IL DESTINO (Al-massir)


di Youssef Chahine,
Egitto /Francia 1997, 135’,
versione doppiata in italiano. Premio del 50° anniversario a Cannes 1997

 

Materiale collegato consigliato dal Cestim

 

LIBRI:

 

Averroè e l’Averroismo : H. Corbin: Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1989, pp. 243-252 (presente nella biblioteca Cestim)

Fondamentalismo islamico:

Y. M. Choueiri: Il fondamentalismo, Il Mulino, Bologna 1993

R. Mimoumi: Dentro l’integralismo, la testimonianza di uno scrittore algerino, Einaudi, Torino 1996

F. Burgat: Il fondamentalismo islamico: Algeria, Tunisia, Marocco, Libia, SEI, Torino 1995 (presente nella biblioteca Cestim)

G. Sgrena (a cura di): La schiavitù del velo. Voci di donne contro l’integralismo islamico, Manifestolibri, Roma 1995 (presente nella biblioteca Cestim)

ALTRO MATERIALE:

Scheda didattica:

Il Destino è la storia romanzata del pensiero del grande filosofo arabo Ibn Rushd del XII secolo, a noi noto come Averroè, e del destino incrociato delle civiltà araba e occidentale.

Il film è in primo luogo l’esaltazione dei valori della tolleranza e la reazione passionale alla censura degli islamici di cui è stato oggetto il precedente film di Chahine, L’emigré (1994), ritirato dagli schermi in Egitto e boicottato in seguito dagli altri paesi arabi per aver osato rappresentare le sembianze del Profeta.

Il Destino quindi inizia con una forte denuncia al fanatismo, ed è un film di denuncia contro ogni fanatismo. Il rogo che apre il film, ove brucia insieme a tutti i suoi scritti l’uomo reo di aver tradotto in latino le opere di Averroè, è l’integralismo cattolico, la chiusura dell’occidente ad ogni possibilità di dialogo con la cultura arabo-islamica. (chiusura imposta dal potere che sempre si cela dietro ogni forma di fanatismo).

Ben altro sapore avrà il rogo che chiude il film: sarà frutto, è vero, del fanatismo islamico (chiaramente strumentalizzato, anch’esso, ai fini del potere), ma il saggio Averroè saprà trarre un’importante lezione di vita, per sé stesso e per i suoi, collaborando alla distruzione dei propri scritti, e ringraziando coloro che li stanno bruciando.

Quest’ultima scena ha una densità notevole, ed è la summa dell’insegnamento di un maestro, colui cioè che sa lasciar andare anche se stesso e ciò per cui ha combattuto nel momento in cui si accorge di non averne più bisogno. Come il saggio buddhista "non si porta sulle spalle la zattera con cui ha attraversato il fiume", così Averroè rimane fedele a se stesso senza attaccarvisi, perché ogni maestro che sia degno di questo nome sa che il proprio insegnamento non gli appartiene. I suoi testi sono in salvo in Egitto, ma a quel punto il filosofo li ha già "lasciati andare", è il destino che deciderà la loro salvezza, non più lui stesso. Troviamo qui in compendio il messaggio del film, che esalta la libertà dell’essere umano come potenzialità grandissima donata dal Creatore, che non ha bisogno di "illuminazioni" o addestramenti che uccidano la ragione e la capacità di decidere.

Averroè è l’uomo libero, perché anche davanti a ciò che in apparenza è un fallimento (la distruzione del lavoro di una vita, l’esilio forzato) conserva la sua capacità di scelta, e se ne va in pace accettando il destino non passivamente e con rassegnazione, ma con speranza e serenità. L’uomo libero che combatte con tutte le proprie forze per ciò in cui crede, ma che ha anche la saggezza di non credersi onnipotente, forse "l’uomo che ha il coraggio di cambiare le cose che possono essere modificate, la forza di accettare quelle che non si possono cambiare, e la saggezza per distinguerle." (credo sia un proverbio latino-americano, ndr)

Joseph, il figlio dell’uomo giustiziato, che si rifugia a Cordova per conoscere l’uomo a causa di cui il padre ha perso la vita, rappresenta quell’Europa che si è arricchita del pensiero del filosofo arabo e che ne ha sviluppato e tramandato l’insegnamento. Si deve infatti alla lungimiranza di Joseph il salvataggio di tutti i manoscritti del maestro, nel momento in cui questi perde la benevolenza del califfo che ordina di bruciare la sua casa.

