da "Il Manifesto"

16 Marzo 2001

Uno sguardo sul meticciato

Al via il tradizionale festival del cinema africano, prima a Milano e poi a Roma Larghi orizzonti Tra gli undici film in competizione c'è "Lumumba" dell'haitiano Peck, e "Little Senegal" dell'algerino Bouchareb e una nutrita sezione video

ANTONELLO CATACCHIO - MILANO

Metissakana in lingua wolof significa "il meticciato sta avvenendo". E l'11 festival del cinema africano di Milano è perfettamente in sintonia con metissakana. Non solo perché ormai diventa sempre più riduttivo etichettare la produzione di un film con una nazionalità, ma perché gli incroci, le contaminazioni, il meticciato sono un dato di fatto culturale e bisogna quindi saper allargare orizzonti e sguardi liberandosi da schematismi e griglie. Per questo tra gli undici film della competizione è possibile trovare un regista haitiano come Raoul Peck che presenta il suo magnifico Lumumba, produttivamente congolese, oppure Little Senegal di Rachid Bouchareb, regista algerino che racconta di un senegalese a New York. Anche se non mancano titoli più strettamente e tradizionalmente africani. La conferma dello sguardo aperto viene dalla sezione "Finestre sul mondo" dove si trovano titoli provenienti dall'Islanda piuttosto che dalla Cina, dalla Thailandia e dall'Iran. Non per questo il festival ha perso di vista il suo asse portante, anzi il panorama delle sezioni offre una campionatura estremamente ricca dei diversi ambiti in cui si muove il cinema africano e indirettamente permette di cogliere le contraddizioni produttive di un continente composito, dove i cinema chiudono e aumentano parabole e videoregistratori. Tra i corti in competizione spiccano i nomi di Tasseré Tairou Ouedraogo (fratello più giovane di Idrissa) che presenta Le chauffeur du deputé e la strabiliante e originale burkinabé Fanta Régina Necro con Close up to Bintou. Fuori concorso molti materiali, spesso girati in video, per questioni economiche ma talvolta anche di scelta, con una produzione che un tempo era prettamente commerciale mentre ora sta alzando il tiro. Ecco quindi un raro esempio di film eritreo come Minister di Temesghen Zehaie, con un linguaggio che qualcuno già assimila a quello di Straub o l'ironico Thunderbolt, nigeriano, di Tunde Adegbola con il dramma dell'Aids che si confonde con il malocchio della tradizione. Ampia anche la sezione del concorso Video che spazia dalla videodanza di Albino Calamata del sudafricano Malcolm Hecker all'algerino L'espadon du désert di Hadji el Fadaa. Infine la sezione Africa Musicals che rilegge "il gesto musicale" nel suo insieme proponendo musical classici come Sarafina di Darrel Roodt, West Indies di Med Hondo, accanto a materiali più spuri e quattro commedie musicali egiziane degli anni '50. Il tutto coronato dalla retrospettiva dedicata al Marocco, paese cinematograficamente scoperto dai Lumière e che viene tuttora utilizzato per grandi produzioni hollywoodiane o serie televisive, in questo caso è possibile rileggerne la storia attraverso quattordici titoli per venticinque anni di produzione locale (dal '69 al '94). La rassegna diretta da Annamaria Gallone e Alessandra Speciale (con Giuseppe Gariazzo curatore della sezione video) è organizzata come sempre dal Coe con molteplici e differenziati sostegni. A Milano si svolgerà dal 23 al 29 marzo, ma toccherà anche Roma (dal 2 all'8 aprile) e troverà spazio anche a Parigi e Ginevra nell'ambito di Black movie e Racines noir. Non vanno poi trascurati i momenti di specifica proposta alle scuole e all'università, i convegni, gli incontri, le mostre, i seminari. Volendo sintetizzare con gli organizzatori si potrebbe dire che stiamo parlando di cinquanta registi, venti paesi e novanta film che porteranno una ventata di aria fresca e di culture altre per tentare di scrostare il provincialismo e la chiusura sempre più evidente di una città come Milano che stenta a darsi appuntamenti di rilievo e di spessore internazionale.