il manifesto - 21 Gennaio 2003
Londra, assalto alla moschea
Nuova tappa della campagna «anti-terrorismo» del governo britannico. Le forze di Scotland Yard fanno irruzione in tenuta anti-sommossa nel luogo di culto di Finsbury Park. Sette arresti. L'imam denuncia: «una provocazione»
ORSOLA CASAGRANDE
LONDRA
Non si ferma la vasta operazione «antiterrorismo» della polizia e dei servizi segreti britannici. Ma domenica notte c'è stato un salto di qualità nelle modalità e nell'obiettivo delle forze dell'ordine: almeno 150 poliziotti in tenuta antisommossa, coadiuvati da elicotteri e decine di blindati, hanno fatto irruzione nella moschea di Finsbury Park, quartiere nord di Londra. Il raid ha portato all'arresto di sette persone (sei cittadini nordafricani e un cittadino dell'est europeo, tutti di età compresa tra i 23 e i 48 anni). La perquisizione della moschea è proseguita ieri mattina: dall'imponente e affascinante edificio a tre piani la polizia ha portato via soprattutto computer e libri. Finsbury Park è un quartiere prevalentemente abitato da cittadini nordafricani, per lo più algerini. Ma la moschea, soprattutto il venerdì, è meta anche di centinaia di musulmani che arrivano dai vari quartieri londinesi per la preghiera settimanale. Scotland Yard ha ieri confermato che le perquisizioni fanno parte della più vasta «operazione antiterrorismo» cominciata con l'arresto di numerosi cittadini algerini a Wood Green (quartiere a poche centinaia di metri da Finsbury Park) all'inizio del mese. Sei persone (tra cui due giovani richiedenti asilo politico) si trovano ancora in stato di arresto (fino a ieri sera senza alcuna accusa formale, come consente la nuova legge antiterrorismo) dopo che nell'abitazione di due di loro sono state rinvenute tracce di ricina (sostanza estremamente velenosa). Gli arresti di ieri, secondo la polizia, sono il risultato di mesi di intelligence e sono strettamente legati agli arresti precedenti. La settimana scorsa a Manchester, nell'ennesima operazione di polizia diretta a cittadini algerini, un poliziotto è morto dopo essere stato accoltellato da uno dei tre uomini arrestati che aveva cercato di fuggire.

E' soprattutto quest'ultimo episodio che ieri a Finsbury Park veniva indicato da più di una persona come la prova che in realtà il raid in moschea è stato una provocazione. L'imam del tempio parla addirittura di «vendetta». Sheikh Abu Hamza è stato spesso al centro di violente controversie in Inghilterra. Accusato di essere un aperto sostenitore del fondamentalismo islamico è stato spesso indicato anche come un sostenitore della rete di Osama bin Laden. Nessuna prova però è mai stata portata a suo carico e nel raid di domenica l'uomo non è stato arrestato. «Questa perquisizione - ha detto visibilmente irritato l'imam - è un atto di guerra. Una vendetta per l'ufficiale di polizia ucciso a Manchester la settimana scorsa. La moschea - ha insistito - non è mai stata chiusa alla polizia. Che cosa credono di trovare in un luogo di culto? Si tratta solo dell'ennesima provocazione».

Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 la moschea di Finsbury Park è finita sotto i riflettori proprio per le prediche di Sheikh Abu Hamza. Le sue omelie in moschea sono state denunciate come veri e propri «inni alla jihad». La polizia inglese ritiene che la moschea sia il luogo di reclutamento dei giovani musulmani da inviare nei campi di addestramento di al Qaeda. Ma anche queste ultime accuse si sono rivelate fino a questo momento soltanto illazioni.

Quello che invece è estremamente reale e visibile è la progressiva criminalizzazione della comunità nordafricana e in particolare di quella algerina. Sui tabloid e sui quotidiani conservatori da mesi ormai si sta assistendo al vero e proprio linciaggio di una comunità. L'avvocata Gareth Pierce (una dei legali inglesi più conosciuti e apprezzati, sempre in prima linea nella difesa dei diritti umani di detenuti irlandesi e in generale politici) è il difensore di uno dei cittadini marocchini arrestati un paio di mesi fa a Londra e accusati di essere in procinto di preparare un attentato con gas letali nella metropolitana della capitale. Arrestati senza alcuna accusa, gli uomini rimangono in carcere nonostante, come conferma Pierce, «l'unica cosa che gli è stata contestata è il possesso di passaporti falsi». Con la nuova legge antiterrorismo il ministero degli interni ha concesso poteri enormi alla polizia: è stato reintrodotto l'internamento senza processo e l'accesso ai detenuti da parte degli avvocati è estremamente limitato. E' chiaro che, come sottolinea ancora l'avvocata resa celebre dal film di Jim Sheridan «Nel nome del padre» (storia della liberazione dopo quindici anni di prigione di quattro irlandesi condannati per un attentato che non avevano commesso), «queste operazioni alimentano un clima di diffidenza e a volte ostilità in una comunità che comincia a pensare di essere stata scelta come capro espiatorio». Oltre che come diversivo: mentre l'opinione pubblica inglese è intenta a discutere della potenziale minaccia terroristica che pende sul paese e che potrebbe diventare presto realtà, infatti, il governo continua i preparativi per la guerra contro l'Iraq.