da "Il Manifesto" del 06 luglio 2000

Dal Cairo alla banlieu parigina

Mentre "Medina" di Yousry Nasrallah esce nelle sale francesi, i registi Yasmina Kassari e Samir Abdallah regalano emozioni agli spettatori della quinta Biennale del cinema arabo

E CRISTINA PICCINO - PARIGI

 

E'uscito ieri nelle sale parigine Medina ("La città"), ultimo film di Yousry Nasrallah, egiziano, cresciuto nel gruppo di Yussef Chahine col quale condivide il gusto fiammeggiante delle immagini fuori misura e mai prevedibili (Medina era stato presentato in concorso al festival di Locarno 99). Ed è una bella coincidenza questa uscita negli stessi giorni della Biennale del cinema arabo, nata nel Novanta (siamo alla quinta edizione), quando la guerra del Golfo era nell'aria e l'ondata del "melting pot" europeo conosceva le sue prime esplosioni, apparendo come un'ipotesi di infinite e nuove possibilità. Di che parla Medina? Di molte cose ma soprattutto di desiderio e emozione distillati in ogni singolo fotogramma in quel cinema "meticcio" che ama Nasrallah (e che è la sua ricchezza), nella struttura narrativa e nell'immagine digitale dove si mescolano molteplici forme del cinema, dalla commedia musicale ai racconti delle Mille e una notte, dal cinema politico nella sua espressione più compiuta fino all'erotismo dell'ambiguità. La cifra di Nasrallah è l'eccesso, e nel viaggio tra il Cairo e Parigi del giovane protagonista ciò che cerca non è l'equilibrio, il codice riconoscibile, al contrario. Nel seguire la sua "passione" (o discesa agli inferi quasi di sapore genetiano) sconvolge le regole, guarda dietro la superficie liscia, opaca per il magma dell'imprevedibile che poi è conoscenza. Il giovane inquieto e desiderante (è l'attore, magnifico, Bassem Samra) lascia il Cairo destinazione Parigi. "Credi che ti salverà?" - gli domanda il padre -"No, ma lì sarò davvero solo" risponde il ragazzo. Ci sono in Medina, nella sua parte parigina (la sceneggiatura è stata scritta dallo stesso Nasrallah insieme a Claire Denis) molte situazioni di vissuto che conosciamo, che ci riporta la cronaca nei casi eccezionali e che sono sempre lì anche se non hanno la prima pagina: camere clandestine in cui si stipano gli "immigrati", gente ricattabile perchè senza documenti, gente che sfrutta e si arricchisce sulla miseria altrui, solitudine, disprezzo, razzismo sottile e oscuro. Non c'è nulla del reportage nè tantomeno del cinema "banlieu" che va tanto dall Odio in poi. C'è molta dolcezza, estrema attenzione, gioia pure nel considerare ogni singolo individuo come tale e non come oggetto di statistica o di cronaca. Vita e non Realtà, insomma, passaggio col quale Nasrallah ci dimostra (ma perchè in Italia non arrivano mai film così belli?) che il cinema respira quando se ne moltiplicano le identità e il desiderio. E la coincidenza che si diceva, è più grande visto che molti film della Biennale raccontano storie di sradicamento e ricerca, assenze, invisibilità, battaglie esistenziali ai limiti della sopravvivenza che valgono in modo diverso sia per chi arriva sia per chi vive in un continuo "altrove", e si trova a affrontare una diffidenza che crea divisioni, ostilità, distanza. Nasrallah con Medina riesce a entrare nel contemporaneo, nell'attualità polverizzando i luoghi comuni della rappresentazione. Ma: si può ancora raccontare fuori dall'"abitudine" anestetizzante del reportage? Si può dare voce a chi non ce l'ha se non in quella altrui? Yasmina Kassari, giovane cineasta marocchina che vive a Bruxelles (in questa Biennale si sta confermando come la metropoli europea che produce "metissage" attivamente) riesce a fare un film politico usando documentario e trentacinque millimetri, senza cedere all'effetto e con lucidità calda. Quand les hommes pleurent incontra i tanti