il manifesto - 04 Febbraio 2003
Jihad o camorra?
Napoli, i clan dietro l'inchiesta sui pakistani
MI. CO.
Restano in carcere i 28 pakistani fermati a Napoli giovedì notte, mentre ieri sono scattate nuove perquisizioni nei confronti della comunità pakistana partenopea. Sempre ieri è stata resa pubblica l'ordinanza con la quale il gip Ettore Favara ha convalidato l'arresto dei pakistani accusati di «terrorismo internazionale» e detenuti nel carcere di Secondigliano. Nel testo si fa riferimento in particolare all'esplosivo (716 grammi di tritolo) ritrovato in un appartamento del quartiere Forcella, che sarebbe stato «verosimilmente destinato alla realizzazione di uno o più attentati terroristici ai danni dei cosiddetti obiettivi sensibili». Una rivista araba con la foto del capo di stato maggiore britannico Michael Boyce (che ha partecipato alle trattative tra Pakistan e India per il possesso del Kashmir) e le mappe ritrovate nella casa dei pakistani hanno fatto il resto: per gli inquirenti farebbero parte di un'organizzazione terroristica che poteva colpire l'aeroporto di Capodichino, il consolato americano, il municipio e lo stesso Boyce, atteso a Napoli il 19 marzo prossimo.

Resta molto da chiarire di questa vicenda, nata dalla «soffiata» fatta agli investigatori da un confidente e maturata all'interno di un quartiere ad alta densità camorristica. Gli arrestati abitavano in una casa di proprietà della famiglia Giuliano, il cui capoclan Luigi, da qualche mese ha iniziato a collaborare con la giustizia, denunciando nel dicembre scorso come i detenuti sottoposti al carcere duro eluderebbero il 41 bis. Le sue rivelazioni allora fecero scattare perquisizioni in vari penitenziari. Intanto c'è da registrare l'opinione di Amato Lamberti, presidente della provincia di Napoli e fondatore dell'Osservatorio sulla camorra, che ieri, sulle pagine del Messaggero, ha ipotizzato che i pakistani possano essere stati «venduti» dai camorristi.

Il governo pakistano ha inoltrato una dura protesta all'ambasciatore italiano a Islamabad: in base alle informazioni dell'ambasciata pakistana a Roma, i 28 arrestati «non hanno alcun legame col terrorismo e intendevano solo guadagnarsi da vivere in Italia».

Ma ieri pomeriggio i carabinieri hanno perquisito un altro appartamento abitato da sei pakistani, in vico Forino, non lontano da quello dei 28 arretstati giovedì scorso. Tutti e sei gli immigrati, la maggior parte dei quali venditori ambulanti, sono stati portati in caserma per accertamenti.

I pm: al Qaeda anche a Roma

Intanto il pool antiterrorismo di Roma ha accusato il pakistano Ahmad Nasser, l'algerino Chihab Goumri e il tunisino Abdelmoname Ben Khalifa Mansour (arrestati nel marzo scorso perché considerati membri di un'organizzazione terroristica che frequentava il centro di preghiera al Harmini di via Gioberti) di appartenere ad al Qaeda. L'integrazione di questo grave capo d'accusa è stata fatta in base a intercettezioni nelle quali i tre parlavano di guerra santa e di al Qaeda.