La concia dei cinesi
Empoli, sfruttavano i connazionali. Chiuse due aziende
RICCARDO CHIARI -
FIRENZE
Immigrati cinesi senza permesso di soggiorno fatti lavorare
dalle dieci alle dodici ore al giorno. Costretti a mangiare e
dormire negli stessi ambienti, vecchie case coloniche e casolari
trasformati in laboratori di pelletteria dai titolari delle
piccole aziende, anch'essi cinesi. Se qualcuno poi voleva uscire
la sera per incontrare dei connazionali, doveva chiedere il
permesso ai padroni. Tutto questo è stato raccontato dagli stessi
immigrati ai carabinieri, che venerdì sera con un doppio
intervento hanno bloccato - almeno per qualche giorno - il lavoro
di due delle centinaia di ditte cinesi registrate alla Camera di
commercio di Empoli.
In un casolare di Martignana, alle porte della città, i militari
hanno scoperto due immigrati irregolari e hanno arrestato il
proprietario del laboratorio, un uomo di 35 anni. Dentro una casa
colonica di Gavena, nei pressi di Cerreto Guidi, sono stati
trovati altri nove clandestini. Anche in questo caso i
responsabili dell'azienda, un uomo di 44 anni e una donna di 31,
sono stati arrestati. Per i tre "imprenditori" l'accusa è quella
di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, finalizzata al
profitto.
Dai racconti dei lavoranti viene fuori ancora una volta una
realtà fatta di paghe miserabili, condizioni di semischiavitù e
continui ricatti legati alla mancanza dei documenti. Sull'altro
fronte gli arrestati, proprietari di auto di lusso e di furgoni
nuovi di zecca per il trasporto della merce. La punta di un
iceberg, che vede ormai nell'empolese un altissimo numero di
aziende cinesi di confezioni o pelletteria, addirittura superiore
a quello registrato nel comprensorio fiorentino.
I ritmi di lavoro a ciclo continuo, e di conseguenza la grande
velocità nel soddisfare le richieste dei dettaglianti, hanno
fatto prendere alle piccole imprese cinesi il posto degli ormai
scomparsi lavoranti a domicilio. Una parte delle aziende è in
regola, un'altra gioca quotidianamente una partita sul filo del
rasoio, ricorrendo alla manodopera clandestina. Negli ultimi anni
ci sono state almeno tre inchieste della magistratura che hanno
gettato una luce sinistra sulle attività della comunità cinese
tra Firenze ed Empoli: dai traffici di merce umana, alla
riduzione in schiavitù dei "senza nome" approdati in Toscana da
alcune province del paese asiatico. Difficile rompere un'omertà
diffusa, aiutata dalle difficoltà nella reciproca comprensione,
ma anche da vendette che hanno già portato all'omicidio.
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