03 Agosto 2001
 
 
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Per chi suona il muezzin
Un volume di Roberto Gritti e Magdi Allam, edito da Guerini e associati, racconta chi sono i musulmani che vivono in Italia
GIULIANA SGRENA


Un popolo di emigranti come il nostro dovrebbe essere più aperto nel confrontarsi con altre culture ma non sempre è così. Appena si passa dall'altra parte della barricata le vittime diventano carnefici e, sebbene sia un luogo comune dire che gli italiani non sono razzisti, molti atteggiamenti dimostrano il contrario. In un'epoca in cui l'assenza di valori prevale e si rincorre solo il consumismo occidentale e il dio denaro, tutto ciò che può anche lontanamente minacciare questa corsa sfrenata diventa pericoloso. E la paura verso tutto ciò che è diverso da un modello - etnia, religione, sesso - si trasforma in intolleranza. Una intolleranza che non riguarda solo gli immigrati; intolleranza spesso basata sull'ignoranza, ma non sempre. Comunque il libro Islam, Italia scritto da Roberto Gritti e Magdi Allam per Guerini e associati (pp. 195, L. . 34.000) con l'obiettivo di far conoscere al grande pubblico chi sono e cosa pensano i musulmani che vivono in Italia ha innanzitutto il merito di togliere l'alibi dell'ignoranza. Perché sicuramente gli stereotipi e i pregiudizi verso gli immigrati musulmani sono più accentuati rispetto a quelli di altre provenienze. Sarà una questione di religione? Certo l'aspetto religioso incide, e non solo per retaggi storici, ma le ragioni sono molteplici: innanzitutto l'Italia è un paese che non ha mai portato a termine il processo di secolarizzazione. Prima il concordato e ancor oggi le pesanti interferenze del Vaticano sulla vita politica italiana, rendono evidente il problema. Del resto, anche in campo islamico la questione è tutt'altro che risolta. Il gran muftì di Marsiglia, l'imam algerino Souheib Benchick, ama ripetere che la forza propulsiva dell'islam è venuta meno quando la religione ha voluto farsi potere. Eppure, nonostante la tendenza alla secolarizzazione presente anche nell'islam, sono stati e sono ancora molti nel mondo islamico i fautori dell'islam "politico" che abbraccia tutti gli aspetti della vita dell'individuo, pubblica e privata. E non solo a livello teorico vista la sopravvivenza di teocrazie come quella saudita o iraniana, senza citare il famigerato emirato afghano dei taleban che comunque gode di forti appoggi da paesi come Pakistan, Arabia saudita, emirati e connivenze a livello internazionale. E là dove lo stato si basa su strutture laiche sono i movimenti fondamentalisti a battersi per imporre - con ogni mezzo - un regime islamico. Non per dire che questa è la tendenza prevalente, ma questa realtà può contribuire ad alimentare i pregiudizi.
Un nodo centrale riguarda i diritti delle donne. Tutti i testi sacri sono discriminatori e repressivi nei confronti delle donne: dalla Bibbia alla Torah, ma anche il Corano. Tuttavia, per riprendere ancora Gritti, "se per ebrei e cristiani le donne non avevano diritto all'eredità o alla testimonianza di fronte a un giudice, nel Corano esse acquisiscono - sia pure in maniera ridotta rispetto agli uomini - queste prerogative". E tuttavia mentre le donne ebree e cattoliche sono arrivate a conquistare questi diritti, molte donne musulmane ancora oggi non hanno accesso all'eredità (e, se sì, solo a una quota inferiore rispetto ai maschi), la loro testimonianza vale la metà - è il caso delle donne algerine - mentre per sposarsi devono avere un tutore maschio. Per restare in campo femminile, sicuramente è molto diffusa l'erronea convinzione che anche le mutilazioni genitali siano da ricondurre all'islam, mentre in realtà si tratta di una aberrante usanza precristiana particata da donne cristiane, animiste, ebree (tra i falascia etiopi) e musulmane, come ricorda Magdi Allam. Dopo la conquista musulmana però l'usanza è stata mantenuta e pur non trovando riferimenti nei testi sacri, alcuni fondamentalisti la rivendicano quale strumento per controllare la sessualità della donna. E purtroppo questa è una pratica ormai diffusa anche in Italia tra le bambine degli immigrati, a volte è stata persino praticata in strutture pubbliche nonostante sia vietata dalla legge italiana. Si tratta di un caso emblematico, che pone un quesito: fino a dove si impone l'accettazione delle diverse culture, tradizioni, usanze, oltre che religione? La multiculturalità deve essere basata sul rispetto dei diritti umani, tra i quali l'integrità fisica della donna (rivendicata anche dalle donne del sud del mondo alla conferenza di Pechino), politici e civili di tutti i cittadini che vivono nel nostro paese. Chi vive in Italia deve rispettare la legge italiana ma deve anche godere dei diritti che essa garantisce. Una legge che naturalmente può essere anche cambiata con metodi democratici. Del resto, come scrive Magdi Allam, "la maggioranza dei musulmani in Italia vuole integrarsi nella società italiana rispettando le leggi italiane", anche perché molti provengono da paesi che "professano un islam compatibile con il diritto internazionale o dichiaratamente laici. Si tratta inoltre di paesi che sono legati da rapporti storici con l'Italia". "Nello stesso tempo, la maggioranza dei musulmani in Italia - scrive sempre Allam - vuole salvaguardare i propri val
ori e contribuire con gli autoctoni alla nascita di una società interculturale". Questa in effetti è la vera sfida che l'Italia, gli italiani si trovano di fronte. L'arrivo per ora limitato di immigrati sarà sempre maggiore e dall'apporto di diverse culture dipenderà il progresso del nostro paese. Senza sottovalutare che tra gli immigrati ci sono molti "cervelli", uno su tre ha la laurea, come fa notare Madgi Allam.
E l'islam, praticato da 719.000 residenti in Italia, è la seconda religione del paese. Di questo dovranno convincersi anche coloro che hanno individuato nell'islam il "nemico" da combattere, come scrive Gritti, dalla Lega nord, a Baget Bozzo fino ad arrivare al cardinale Biffi di Bologna.

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