Joseph, con i suoi occhi azzurri, è un rappresentante ante-litteram dell’umanità multiculturale di oggi, il prototipo della civiltà aperta ad accogliere le differenze come valori, e, cosa forse più difficile, a lasciarsi accogliere da ciò che è altro, senza erigere muri dettati dalla paura: venendo accolto nella casa di Averroè, lasciando pronunciare il suo nome in arabo (Youssef), stringendo legami forti di amicizia e di affetto, permettendosi di chiamare madre una donna araba (la moglie di Averroè) non perde la propria identità, ma al contrario si arricchisce enormemente, da ragazzo che era diventa uomo.

Il destino vorrà che non sia lui (quindi l’Europa che egli rappresenta) a tramandare l’insegnamento del maestro, ma l’Egitto (ad opera di Nasser, figlio del Califfo, che riesce a mettere in salvo i testi al Cairo). Joseph perde in un torrente tumultuoso i libri che cercava di porre in salvo, e non riuscirà a leggere una parola dell’unico libro rimasto, perché l’acqua avrà sciolto tutto l’inchiostro. Questo fatto suggerisce un aggancio con la realtà storica ed è la probabile allusione al processo di annacquamento del pensiero di Averroè da parte dei commentatori europei che diedero vita al così detto averroismo. Inoltre, questo va forse sottolineato, in Europa si ricorda Averroè come un mediatore, più per il merito di aver importato le opere di Aristotele che per il suo pensiero originale. Quindi l’attenzione dei filosofi europei si volse soprattutto a cercare il genuino Aristorele, depurato degli errori del filosofo arabo e dei suoi seguaci, che San Tommaso d’Aquino avrà tanto a cuore di confutare.

Il destino del pensiero di Averroè passa quindi attraverso l’Egitto. Cosa sarebbe successo se Youssef avesse portato a termine la sua missione e avesse salvato i testi in Francia?

Nasser e Abdallah, figli del califfo, rappresentano i due volti del "popolo di Allah". Destino di Nasser è mettere in salvo il pensiero del maestro, destino di Abdallah è quello di vivere l’altra natura dell’uomo, quella della fede che è necessità spirituale ma che ha comunque le sue radici in un cuore di carne e sangue, e che si esprime in lui nella passione della danza e della poesia prima e nella soggezione religiosa poi. Creando questo personaggio, il più moderno del film, Chahine ha voluto rappresentare il fragile equilibrio che regge la gioventù dei paesi islamici, scissa in un certo senso fra il miraggio di una vita felice e l’alibi torbido di un fanatismo che si alimenta accusando altri delle proprie colpe.

Averroè, il protagonista, sembra essere tale quasi suo malgrado. Tutti lo interpellano come tale, ma egli, come ogni maestro che sia davvero degno di tale nome, non approfitta del proprio ruolo. Soprattutto, il dramma personale e umano del filosofo va di pari passo con quello degli altri personaggi, per cui il film è il risultato dell’interagire di una pluralità di uomini e donne, tutti protagonisti della loro comune storia.

Nel film si esalta la gioia di vivere, il piacere di stare a tavola con gli amici, di cantare una canzone, di lasciarsi trasportare dalla danza, per affermare il riflesso della gioia del sapere, di amare liberamente e di fare evoluzioni con la mente. È evidentissimo il contrasto con la rigida disciplina imposta dai fanatici della setta per distruggere ogni ombra di volontà e spersonalizzare l’individuo, che diventa soltanto un elemento di una massa indistinta e urlante, pronta a farsi massacrare al grido "Dio lo vuole". (Ritratto per altro molto realistico degli addestramenti cui vengono sottoposte le reclute nelle milizie islamiche a servizio di governi integralisti, es. in Sudan).

"Dio non esiste: vive, ama, ci accompagna. Gli idoli esistono: non vivono, uccidono". È un teologo dell’America Latina (P. Casaldaliga, ndr) a firmare questa frase, che però potrebbe benissimo appartenere ad un dialogo del film. Oltre e insieme all’aspetto della denuncia, infatti, il film ha una grande potenzialità propositiva.

