il manifesto - 01 Febbraio 2003
Napoli, indagini sui pakistani
Arrestati con tritolo e cartine segnate della città. Si sospettano legami con al Qaeda
MARIELLA PARMENDOLA
NAPOLI
Nel cuore del centro antico di Napoli, in uno dei vicoli di Forcella dove fino a qualche anno fa la faceva da padrone il boss Carmine Giuliano, vivevano 28 pakistani. Arrestati con l'accusa di associazione per terrorismo internazionale, detenzione di esplosivo, falsificazione di documenti e ricettazione. Per i magistrati della procura e i carabinieri del Nucleo operativo sarebbe la prova dell'esistenza in città di una cellula del terrore, legata ai fondamentalisti islamici. Un livello più in alto del gruppo di quattordici algerini condannati in primo grado per associazione a delinquere per detenzione di armi e falsificazione di documenti. Un piano superiore della piramide del terrore, della quale la magistratura italiana non è ancora riuscita a trovare le fondamenta, nel quale i 28 pakistani sono stati proiettati per il ritrovamento di una quantità tale di esplosivo da fare saltare in aria una palazzina di sei piani. Insieme a sei cartine di Napoli con punti cerchiati in rosso. Obiettivi considerati dagli inquirenti tradizionalmente sensibili come il consolato americano e la base Nato, ma anche i due luoghi simbolo della città: piazza Plebiscito e Piazza Municipio. Dall'immagine che ne offrono i racconti degli abitanti del quartiere appare un gruppo di venditori ambulanti tra i venti e i cinquanta anni che tornavano ogni sera nella casa di Vico Pace, fissa nella memoria dei napoletani per avere ospitato i festini della famiglia Giuliano (anche con Diego Armando Maradona). In quella palazzina di tre piani, di duecento metri quadri nota agli inquirenti, hanno fatto irruzione intorno alle due della notte tra mercoledì e giovedì i carabinieri del Nucleo operativo arrestando tutte le persone che erano in quell'abitazione: clandestini, immigrati con regolare permesso di soggiorno o in attesa della sanatoria. Una casbah sotto sequestro giudiziario da dividere con un gruppo di prostitute , occupata abusivamente da qualcuno che ha pensato di sfruttare la situazione strappando per un letto o un materasso a terra da trecento a cinquecento euro al mese. Ma ad ogni angolo di quella casa i carabinieri hanno trovato materiale utile per dimostrare la pista terroristica. Nascosti in più posti della palazzina ottocento grammi di tritolo, in scaglie, 50 metri di miccia detonante e nitroglicerina, utensili per realizzare circuiti elettronici e detonatori di vario tipo. E poi, come accaduto anche per altre operazioni nei confronti di excomunitari considerati dagli inquirenti in sospetto di terrorismo, ritagli di giornali pakistani, libri religiosi ricondotti alla jihad islamica e frasi ineggianti ad Allah. Testi in arabo sui quali la magistratura napoletana si muove con cautela, avendo fatto tesoro dei flop registrati in altre parti d'Italia. Il materiale sospetto sarà affidato ad interpreti per essere studiato a fondo, al pari delle rubriche sequestrate. Sono migliaia gli indirizzi e i recapiti sotto osservazione per ricostruire una rete di contatti su scala mondiale. Prove da accostare alle centinaia di cellulari ritrovati accanto ai manuali scaricati da Internet per falsificare documenti e passaporti. Fin qui i tasselli scoperti ancora tutti da mettere insieme per creare un quadro convincente di un'operazione dai molti tratti oscuri. Che rapporto c'era tra la comunità pakistana e la camorra, difficilmente distratta al punto di non accorgersi della presenza del gruppo di immigrati? E poi perché 28 persone che studiano un piano per attentati a Napoli vivono tutti nella stessa casa dove nascondono le prove del loro disegno? Tasselli che andranno al posto giusto quando la procura avrà terminato il proprio lavoro. Mentre il ministro pakistano Aziz Ahmed Khan si dice sicuro che si tratti di accuse senza alcun fondamento.