francofoni, con in testa il moderato Senegal, si attestano sulla richiesta di riconoscimento morale e scuse. Il presidente senegalese Abdulaye Wade è stato esplicito: "Noi subiamno ancora oggi gli effetti della schiavitù e della colonizzazione, e valutarli in termini monetari è assurdo e perfino insultante". Ai primi di agosto un documento del Gruppo dei paesi africani alla conferenza ha posto le basi del compromesso: vi si invita l'occidente a "prestare attenzione" alla New African Initiative che i governi del continente hanno lanciato un mese fa, e a "tradurre con urgenza gli impegni di solidarietà in azioni concrete": crediti, investimenti...
E' in Sudafrica intanto che la conferenza di Durban infiamma di più gli animi. Giovedì centinaia di persone hanno manifestato davanti all'ambasciata degli Stati uniti a Pretoria. "L'occidente non più semplicemente sottrarsi alle sue responsabilità nelle conseguenze economiche e sociali di decenni di dominazione coloniale", scriveva giorni fa il Sowetan. La conferenza di Durban si preannuncia calda.

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