il manifesto - 15 Gennaio 2003
Rifugiati politici, al via l'impronta europea
Bruxelles rende operativo l'Eurodac, un sistema informatico per il controllo internazionale dei richiedenti asilo
ALBERTO D'ARGENZIO
BRUXELLES
Il suo nome gira per le istituzioni europee ormai da 12 anni, ma solamente oggi Eurodac viene messo ufficialmente in moto. Diventa così operativo il sistema concepito per controllare e schedare in un'unica banca dati chi chiede asilo politico nel territorio dell'Unione europea, oltreché nelle associate Norvegia ed Islanda, poi nel 2004 parteciperanno al progetto anche i 10 candidati e forse la Svizzera. Schedati a partire dai 14 anni e dalle impronte digitali, come già si fa in Italia per tutti gli immigrati. I 15 si sono dati uno strumento rapido ed efficace per verificare in tempi brevissimi, si parla di 25 secondi, se chi presenta una richiesta di asilo in un paese non l'abbia già fatto precedentemente in un altro. In sostanza, assicurava ieri la Commissione europea, si vuole evitare che un richiedente presenti la sua domanda in più paesi alla ricerca di legislazioni più «morbide» e di maggiori chances. In questa maniera si certifica anche qual è l'autorità nazionale incaricata di seguire la pratica (secondo la Convenzione di Dublino, che dal 1997 regola le competenze nazionali in materia di asilo, se ne deve occupare il paese in cui viene depositata la prima richiesta). Un sistema di controllo tanto preciso e - giurano - efficace che nel 1998 i 15 pensavano bene di estendere il suo campo di applicazione anche al trattamento delle impronte di altri immigrati, sempre per «facilitare l'attuazione della Convenzione di Dublino». In sostanza d'ora in poi si potranno prendere le impronte a qualsiasi immigrato con la scusa di verificare se ha presentato domanda di asilo politico in un qualsiasi angolo della Ue.

Oltre alle impronte, la scheda elettronica conterrà anche altre informazioni: lo stato di origine, il luogo e la data dell'eventuale domanda di asilo, il sesso ed un numero di identificazione. I dati verranno immagazzinati per periodi differenti: 10 anni per chi chiede asilo, 2 per chi attraversa irregolarmente una frontiera, per gli altri (illlegali in generale) dopo il controllo le impronte «non verranno conservate». Organizzativamente, Bruxelles ci mette la sede centrale e tutto il sistema di confronto delle impronte (hardware e software sono di Microsoft), il resto - immagazzinamento dei dati e gestione nazionale - spetta agli stati membri. E qui aumentano i problemi. Alla Commissione ripetono fino all'esaurimento che «le informazioni non potranno essere utilizzate» per fini di polizia ma poi ammettono che in 5 paesi (Italia, Grecia, Finlandia, Islanda e Norvegia) la gestione di Eurodac viene lasciata alle polizie mentre in Francia alle prefetture. E tutti gli esperti tecnici, come i rappresentanti nazionali, appartengono alle forze di pubblica sicurezza.

Bruxelles vende Eurodac anche come il sistema che permetterà di «migliorare la ripartizione delle domande di asilo, di migliorare la solidarietà tra i paesi membri e di migliorare la ripartizione delle spese per i rifugiati». Tanti pregi per un meccanismo che risponde ben poco a questi obiettivi e che comunque lo fa i conti con costi economici sproporzionati, oltreché con una metodologia discriminatoria e di polizia. Se infatti Eurodac nasce per evitare le domande multiple, sorprende che la Commissione non abbia fatto alcuno studio per valutare l'incidenza di questo fenomeno. I responsabili del progetto affermavano ieri dapprima che «si tratta di un numero minimo sul totale», per poi lanciarsi in una stima che vuole le domande multipli variare tra il 10 e il 20% sulle 400.000 inoltrate annualmente nella Ue. Eurodac costa già 5,6 milioni di euro, più le spese per i sistemi nazionali, più 2,76 euro per ogni controllo realizzato, per costi amministrativi di centinaia di migliaia di euro all'anno.