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LA PROMESSE
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di Jean Pierre e Luc Dardenne, Belgio Francia Tunisia Lussemburgo 1996, 90', versione doppiata in italiano. |
Materiale collegato consigliato dal Cestim FILM: La noire de… (La nera di…) , di Sembéne
Ousmane, Senegal 1966, 55'. Terra di mezzo, di M. Garrone, Italia 1997, 78',versione originale in lingua italiana. Tre episodi sulla vita quotidiana di alcuni stranieri a Roma: Silhouette: Tre prostitute nigeriane in attesa di clienti ingannano il tempo chiacchierando tra loro e raccontando quello che succede nei loro incontri con gli uomini. Euglen e Gertian: Due giovani albanesi, Euglen e Gertian, appunto, si vedono costretti ad accettare un lavoro in nero come muratori ed nentrano in contatto con una vecchia e nobile signora romana. Self service: Ahmed, egiziano ormai di mezza età, fa il benzinaio abusivo notturno con tutti i rischi che la situazione comporta. Poi, quando la mattina torna a casa, ricorda la sua precedente importante vita in Egitto, ormai lasciata alle spalle ALTRO MATERIALE: Intervista ai fratelli Dardenne a
proposito del film.
Cinergie: Com'è nata La Promesse? Jean- Pierre: E' abbastanza complesso. Non siamo stati proprio noi ad cercare un soggetto, ma è il soggetto che è venuto a cercarci per primo. L'uso di manodopera clandestina è una pratica sempre più comune nell'Europa occidentale, aggravandosi la situazione economica e i rapporti nord-sud. Vediamo disfarsi il tessuto sociale, specialmente a Seraing, dove abbiamo girato il film, una regione industriale ove il tasso di disoccupazione è elevato, e l'arte di arrangiarsi, ciascuno per sé, ha sostituito poco a poco le tradizionali reti di solidarietà e aiuto reciproco. Questo clima ha impregnato le nostre riflessioni ed è servito da preliminare per la storia. Un altro fatto ci ha colpiti allo stesso modo. Un gruppo di cittadini del Burkina Faso, arrivato a Bruxelles da dove dovevano ripartire per Carrara, in Italia, per lavorare nelle cave di marmo, ha atteso in vano il trasportatore, e si è trovato abbandonato a se stesso. D'altronde, mentre lavoravamo al nostro film precedente, Je pense à vous, ci siamo imbattuti in un tipo che faceva il mestiere di Roger. Ci ha raccontato tutto perché pensava che avremmo potuto utilizzare uno dei tuguri in cui faceva vivere dei clandestini, cosa che gli avrebbe fruttato dei soldi in più. In poche parole, era un imbecille che ha voluto fare il grandioso perché ha visto che lavoravamo nel cinema. Ma era anche un grande cinico, un bandito sotto la veste di uno che la sa lunga. Era la personificazione della banalità del male, convinto com'era di agire bene perché alloggiando quelle persone in condizioni deplorevoli, permetteva loro di avere un indirizzo e, all'epoca, di avere accesso ai servizi sociali. Chiedendo loro, come nel film, di sistemare il grande edificio che abitavano. Tutto ciò serve da contesto quasi documentario su cui si costruisce il film. C: Il vostro cinema è dunque un grido di allarme? J-P: Pensiamo che il cinema abbia anche una funzione sociale.
L'opera d'arte ha un impatto sul mondo di oggi. Tanto che gli spettatori
vogliono vedere proprio questo cinema. C: La morte di Hamidou arriva abbastanza tardi… J-P: Volevamo avere il tempo di introdurre lo spettatore nel mondo del lavoro clandestino e nei rapporti che si creano fra i personaggi. Quell'incidente che nessuno aveva previsto fa un po' parte dello svolgimento "documentario" della prima parte del film. Eravamo là per caso quando è successo. C: La fine aperta vi si è imposta da quando avete scritto la sceneggiatura? L: Il percorso del film è quello di Igor. La storia di qualcuno che commette il male in assoluta buona fede fino a quando si sente colpevole e dice la verità, che non era, evidentemente, nella promessa fatta ad Hamidou. Una volta che egli ha detto questa verità, il film è finito, ciò che poi accadrà ai personaggi è tutta un'altra storia. Li prendiamo in un dato momento, li seguiamo per qualche tempo e poi li abbandoniamo, li lasciamo proseguire la loro vita. C: Come avete lavorato alla vostra fiction, molto vicina al documentario? J-P: Ci siamo dati dei limiti, quelli imposti dalla realtà, all'interno dei quali abbiamo inventato. L'intervista è disponibile in lingua originale francese alla pagina www.cinergie.be/cinergie/arch01/promesse.html |