il manifesto - 28 Febbraio 2003
E i rom decidono di autosgomberarsi
«Noi ce ne andiamo». Lo dicono gli abitanti del campo romano Vicolo Savini
CINZIA GUBBINI
ROMA
Autosgombero. Sarebbe la prima volta che un campo rom decide autonomamente di fare armi e bagagli per trovare una soluzione più dignitosa dei «campi semiatrezzati» che disseminano Roma (e l'Italia). L'idea è sicuramente affascinante, e ci sta provando il campo di vicolo Savini, quello che sorge all'ombra della terza università protagonista qualche anno fa della poco piacevola vicenda dell'innalzamento di un muro per separare l'ateneo dal «caos» della vita zingara. «Noi qui non ci stiamo più», hanno detto le famiglie del campo, dove ormai vivono 900 persone. Una realtà che, quasi quasi, viene addossata agli stessi rom, per cui ogni volta che si snocciolano le cifre delle persone che vivono nei campi qualcuno alza gli occhi al cielo come per dire «e però pure loro...». Il fatto è che il tempo passa anche nei campi rom, e qualcuno sembra scordarlo. Per cui nascono bambini, le famiglie si allargano, nuovi nuclei si formano. E' la vita. Così da stamattina i muri dell'XI municipio, che ospita il campo, saranno disseminati di manifesti studiati per catturare l'occhio: «Vicolo Savini, ultimo inverno». Le scuole, le associazioni, e lo stesso municipio sono in subbiglio per risolvere la questione dei rom bosniaci che ormai vivono nel quartiere da dieci anni. E per i quali la soluzione varata nel `96, e mai più «perfezionata», prevede l'assegnazione di roulotte, acqua (fredda) e bagni (sei). Sei bagni per 900 persone. Chi è «sporco»? «La situazione è indecente e non più sopportabile - sostiene Fabio, uno degli operatori dell'associazione Arci, nonché esponente del centro sociale La Strada - tra l'altro il campo così organizzato non risponde affatto alle aspettative della maggior parte delle persone che ci vive. Non ha niente a che fare con la loro cultura. Bisgnerebbe prendere atto che, per esempio, i più giovani vorrebbero una casa, una casa normale in cui vivere». «E' più di un anno che abbiamo proposto al comune di Roma di studiare una soluzione che farebbe bene a tutti - sostiene l'assessore alle politiche sociali dell'XI municipio, Luciano Ummarino - la costruzione di un villaggio, compatibile con le risorse che il comune ha a disposizione per le politiche sui rom, o l'accesso alle case, o l'utilizzo di spazi in disuso. Le soluzioni sono tante, noi abbiamo messo a disposizione terreni, perché vogliamo che queste famiglie rom continuino a vivere nel quartiere, ma in un modo positivo». E invece pare che da parte del comune di Roma ci sia un certo immobilismo. Così l'autosgombero si può fare, certo, ma tutte le idee affascinanti hanno bisogno di un minimo di collaborazione. Almeno, di ascolto. O l'esistenza di una favela (e di tutte le altre) nel cuore di Roma, è solo di chi la vive?