Crescita e povertà
I dati Istat rivelano: ricchi e poveri sempre più lontani,
soprattutto al nord
FRANCESCO PICCIONI
Il 2000 è stato un anno di forte crescita economica, ma i
poveri - in Italia - non se ne sono accorti. Anzi, misurando il
divario che li separa dalla parte medio-alta della popolazione,
possono agevolmente constatare che le distanze sono sensibilmente
aumentate.
E' il succo che si ricava dal rapporto annuale sulla povertà in
Italia elaborato dall'Istat. Grande attenzione è stata posta dai
ricercatori - guidati dalla dottoressa Giuliana Coccia - nella
definizione dei concetti e degli strumenti euristici usati. Come
nel caso della differenza tra "povertà relativa" (i redditi al di
sotto del milione e 569mila lire, per una coppia) e povertà
assoluta (al di sotto del milione e 55mila). Due nozioni che
caratterizzano non solo un livello di reddito, ma un modo di
vita, visto che la povertà "assoluta" è definita come
l'impossibilità di accedere a "un paniere di beni e servizi" (da
cui sono state escluse le spese per sanità e istruzione,
considerate totalmente a carico dello stato) divenuti
fondamentali nell'attuale modo di vita.
La soglia della povertà relativa è stabilita prendendo a misura
"la spesa media procapite per consumi". E' "relativamente povera"
quella coppia che spende in un mese quanto un individuo medio
consuma da solo (circa un milione 600mila lire). La cifra cresce
ovviamente nel caso di famiglie più numerose, depurata delle
piccole "economie di scala" possibili in tali casi. Le famiglie
italiane al di sotto di questa soglia sono comnque 2.707.000 (il
12,3%), pari a quasi 8milioni di persone (il 13,9% della
popolazione). La differenza percentuale si spiega con il fatto
che, logicamente, la povertà aggredisce più facilmente i nuclei
famiiari con diversi figli a carico. Rispetto all'anno precedente
c'è una crescita dello 0,4%, troppo piccola - rispetto al
possibile margine d'errore derivante dal campione - per esser
significativa. Vengono però confermate le risultanze degli anni
precedenti: maggiore concentrazione di poveri al sud (il doppio
che al nord), tra le persone anziane, con più basso livello di
scolarizzazione, con meno accesso al mercato del lavoro. A questo
12,3% potrebbe essere aggiunto senza forzature un altro 8,3% di
famiglie "quasi povere", con un reddito di coppia inferiore a un
milione e 880mila lire. Il totale supererebbe il 20% della
popolazione.
Vanno però segnalate alcune tendenze relativamente nuove. 1)
Aumentano i lavoratori poveri, ossia quanti restano al di
sotto della soglia indicata pur avendo un lavoro; un indicatore
indiscutibile di un livello dei salari complessivamente basso e
tendente a scendere sotto la soglia della "riproduzione". 2) E'
stata annullato il divario statistico tra famiglie con "figura di
riferimento" (o capofamiglia) maschile o femminile. Almeno a
livello della povertà, insomma, sembra che esser uomo o donna
(con persone a carico) non faccia più differenza. 3) E' per la
prima volta in aumento la povertà nel nord del paese (dal 5 al
5,7%), che pure ha fatto registrare nel 2000 la quota
maggioritaria della crescita del prodotto interno lordo.
La "povertà assoluta" (che definisce una particolare quota della
popolazione compresa nella "povertà relativa") si presenta
distribuita grosso modo nelle stesse proporzioni rispetto a
distribuzione geografica, istruzione, età, composizione del
nucleo familiare. Il 4,3% delle famiglie e quasi 3 milioni di
persone vivono al di sotto del livello di vita "socialmente
accettabile". E non si parla qui di barboni o senza fissa dimora,
ma di famiglie "normali", con casa in affitto (quasi sempre
"popolare", ecc).
Tornando all'influenza della positiva congiuntura economica, dice
l'Istat, si può vedere come questa abbia comportato un aumento
delle famiglie povere anche e soprattutto là dove più forte è
stata la crescita, nel nord. L'apparente paradosso è presto
sciolto: la distribuzione della ricchezza prodotta non è avvenuta
proporzionalmente, ma ha premiato i quartieri medio-alti della
popolazione. Quanti erano ai piani bassi non hanno magari visto
peggiorare il proprio standard di vita (in termini assoluti), ma
sono rimasti ancora più indietro rispetto a chi li precede nella
scala sociale. E poiché il livello della povertà è stabilito
rispetto alla spesa media, ecco che chi è rimasto "fermo" è - in
termini relativi - automaticamente arretrato.
Un modo come un altro di dimostrare che "il mercato", lasciato
libero di fare e disfare, non riesce a diminuire la povertà
neppure quando l'economia va a gonfie vele. Anzi, la fa
aumentare.
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