da "Il Manifesto" del 17 Agosto 2000

Viaggio nell'altra Italia

"Un posto al mondo" di Mario Martone e Jacopo Quadri, riscrive la geografia mentale e fisica di Roma, a partire dalla convivenza con gli immigrati

CRISTINA PICCINO

Roma e il giubileo, Roma e le gru, quelle "buche" dei lavori giubilari che hanno scandito il ritmo dela città nell'ultimo anno. Roma e quella sua nuova anima che ne sta cambiando lentamente il volto e l'essenza. Che è Roma la protagonista di Un posto al mondo firmato da Mario Martone e Jacopo Quadri, proposto nella competizione video "Cineasti del presente" del festival di Locarno, e che prodotto dalla Rai si spera sarà mandato in onda. Una Roma di luoghi, volti, microstorie quotidiane quali quelle che si incrociano velocemente in strada, nella metropolitana, ai semafori, ai tavolini dei caffè, le storie di chi è arrivato qui cercando appunto un diverso "posto al mondo", che si è lasciato tutto alle spalle e che nella maggior parte dei casi senza permesso di soggiorno continua a vivere una condizione di assoluta precarietà. Sono gli africani, gli asiatici, chi viveva nel Kosovo o nella ex-Jugoslavia, tutti coloro che sbarcano quotidianamente e che, se non nelle tragedie, dopo non fanno più notizia anche se esistono e pian piano stanno diventando una componente vitale e importante del nostro paese. E al tempo stesso esprimono un decennio di guerre e fughe obbligate, perdita di identità e riferimenti fisici oltrechè culturali quali sono stati in modo particolare gli anni Novanta, in una storia più allargata delle migrazioni che appartiene alla natura stessa dell'umanità. Con buona pace delle destre europee e di chi, facendo leva sulla paura generalizzata della diversità (e sulla debolezza), preme perchè si chiudano i confini, si spari, si emargini. Un posto al mondo nasce dal lavoro sull'Edipo re, spettacolo nel quale Mario Martone provava a portare dentro al teatro Argentina - dove è andato in scena - le pulsioni della contemporaneità. Insieme agli attori professionisti - Claudio Morganti, Licia Maglietta, Loredana Putignani, Toni Servillo, Carlo Cecchi ed altri... - ci sono gli "stranieri" (come "straniero" era Edipo), chi ha scelto Roma per ricominciare. Edipo re e Un posto al mondo, che segue anche il backstage, gli incontri con le persone a cui viene proposto magari tra le bancarelle di piazza Vittorio di presentarsi all'audizione, e poi i percorsi e il presente di ognuno, sono due momenti importanti di riflessione e di rottura dell'immaginario. Perchè l'Italia rispetto altri paesi dell'Europa di Maastricht, continua a lavorare su una forma di immaginario "chiuso", come se l'inconscio collettivo non avesse mai superato lo choc dell'autismo fascista, generando uno sguardo che a parte poche eccezioni cerca sempre in se stesso la propria ragione di essere. Forse è anche un motivo - ma che dire dell'eterno rimosso sul colonialismo? - che spiega la "povertà" rispetto al flusso di cnoflitto che è stato ricchezza in questi anni per altri paesi (con tutte le contraddizioni possibili) come Francia o Gran Bretagna, dove il melting pot è stato impulso di arte e di radicali innovazioni nel linguaggio e nella visione collettiva. In Italia è ancora poco il cinema (e in generale la comunicazione) che cerca questo confronto ormai necessario specie se si vuole parlare della Realtà, non soltanto nelle sue forme di superfice. Edipo re partiva da qui, dalla necessità di aprire a una Roma diversa da quella che finora avevamo visto rappresentata, una Roma che non perde la sua storia ma che è insieme qualcos'altro, ovvero finestra sul nostro mondo, sulle guerre vicine che sono fisiche e non soltanto zone immateriali del reportage in tv. Non a caso lo sguardo acuto di Pina Bausch aveva voluto questa Roma per il suo lavoro sul Giubileo, "rubando" intuizioni tra i campi rom e nei quartieri dove la convivenza comincia a essere reale. E non può essere diversamente nella politica (e nella poetica) di chi come Mario Martone ha scelto sempre la cifra del confronto, nel linguaggio, nei temi, nel modo di raccontare le sue storie, nella pratica quotidiana delle direzione artistica al teatro di Roma che ha saputo finalmente restituire a un'istituzione separata dal vissuto l'energia e la vitalità indispensabili perchè possa esistere. La destra, chia ramente, non ama e attaca coi soliti mezzi del "bilancio che non quadra" in cui c'è già tutto il limite mentale di chi non ha strumenti per fare i conti col proprio tempo. In Un posto al mondo sentiamo i racconti di Merita Xhnai, Kasim Cizmic, Adriana Deacu, Mohammed Hassan e altri che poi parteciparanno allo spettacolo, e altri ancora che no perchè senza permesso di soggiorno. C'è chi suonava in un'orchestra e oggi suona davanti al teatro Argentina ma in Romania non si poteva vivere, dicono. E ci sono le immagini, prese dagli archivi, degli esodi: Africa, Iraq, Balcani, Kurdistan, una corsa infinita verso l'ignoto, quei fagotti sulla testa o sulle spalle, i bambini muti e interrogativi come li abbiamo visti tante volte in tv, ma che "decontestualizzati" dall'abitudine del telegiornale frantumano l'assimilazione in cui vengono rinchiusi. Ci sono anche altre fughe, quelle di Chernobyl o di Seveso, la gente che abbandona le case e non sa cosa fare. E gli immigranti, gli italiani che partivano per Svizzera o Germania, le loro storie di soprusi, emarginazione, solitudine, sfruttamento così simili agli stessi che oggi non si vogliono neppure guardare. Martone e Quadri, anche lui talento nervoso, montatore e regista di sperimentazione, (e tutto il gruppo con cui lavorano) lo sguardo lo tengono bene aperto e vogliono farlo spalancare. La Roma-Europa-mondo che si compone nel loro percorso è un passaggio nuovo nel modo di confrontarsi con questa città che è appunto così densa di riferimenti sullo schermo. Non è la Roma pasoliniana e neanche quella delle commedie intime di locali e appartamenti. E' la Roma della globalizzazione e del giubileo che recita - "ero forestiero e sono stato acoclto" ma inveisce contro il gay pride e contro chi disturba il restyling del Giubileo. E' il cinema (e il teatro) che squarciano i veli, inqueitano, e obbligano al pensiero (vedremo un'altra Roma di conflitto in Estate romana nuovo film di Matteo Garrone, a Venezia, cineasta anche lui che lavora sulla scoperta) affrontando il materiale del nostro tempo.