il manifesto - 02 Febbraio 2003
Napoli, caccia continua al pakistano
Nuova perquisizione dei carabinieri nel «covo» di Forcella. Clima teso per gli extracomunitari
MARIELLA PARMENDOLA
NAPOLI
I carabinieri sono tornati ieri nella palazzina del boss Giuliano, casa-dormitorio dei ventotto pakistani fino alla notte di giovedì quando sono stati arrestati con l'accusa di associazione per terrorismo internazionale. Le forze dell'ordine hanno nuovamente setacciato i tre piani della palazzina di Forcella nella quale sono arrivate per la prima volta indirizzati, probabilmente, da chi aveva cominciato a provare fastidio per la presenza dei pakistani dai movimenti sospetti nel cuore di Napoli. Troppo pericoloso per la camorra che nulla trascura di quanto accade in un suo quartiere continuare a tollerare la presenza del gruppo di stranieri che pagavano l'affitto alla moglie di un pentito della famiglia Giuliano per dormire in un'abitazione sotto sequestro giudiziario dal `92. E' nella palazzina dove aveva vissuto la famiglia Giuliano nel periodo di maggiore forza del clan che, secondo i magistrati, i pakistani avrebbero studiato le cartine topografiche di Napoli cerchiando a penna quasi tutti i posti noti della città da Piazza Municipio alla stazione metropolitana di Mergellina. Tanti cerchi definiti dagli inquirenti come obiettivi di possibili attentati soprattutto quando servivano per segnalare sedi americane: la base Nato di Bagnoli e il consolato generale Usa. E un cerchio fatto su un ritaglio di un giornale ha assunto più importanza degli altri. Al centro non c'è un posto della città come negli altri casi. Evidenziata è la foto di Sir Michael Boyce, capo di Stato maggiore della difesa del Regno unito, inviso ai pakistani forse più per l'appoggio dato agli indiani nel conflitto tra le due regioni che per essere esponente autorevole della nazione europea più fedele a Bush. La sua presenza a Napoli per marzo, segnalata da alcuni ambienti investigativi, non ha avuto conferme ufficiali. Armi preziose per il piano che contro di lui avrebbero avuto in mente i pakistani sarebbero state le agende sequestrate con moltissimi numeri di telefono e indirizzi. Rubriche che dimostrerebbero l'esistenza di contatti tra i pakistani in permanenza a Napoli e altri gruppi di fondamentalisti islamici in Svizzera, Francia, Spagna e alcuni paesi arabi. Nota stonata nel quadro che dipinge il gruppo di extracomunitari arrestati come integralisti islamici è la presenza nella casa setacciata di videocassette pornografiche. Ma quanto trovato in quella palazzina di Forcella non è risultato sufficiente agli inquirenti che hanno deciso di tornarci ieri. La nuova operazione dei carabinieri, diretta ad accertare all'interno delle stanze l'esistenza di tracce del tritolo trovate giovedì in luoghi non riconducibili specificatamente a ciascuno degli arrestati, ha prodotto altri effetti. Contribuendo a creare un clima di tensione legata all'allarme terroristisco di natura islamica in una città come Napoli abituata a dividere strade, piazze e locali con gli immigrati. E che si è ritrovata ieri più vuota e silenziosa del solito, senza la presenza dei venditori ambulanti di incensi e oggetti arabi che hanno preferito sparire per non sottoporsi ai controlli delle forze dell'ordine, particolarmente attenti a tutto quanto accade nella galassia degli excomunitari. Paure in più per gli immigrati senza diritti e in attesa di una sanatoria, che hanno avuto la sfortuna di trovarsi a vivere in una città definita da giovedì ad alto rischio terroristico. Un'accusa diretta ad un gruppo di pakistani che è stata incredibilmente utilizzata dai vigili urbani di Napoli per piegare alle ragioni del terrore gli atti di razzismo e violenza compiuti ai danni dei venditori ambulanti negli ultimi mesi. Vittime di maltrattamenti a protezione dei quali sono più volte intervenuti gli stessi napoletani che nulla avevano a che vedere con i pakistani sorpresi nel sonno nella notte di giovedì e muti da quel momento. Un silenzio di tre giorni che potrebbero decidere di interrompere tra oggi e domani durante gli interrogatori davanti al giudice per le indagini preliminari.