Il messaggio di Averroè- e di Chahine- è una valida alternativa alla chiusura nei fanatismi che uccidono l’uomo sradicandolo dalla vita. È la traduzione del messaggio biblico sapienziale che ogni esperienza realmente umana è esperienza di Dio. Quindi anche l’esperienza dell’esercizio razionale e della ricerca filosofica e intellettuale non è in contrasto con nessuna fede. Non esistono "Dio lo vuole" in diritto di privare l’uomo della sua specificità, l’essere libero di scegliere, ed egli non la può demandare a nessuno, anzi è tenuto a svilupparla con tutti i mezzi a sua disposizione.

Va ricordato poi che anche storicamente l’importanza di Averroè si lega a questo messaggio: la sapienza dei maestri musulmani come Ibn Rushd, aspetto su cui concordano molti studiosi, risulta di qualità notevole, soprattutto se messa a confronto con la cultura astratta e retorica delle scuole europee dell’epoca. I primi eccellevano sia nella ricerca fondata sull’esperienza che sull’esercizio del metodo razionale, mentre i secondi mantenevano un atteggiamento troppo ossequioso dell’autorità, finendo con l’elaborare teorie troppo distanti dalla vita reale. Il film sottolinea apertamente questo aspetto di grande libertà e creatività intellettuali con cui Ibn Rushd indicò realmente, sia ai musulmani che ai cristiani e agli ebrei che le verità della filosofia come enunciate da Aristotele non erano in conflitto con la parola di Dio.

Nel film vediamo rappresentate in modo molto attuale tutte le sfumature dell’esperienza umana: la gioia e il dolore, la speranza e la disperazione, l’affetto che porta anche all’estremo sacrificio (Marwan si fa uccidere perchè Abdallah si scuota dal torpore in cui la droga della setta l’ha gettato), il coraggio di combattere per ciò in cui si crede e la saggezza di non fare di un ideale un idolo, la capacità di cantare e di gustare ciò che la vita dà nelle sue gioie più semplici anche nei momenti più dolorosi ( Cfr. il testo della canzone dei gitani) l’orgoglio che porta all’errore, il coraggio di chiedere perdono e la forza di concederlo, la capacità di assumersi responsabilità e di accettare i propri errori (anche quando risultano pesantissimi, come nel caso del califfo Mansour, che alla fine viene riabilitato grazie a questo "risveglio" e all’amore dei figli).

Inoltre, sempre a proposito dell’attualità delle situazioni rappresentate, c’è da sottolineare che non a caso, forse, ad accompagnare Averroè nella concretizzazione del suo pensiero è un gruppo di gitani, simbolo dei rifiutati per eccellenza, sia dai cristiani che dai musulmani, in tutte le epoche storiche, e stigmatizzati da ambedue le parti come simbolo dell’inaffidabilità e del peccato. Sono proprio i rifiutati a non rifiutare, i disprezzati a non disprezzare, anzi, Marwan, il poeta che nessuno riuscirà a far tacere (neppure con una coltellata in gola), colui che riveste il ruolo per eccellenza più disprezzato dai benpensanti (insieme alla ballerina), è anche colui che è capace dell’amore paterno più eroico e della fedeltà più totale, "adottando" Abdallah, facendogli da padre a tutti gli effetti e arrivando a morire per salvargli la vita.

È quindi da una situazione inaspettata che ci viene il messaggio di vita e di sapienza, da una situazione che va avvicinata e vissuta, poiché limitandosi a giudicarla da lontano si possono scorgere solo i riflessi dei propri pregiudizi indebitamente confusi con la realtà.

Chahine dipinge tutto questo con mano magistrale, dando una lettura che è al tempo stesso poetica e lucida, drammatica e vivace, e la sua versatilità nel dare corpo alle idee sullo schermo tramutandole in azione e spettacolo, metafora e simbolo, storia antica e moderna, rende al sua opera una commedia piacevole, fruibile in massimo grado dal grande pubblico.

Egli intende così onorare Averroè (di cui quest’anno ricorre l’ottavo centenario della morte), che volle fortemente far conoscere le proprie idee e metterle al servizio dell’umanità intera. Anche il regista sente il dovere di far volare i propri film per sentirsi, a dispetto di ogni censura, libero e padrone del proprio pensiero.

(Nike Morganti, Elisa Rossignoli)

 

Una scheda completa del film in lingua italiana si può trovare su internet: http://lck.com/reVision/ci_desti.htm