marocchini che arrivano in Spagna per lavorare traversando lo stretto di Gibilterra. Molti ce la fanno, altri vengono rispediti a casa, altri ancora annegano nell'indiffernza degli spagnoli che sembrano ignorare questa realtà come se non li riguardasse. La regista lavora in avvicinamento, lascia spazio e parola e emozionalità agli uomini che le danno fiducia, raccontano lo sfruttamento, la violenza, gli spagnoli che affittano baracche a cifre esorbitanti e senza contratto per cacciarli quando vogliono. Se non vanno via ecco che tagliano acqua e luce (spesso complici le autorità). La vita da bestie, "puzzo e vado a letto col mio sudore, non so più cosa è una doccia"; la vergogna di tornare a casa senza soldi quando magari lì vivevano poveramente ma con più dignità. Le famiglie lontane, la solitudine voluta perchè "già vivo io male come potrei coinvolgere qualcun'altro?". C'è chi dice del lavoro a nero, della precarietà che comporta l'essere invisibili, che ti trasforma in merce aspettando un documento che non arriva mai. E intanto salari ridicoli e diritti zero, che permette al padrone spagnolo di cacciare via tutti dalla fabbrica dopo avere promesso la regolarizzazione. Alla fine conosciamo da "vicino", rese quasi fisiche, rabbia, frustrazione, disillusione per quel sogno diventato il peggiore degli incubi. E forse afferriamo in modo un po' più diretto la scelta di una partenza che ha ragioni economiche e culturali antiche, che affonda in una storia recente e lontana che in qualche modo appartiene a tutte le nazioni. Temperatura elevata e occhio partecipe, Yasmina Kassari svela pian piano e nella relazione con ogni persona intervistata un universo e un quotidiano sconosciuti, complessi, pieni di interrogativi e contraddizioni che sono il nostro tempo. Convivenza in un altrove "obbligato" è anche il cuore di Dècembre 99, Ramadan 1420, une faim de siècle, coproduzione Egitto-Francia firmata da Samir Abdallah, nato in Danimarca ma a Parigi sin da bambino, che ha lavorato sull'immigrazione con diversi documentari per la tv tra cui La Ballade des sans-papiers (1997). Il succo è già nel titolo, se a Parigi si festeggia il Duemila, il calendario musulmano è al 1420, il tempo ha una diversa misura. Il regista si mette in campo, dialoga col figlio adolescente al suo primo Ramadam. Si parla di dio, esiste, non esiste, è un ordine superiore, è qualcosa che fa parte della vita... I ragazzini ci credono, anche se non sembrano riflettere troppo. Ma soprattutto credono all'ingiustizia. I ricchi e i poveri, perchè non occupiamo tutte le case dei ricchi cosi' siamo uguali, dice uno di loro. E l'altro: mica vorrai fare la guerra, non porta a nulla. Sentimenti e disagi che su larga scala sono l'anima del conflitto nelle metropoli, periferia e centro, la frustrazione che sconfina nelle rivolte del week end, disoccupazione, scontri, odi, razzismo tra chi vive le difficoltà sociali. Intanto si prepara il Ramadam. I volontari cucinano per chi vive all'aperto, alla stazione, homeless, gente senza nulla "prima loro, poi noi" dicono. E sono tanti, che si conoscono, che hanno condiviso altre battaglie, quella coi sans-papiers ad esempio. La telecamera viaggia nella notte, capodanno Duemila, Ramadam 1420. I volontari che portano da mangiare per una festa all'aperto, vengono fermati dalla polizia. Accade sempre, specie se hai un'aria un po' "straniera", anche se i documenti sono francesi e da generazioni, dunque sei francese, vivi qui, abiti qui, studi qui, sei cresciuto qui. La Torre Eiffel esplode a mezzanotte. "E' bellissimo" dicono i ragazzini. E festeggiano il Ramadam e il Duemila, la memoria e l'identità stratificata, la sola arma contro il pericolo (e il richiamo) della tradizione-baluardo che chiude, reprime e annulla. Da una parte e dall'altra.