Per chi suona il muezzin
Un volume di Roberto Gritti e Magdi Allam, edito da
Guerini e associati, racconta chi sono i musulmani che vivono in
Italia
GIULIANA SGRENA
Un popolo di emigranti come il nostro dovrebbe essere più
aperto nel confrontarsi con altre culture ma non sempre è così.
Appena si passa dall'altra parte della barricata le vittime
diventano carnefici e, sebbene sia un luogo comune dire che gli
italiani non sono razzisti, molti atteggiamenti dimostrano il
contrario. In un'epoca in cui l'assenza di valori prevale e si
rincorre solo il consumismo occidentale e il dio denaro, tutto
ciò che può anche lontanamente minacciare questa corsa sfrenata
diventa pericoloso. E la paura verso tutto ciò che è diverso da
un modello - etnia, religione, sesso - si trasforma in
intolleranza. Una intolleranza che non riguarda solo gli
immigrati; intolleranza spesso basata sull'ignoranza, ma non
sempre. Comunque il libro Islam, Italia scritto da
Roberto Gritti e Magdi Allam per Guerini e associati (pp. 195, L. .
34.000) con l'obiettivo di far conoscere al grande pubblico chi
sono e cosa pensano i musulmani che vivono in Italia ha
innanzitutto il merito di togliere l'alibi dell'ignoranza. Perché
sicuramente gli stereotipi e i pregiudizi verso gli immigrati
musulmani sono più accentuati rispetto a quelli di altre
provenienze. Sarà una questione di religione? Certo l'aspetto
religioso incide, e non solo per retaggi storici, ma le ragioni
sono molteplici: innanzitutto l'Italia è un paese che non ha mai
portato a termine il processo di secolarizzazione. Prima il
concordato e ancor oggi le pesanti interferenze del Vaticano
sulla vita politica italiana, rendono evidente il problema. Del
resto, anche in campo islamico la questione è tutt'altro che
risolta. Il gran muftì di Marsiglia, l'imam algerino Souheib
Benchick, ama ripetere che la forza propulsiva dell'islam è
venuta meno quando la religione ha voluto farsi potere. Eppure,
nonostante la tendenza alla secolarizzazione presente anche
nell'islam, sono stati e sono ancora molti nel mondo islamico i
fautori dell'islam "politico" che abbraccia tutti gli aspetti
della vita dell'individuo, pubblica e privata. E non solo a
livello teorico vista la sopravvivenza di teocrazie come quella
saudita o iraniana, senza citare il famigerato emirato afghano
dei taleban che comunque gode di forti appoggi da paesi come
Pakistan, Arabia saudita, emirati e connivenze a livello
internazionale. E là dove lo stato si basa su strutture laiche
sono i movimenti fondamentalisti a battersi per imporre - con
ogni mezzo - un regime islamico. Non per dire che questa è la
tendenza prevalente, ma questa realtà può contribuire ad
alimentare i pregiudizi.
Un nodo centrale riguarda i diritti delle donne. Tutti i testi
sacri sono discriminatori e repressivi nei confronti delle donne:
dalla Bibbia alla Torah, ma anche il Corano. Tuttavia, per
riprendere ancora Gritti, "se per ebrei e cristiani le donne non
avevano diritto all'eredità o alla testimonianza di fronte a un
giudice, nel Corano esse acquisiscono - sia pure in maniera
ridotta rispetto agli uomini - queste prerogative". E tuttavia
mentre le donne ebree e cattoliche sono arrivate a conquistare
questi diritti, molte donne musulmane ancora oggi non hanno
accesso all'eredità (e, se sì, solo a una quota inferiore
rispetto ai maschi), la loro testimonianza vale la metà - è il
caso delle donne algerine - mentre per sposarsi devono avere un
tutore maschio. Per restare in campo femminile, sicuramente è
molto diffusa l'erronea convinzione che anche le mutilazioni
genitali siano da ricondurre all'islam, mentre in realtà si
tratta di una aberrante usanza precristiana particata da donne
cristiane, animiste, ebree (tra i falascia etiopi) e musulmane,
come ricorda Magdi Allam. Dopo la conquista musulmana però
l'usanza è stata mantenuta e pur non trovando riferimenti nei
testi sacri, alcuni fondamentalisti la rivendicano quale
strumento per controllare la sessualità della donna. E purtroppo
questa è una pratica ormai diffusa anche in Italia tra le bambine
degli immigrati, a volte è stata persino praticata in strutture
pubbliche nonostante sia vietata dalla legge italiana. Si tratta
di un caso emblematico, che pone un quesito: fino a dove si
impone l'accettazione delle diverse culture, tradizioni, usanze,
oltre che religione? La multiculturalità deve essere basata sul
rispetto dei diritti umani, tra i quali l'integrità fisica della
donna (rivendicata anche dalle donne del sud del mondo alla
conferenza di Pechino), politici e civili di tutti i cittadini
che vivono nel nostro paese. Chi vive in Italia deve rispettare
la legge italiana ma deve anche godere dei diritti che essa
garantisce. Una legge che naturalmente può essere anche cambiata
con metodi democratici. Del resto, come scrive Magdi Allam, "la
maggioranza dei musulmani in Italia vuole integrarsi nella
società italiana rispettando le leggi italiane", anche perché
molti provengono da paesi che "professano un islam compatibile
con il diritto internazionale o dichiaratamente laici. Si tratta
inoltre di paesi che sono legati da rapporti storici con
l'Italia". "Nello stesso tempo, la maggioranza dei musulmani in
Italia - scrive sempre Allam - vuole salvaguardare i propri val
ori e contribuire con gli autoctoni alla nascita di una società
interculturale". Questa in effetti è la vera sfida che l'Italia,
gli italiani si trovano di fronte. L'arrivo per ora limitato di
immigrati sarà sempre maggiore e dall'apporto di diverse culture
dipenderà il progresso del nostro paese. Senza sottovalutare che
tra gli immigrati ci sono molti "cervelli", uno su tre ha la
laurea, come fa notare Madgi Allam.
E l'islam, praticato da 719.000 residenti in Italia, è la seconda
religione del paese. Di questo dovranno convincersi anche coloro
che hanno individuato nell'islam il "nemico" da combattere, come
scrive Gritti, dalla Lega nord, a Baget Bozzo fino ad arrivare al
cardinale Biffi di Bologna.
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