da "Il Manifesto" 10 Ottobre 2000

Tutti i colori di Baltimora

MARIUCCIA CIOTTA

" Avete mai visto un cane fare il bagno in piscina? E un ragazzo nero che nuota? No? E allora l'avviso è rivolto agli ebrei". Il cartello appeso al cancello dell'impianto sportivo di Baltimora, anno 1954, vieta l'accesso alle tre categorie. Siamo in America e non nella Germania nazista. Ma i bagnanti bianchi ne fanno solo una questione di gusti. Se non gli piacciono i canguri, direbbe Benigni al figlioletto, è giusto che non li facciano entrare. Barry Levinson ha lo stesso tocco da commedia al vetriolo della Vita è bella, per continuare la saga autobiografia sulla sua città, la stessa di John Waters, anche lui sempre pungente con i suoi concittadini intolleranti. Liberty Heights è il quarto "episodio" dopo A cena con gli amici, Tin men e Avalon. Il film, però, non è affatto malinconico né conciliante, colleziona in uno slalom nella vita adolescenziale di Ben (Ben Foster) il razzismo dell'America anni Cinquanta, che non è svanito come l'autunno rosso-giallo meraviglioso del '54 a Baltimora fotografato da Chris Doyle, il pittore di Wong Kar-Wai. Allora, si dice, c'erano i ghetti etnici. E invece adesso no? Ci sono i supermercati "etnici" per soli latini, per esempio, dove trovi gli scarti del mercato di Los Angeles, e neppure un bianco a frugare nelle casse di riso e di fagioli. Questione di gusti. Il film di Levinson con leggerezza sferra colpi violenti narrando di Ben, alias Barry, che con i suoi amici aveva paura a passare in auto nel quartiere dei bianchi. Ognuno doveva stare al suo posto. Ebrei con ebrei, neri con neri, wasp con wasp. "Ma lo sai che erano ebrei gli schiavi che hanno costruito le piramidi?" dice Ben a un bellimbusto, piccolo spacciatore nero Little Melvin (Orlando Jones, Magnolia), che si compiace di avere il primato della discriminazione e neppure un amico bianco. "Davvero? Non lo sapevo, ma quando è successo?". In questa girandola di apartheid, esplode il rock in America, e il concerto di James Brown in Pennsylvania Avenue, la strada principale del distretto nero, conquista i primi due spettatori bianci, Ben e un suo amico. Per amore di Sylvia, la ragazzina con cui Ben se ne sta, di nascosto, a sentire Ray Charles, Louis Armstrong, Nat King Cole. Ma la vera passione di Ben è Frank Sinatra: "non si può lasciare a metà una canzone di Sinatra", sostiene. E quando il severo padre di Sylvia (Rebekah Johnson) lo riaccompagna a casa - "le proibisco di vedere mia figlia" - dopo averlo scoperto nell'armadio di lei, il ragazzo non esce dall'auto finché Young At Heart non è finita. Il regista premio Oscar per Rain man scrive, dirige e produce Liberty Heights e ripercorre i ricordi di quell'anno, che segnò ufficialmente la fine della segregazione razziale nelle scuole con humor e spirito indomito. Come si traveste un ragazzino ebreo nella notte di Halloween per essere all'altezza di un vicinato razzista? Da Hitler. Il padre (Joe Mantegna), la madre (Bebe Neuwirth) e la nonna inorridiscono. Ben è davvero un tipo stravagante, osa perfino baciare la ragazzina nera alla cerimonia di consegna dei diploma. E suo fratello Van (Adrien Brody, Summer of Sam di Spike Lee, Il pane e le rose di Ken Loach) non è da meno. Si è innamorato di una cenerentola con la bacchetta magica, Dubbie (Carolyn Murphy, top model all'esordio come attrice), incontrata in una festa, dove gli ebrei devono ossigenarsi i capelli per non essere pestati a sangue. Dubbie è una ricca borghese fidanzata con un ricco borghese, Trey (Justin Chambers) che ama bere e schiantarsi in macchina a gran velocità. In più ha un padre che nasconde il suo fidanzato francese e tiene molto alle apparenze. Dubbie è un disastro di donna bianca. E' difficile trovare l'anima gemella in un posto fatto di Romei e Giuliette... Levison incrocia le storie della famiglia Kurtzman e ne fa il più bell'affresco possibile. Joe Mantegna, il padre, è coinvolto in una faccenda di lotterie clandestine, coperte da un teatro di cabaret, dove si esibiscono spogliarelliste improvvisate. Avrà dei seri guai legali... La stagione di Ben finisce. L'autunno si porta via i ricordi, come il vento di Bogdavonich sul set di L'ultimo spettacolo, provincia texana, 1951, guerra di Corea, perdita dell'innocenza, passaggio all'età adulta. Ma ancor di più viene in mente Elia Kazan e il suo Barriera invisibile (Gentleman's Agreement), ancora un po' indietro nel tempo, anno 1947, ma stesso clima freddo. Il giornalista Gregory Peck si finge ebreo per un'inchiesta sull'antisemitismo. Scoprirà cose che il pubblico di oggi (americano e europeo) dice di non sapere, come Little Melvin non sapeva delle piramidi d'Egitto. Tanto per rinfrescare la memoria a tutti, Ben e i suoi due amici alla fine formeranno un avviso umano schierati sul bordo della piscina off limits con le lettere dipinte di rosso sul petto, "J. E. W.", ebreo.