Una Vittoria alla ricerca di migranti Una città diventata ricca con la riforma agraria, la coltivazione in serra e la manodopera tunisina accoglie con sgomento la nuova legge sugli immigrati. E questi rischiano di trovarsi da un giorno all'altro tutti clandestini, anche se regolari MASSIMO GIANNETTI INVIATO A VITTORIA (Ragusa) Il benessere della città dell'oro verde non lo cogli a prima vista. Di certo non lo avverti dall'estetica brutta delle case o dalla miriade di strade polverose che scorrono parallele tutte verso la campagna. La ricchezza di Vittoria però esiste davvero. La intuisci proprio lì, alla sua periferia, tra quelle migliaia di ettari di terreno che una volta producevano vino e che da mezzo secolo in qua sono state riconvertite in serre di ortaggi. E' qui, sotto tutti quei tendoni di plastica che si estendono lungo la «costa trasformata» che nasce il miracolo economico della città più rossa della Sicilia, tra le pochissime roccaforti della sinistra che il centrodestra non è ancora riuscito ad espugnare. Ed è qui l'eldorado dei tunisini, la stragrande maggioranza degli ottomila e passa immigrati che Vittoria si guarda bene dal respingere. Gli immigrati, data la scarsità di manodopera locale, sono infatti merce pregiata, per le grandi come per le piccolissime aziende agricole del ragusano. Molti sono regolarmente assunti ma tanti altri, soprattutto i clandestini, lavorano in condizioni talvolta pietose. Non trovando casa in città, spesso vivono nelle campagne, dormono dentro vecchie stalle senza finestre riadattate alla meglio. Se ne vedono a centinaia, di queste strutture fatiscenti e prive di servizi minimi, sparse tra le serre in cui lavorano. I clandestini, in quanto tali, guadagnano di meno dei regolari, più o meno 20 euro per dieci ore di duro lavoro al giorno. La metà di chi è assunto. Ma loro, gli sfruttati, pur di avere uno straccio di occupazione, non se ne lamentano. Quello che vogliono ora è ciò che la legge Bossi-Fini gli nega: la possibilità di rimanere in Italia in condizioni umane. Ma la nuova normativa sull'immigrazione, qui nel cuore del lavoro stagionale, rischia di fare disastri anche tra gli immigrati con regolare contratto. Il tessuto economico di Vittoria (come di tutto il ragusano) è composto in gran parte da piccole e piccolissime aziende (quasi il 90 per cento delle circa 5000 censite), spesso a conduzione familiare ma che comunque, in vari periodi dell'anno, si avvalgono di manodopera straniera per mantenere in piedi l'impresa. Senza tunisini, è opinione di tutti, rischiano perfino di chiudere. Ma ottenere l'agognato permesso di lavoro per i braccianti stranieri è difficilissimo, se non impossibile. Il lavoro qui è calcolato a giornate, i contratti sono tutti a termine. E inoltre l'assunzione del lavoratore agricolo fa riferimento a un contratto differente da quello nazionale dei braccianti. Si applica infatti il cosiddetto «contratto di riallineamento», stabilito da un accordo sindacale e che prevede una retribuzione più bassa per i lavoratori agricoli locali. Una sorta di agevolazione alle imprese. Ma la legge Bossi-Fini questo non lo ha neanche preso in considerazione. Tant'è che i funzionari della prefettura di Ragusa sono caduti dalle nuvole quando, l'altro ieri, il segretario della camera del lavoro di Vittoria, Salvatore Tavolino, intervenendo alla riunione convocata dall'ufficio stranieri per spiegare agli addetti ai lavori le condizioni della regolarizzazione, ha fatto notare che le aziende assumono solo facendo riferimento a quello specifico contratto. «Qui la sanatoria di fatto è impossibile farla. Se non ci sarà una deroga alle caratteristiche del lavoro stagionale, tutte le domande di regolarizzazione saranno respinte, anche quelle già inoltrate», dice preoccupato Sami, sindacalista tunisino della Cgil di Vittoria, emigrato in Italia tredici anni fa dalla provincia di Monastir _ la località della Tunisia da cui erano partiti alcuni dei suoi connazionali morti domenica scorsa nel naufragio di Scoglitti. E' lui che ci accompagna tra i suoi connazionali che lavorano nelle campagne di Vittoria. «I nostri datori di lavoro si scantano, hanno paura», dice in dialetto siciliano Saad, 34 anni, in Italia dall'86. «A fine anno, io sarò clandestino», aggiunge, mostrandoci il suo «foglio di ingaggio» per 102 giorni di lavoro. Denunciano tutti lo stesso timore, ma ognuno aggiunge qualcosa all'odissea comune. Chi paga realmente la regolarizzazione (800 euro)? Malah Labidi, rappresentante del centro islamico di Vittoria, ha pubblicamente denunciato che «molti datori di lavoro la fanno pagare agli immigrati». Il fenomeno, che si ripete ad ogni sanatoria, non si sa quanto sia realmente diffuso. Di sicuro i diretti interessati, ricattabili come sono, non lo metteranno mai per iscritto, come ha suggerito l'ufficio stranieri di Ragusa. Dalla campagna alla città. Dicevamo del «modello economico» che ha consentito la ricchezza dei contadini di Vittoria e di buona parte del ragusano, diventati dal dopoguerra in poi imprenditori agricoli con una particolare riforma agraria, fortemente sostenuta, anzi incentivata dai dirigenti dell'allora Partito comunista (che a Vittoria è arrivato anche ad avere consensi del 70 per cento). Riforma basata sulla ripartizione della grande proprietà fondiaria dell'epoca e sulla quale è stata poi «inventata» la serricoltura degli ortaggi. Un modello produttivo fino a qualche anno fa quasi esclusivo in Italia. Un modello che però comincia a mostrare la corda, e che senza più alcuna protezione non reggerà a lungo la spietata concorrenza del mercato globale, dove vincono ovviamente i più forti, ovvero la grande impresa. Gli amministratori locali, i politici e i sindacalisti, che non nascondono affatto queste difficoltà, chiedono al governo nazionale e regionale di aiutare l'economia di Vittoria con misure di pubblicizzazione dei prodotti locali a livello internazionale e con agevolazioni fiscali alle aziende. Ma allo stesso tempo suggeriscono «un salto di qualità» anche ai piccoli imprenditori, invitandoli a fare lavoro di gruppo, in altre parole ad associarsi in cooperative più di quanto non abbiano fatto fino ad ora almeno per la commercializzazione dei prodotti. «Negli anni passati il frazionamento delle produzioni andava bene e infatti ha consentito a buona parte dei vittoriesi di arricchirsi, ma ora non è più possibile» _ dice l'assessore all'agricoltura Giovanni Formica. «I costi di gestione delle serre, che necessitano rinnovamenti, sono troppo alti. Da soli non ce la possiamo fare. Inoltre, la mancanza di adeguati di sistemi di trasporto (la ferrovia per Catania è addirittura in dismissione e le strade sono da terzo mondo), la lontananza dai grandi mercati contribuisce ulteriormente a far lievitare i prezzi dei prodotti quando questi arrivano ai consumatori». Il futuro di quella che viene definita l'«Emilia siciliana» è davvero tutto in salita, sotto ogni punto di vista. |