il manifesto - 29 Agosto 2002
Assalto agli uffici postali per il kit che sana la colf
Parte la sanatoria, in poche ore richiesti 280mila moduli. Molti gli immigrati in fila: «Il padrone mi ha detto di prendere la busta, che poi ci mettiamo d'accordo...». Retate sospette a Palermo, proprio alla vigilia della grande distribuzione
CINZIA GUBBINI
ROMA
Neanche la pioggia battente è riuscita a fermare le file di fronte gli uffici postali italiani, forniti da ieri dei «kit» per l'avvio della regolarizzazione di colf e "badanti". Ore 9, sede delle poste «Appio» di Roma, uno degli uffici muniti di «corner», cioè di un tavolo su cui fanno bella mostra di sé le buste bianche con dentro i moduli. Piove, ma fuori c'è già qualcuno che aspetta, soprattutto stranieri. E i giornali che si sono sgolati per dire che c'è tempo, che i contributi si verseranno addirittura a partire dal 10, e non dal 9 settembre come era stato detto all'inizio? Sorrisi, «non si sa mai». Ore 10, 30: i moduli sono finiti, «la mia collega è andata a riprenderli, non vi accalcate, circolare, circolare», sbuffa l'impiegata. 350 buste già sparite, e ha appena smesso di piovere. Prima di entrare nell'ufficio qualche straniero si ferma e chiede: «mah...bisogna dare il passaporto?», no. «Il nome?», no. «Si paga?», no. Stupiti, ma sempre con circospezione, si avviano allo sportello. E iniziano le trattative: me ne da uno anche per mio cugino, mio fratello, mia moglie?. Le regole all'«Appio» sono ferree: «solo uno per persona». Ma in fila ci sono anche cugini, mogli e fratelli, già regolari, accorsi a prendere il modulo per far sanare parenti arrivati da poco in Italia. Solo qualcuno, però, ha già l'assicurazione in tasca, solo qualcuno sa già che, finalmente, otterrà un permesso di soggiorno. La maggior parte dice: «Il mio padrone ha detto di venire, prendere la busta, e poi vediamo che si può fare», anzi, la frase più in voga è: «e poi ci mettiamo d'accordo». D'accordo su che? «Facciamo a metà dei contributi...», sussurra la maggior parte.

Intanto, sulle scalinate dell'ufficio si formano piccoli gruppi di persone, che si scambiano dubbi e perplessità. Un avvocato, che come molti altri, è venuta alle poste per «prendere il kit e dare un'occhiata», scopre che è stato eliminato il famigerato tetto di reddito minimo all'anno per assumere una colf. Una restrizione che, per fortuna, è stata abolita. Tutto più facile, dunque? Neanche un po', sembra che sia stato deciso di togliere qualche sasso dalla scarpa dei datori di lavoro, per infilarlo in quella degli immigrati. Il capitolo delle espulsioni, per dirne una, non smette di far discutere. Su questo punto la maggioranza di governo è spaccata: c'è chi vuole mantenere la Bossi-Fini così com'è, e impedire l'accesso alla regolarizzazione a chiunque abbia avuto un'espulsione (tranne che per mancato rinnovo del permesso), e chi ribatte che si tratta di una cosa ridicola, e che occorre emettere un decreto che rettifichi questo punto. Intanto, però, si susseguono strane retate, in seguito alle quali vengono distribuite manciate di espulsioni, addirittura inviando controlli sul posto di lavoro. E sono in molti a dire che il Viminale abbia istruito ad hoc le questure, invitando a intensificare i controlli. L'ultimo, segnalata da Dino Frisullo di Senzaconfine, si è verificata a Palermo proprio martedì sera, alla vigilia dell'avvio della distribuzione dei «kit». Quaranta persone si ritrovano ora con un'espulsione in mano. Don Baldassarre Meli, che gestisce il centro di accoglienza di Santa Chiara a Palermo, lancia un'accusa molto precisa. «Quando ho chiamato in questura un responsabile mi ha detto che esistono precise disposizioni del Viminale. Non so se è vero, ma di sicuro alcuni di quei ragazzi la polizia li conosceva già, quindi è una retata strana. Lo trovo allucinante, lavorano, aspettavano proprio la sanatoria».

Allucinante, già. E quando c'è di mezzo l'immigrazione, di paradossi se ne vedono e se ne sentono tanti. In fila allo sportello delle poste, per esempio, si incrocia varia umanità, a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che lo «straniero» è già «dentro di noi», razza Piave a parte. Un uomo anziano, venuto per regolarizzare la "badante" dello zio "anzianotto", pronto a pagare i contributi "forfettari" e a regolarizzare la "straniera", all'improvviso si inalbera: «lo scriva, lo scriva, che le leggi italiane fanno schifo». Verrebbe da commuoversi, un uomo anziano, della vecchia sinistra, non ancora ingrigito?: Macché: «perché io nel `43 collaboravo con i tedeschi - continua- l'Italia fa schifo, chi viene in Italia e lavora deve essere regolare punto e basta». E se ne va, lasciandoci interdetti. Nel frattempo, si avvicina un ragazzo ecuadoriano, con la busta bianca in mano, e un dubbio che lo attanaglia: «il mio padrone dice che mi regolarizza solo con un contratto di formazione. Ma che vuol dire?». «Accetta, accetta, - gli dicono gli altri - è per pagare meno contributi, a te che ti frega». Ma c'è chi è più fortunato, come il ragazzo pachistano, operaio, che è riuscito a strappare al suo datore di lavoro la promessa che regolarizzerà suo fratello, anche se non lavora per lui. Oppure, c'è chi è più sfortunato. Come un signore del Bangladesh, che vuole sanare suo nipote: «vende le cose per strada, se si regolarizza prende la licenza». Qualcuno cerca di spiegargli che non è possibile. Mette in fila parole difficili «dipendente», «lavoro subordinato». Lui non capisce, e allora arriva la frase bruta: «Tuo nipote deve avere un padrone». Sgrana gli occhi, e se ne va sconsolato.