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da "Il
Manifesto"
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08 Marzo 2001 Al cinema, mimose d'Africa Intervista con Hanny Tchelley, attrice e produttrice della Costa D'Avorio ANGELA PRUDENZI - OUAGADOUGOU E' giovane e bella, Hanny Tchelley. La testa ornata da grandi trecce che le scendono sulle spalle e gli occhi neri e fieri di chi non abbassa mai lo sguardo. Occhi che raccontano da soli le difficoltà incontrate sul proprio cammino da una donna che, attrice e produttrice di successo, ha molto lottato per veder realizzati i propri sogni in un paese, la Costa d'Avorio, che ad altre donne continua ancora a negare tutto. La incontriamo a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, in occasione della 17a edizione del Fespaco, festival biennale del cinema africano, che si è svolto dal 24 febbraio al 3 marzo. In cartellone 120 film, circa 20 le cineaste presenti nelle varie sezioni. 4.500 i giornalisti accreditati (europei e africani, ma anche provenienti dagli Stati Uniti). Reduce dalla produzione di una serie televisiva imperniata sul tema dell'Aids, distribuita in molti paesi africani con grande successo, Hanny Tchelley, membro della giuria dei cortometraggi, sta ora lavorando a un documentario dal titolo Vies de femmes, sei ritratti di africane che come lei ce l'hanno fatta.Perché ha scelto di produrre un documentario, genere difficile da distribuire? Ho sempre pensato di doverlo fare, per me questo documentario è insieme un altro sogno che si realizza e un debito che avevo verso le donne africane. Perché la nostra situazione in Africa è tuttora terribile, e nessuno ha il coraggio di dire l'unica cosa che andrebbe detta: se vuoi il potere devi prenderlo, nessun uomo te lo darà mai. E questo che mi ha spinto a voler mostrare sei donne di primo piano, ognuna raccontata da una regista di un altro paese. Si tratta di persone totalmente diverse tra loro, una scrittrice, un'analfabeta che è riuscita a costruire dal nulla un'azienda di artigianato, una cantante... accomunate dall'aver lottato per tutta la vita senza accettare di essere relegate in un angolo. Eppure molte sono le campagne di sensibilizzazione a favore delle donne finanziate da organismi statali... E' vero, ma sono campagne che spesso nascondono delle trappole, molte di esse sono pensate in modo da non opporsi alle tradizioni, che erano e restano totalmente incentrate sull'uomo. Quando si va in un villaggio a parlare dei diritti delle donne ci si trova di fronte a ostacoli insormontabili, ed ecco che si fa appello alle tradizioni, alla necessità di far passare il rinnovamento attraverso esse. Ma è di nuovo un mezzo che gli uomini scelgono per evitare il problema, è pura ipocrisia. La stessa radicata mentalità maschile che nelle città permette alle ragazze di studiare ma che poi preferisce inserirle in contesti lavorativi familiari, negando loro di fatto la possibilità di costruirsi una vita autonoma. Le campagne lasciano il tempo che trovano, perché le parole sono parole, e noi abbiamo bisogno di fatti. Sono molti i film che mostrano uomini messi alla berlina. Le scene raccontano di mariti che di fronte alla televisione ordinano alle mogli di portare una birra fredda, oppure ricchi corrotti che vogliono prendersi seconde spose giovani e carine. Crede che l'ironia serva a far capire alle donne che non sono obbligate ad accettare mariti che mancano loro di rispetto? Ancora una volta penso che sia un modo tipicamente maschile di scaricarsi la coscienza. Posso sbagliarmi, ma sono convinta che in nessun film girato da una donna sia possibile trovare una situazione simile. Ma quello che mi meraviglia di più è che le spettatrici in sala si divertono, e accettano così di allontanare le difficoltà della loro condizione con una risata. Quando tornano a casa, dopo averne riso, condividono invece con le protagoniste il peso di una vita familiare che le relega in secondo piano. Pensa che solamente le donne cineaste possano raccontare fino in fondo le altre donne? No, assolutamente. Molti sono i registi africani che hanno mostrato la condizione femminile senza reticenze. Ma penso anche che un cinema fatto da donne sia più libero di dire che dobbiamo costruirci la nostra indipendenza, prenderci quello che vogliamo, realizzare i nostri sogni. Non basta far vedere un uomo ridicolo che ordina alla moglie di portargli una birra, se poi non la si mostra rispondere: prenditela da solo, sto facendo una cosa importante. Mettere alla berlina i piccoli atti di sottomissione è giusto, ma bisogna avere il coraggio di dire che una donna può avere tanti progetti da seguire, ben più importanti che far felice il proprio marito. Questo è l'esempio che spero diano le protagoniste di Vies de femmes. Le loro storie dicono: abbiamo avuto un sogno, lo abbiamo realizzato pur continuando a essere mogli e madri. Donne d'Africa strappate il vostro posto nella società, nessun uomo si alzerà mai per lasciarvelo! |