il manifesto - 21 Agosto 2002
«Volevano colpire San Petronio»
Bologna, arrestati 4 marocchini e un italiano: per gli inquirenti preparavano un attentato
SARA MENAFRA
E' di nuovo allarme terrorismo per la basilica di San Petronio a Bologna. Lunedì mattina alle 9 una pattuglia di carabinieri, in servizio di vigilanza nella chiesa, ha fermato quattro marocchini e un italiano -un professore di storia dell'arte in pensione - mentre filmavano con una videocamera l'ormai celebre affresco che ritrae Maometto nel girone dantesco degli idolatri. I cinque sono sospettati di aver cercato di organizzare un attentato nella basilica. L'obiettivo sarebbe stato il crocifisso che sovrasta l'altare maggiore. Ad attirare l'attenzione della magistratura, che ora accusa il gruppo di «associazione sovversiva» (art. 270bis c.p.) e «attentato terroristico» (art. 280), è proprio il video girato mentre i cinque si trovavano nella basilica bolognese. Il video sarebbe zeppo di commenti «allarmanti», come li ha definiti il pm Paolo Giovagnoli, che conduce le indagini. Mentre filmavano l'affresco che alcune organizzazioni musulmane in Italia hanno condannato come blasfemo, i quattro avrebbero pronunciato frasi come: «Sai che cosa ha detto l'idolo? Se non lo tirano via butterà giù tutto». Oppure «Quello che fa bin Laden è quello che ci vuole in questo momento».

Certo, il fatto che i cinque si muovessero in gruppo e che avessero scelto proprio il posto più sorvegliato della città per fare le loro esternazioni li farebbe apparire più dei turisti integralisti che degli attentatori. Eppure ad accusarli sarebbero diversi elementi «convincenti, concordanti e significativi» individuati dagli inquirenti: il riferimento preciso ad un orario in cui tornare nella chiesa («qua è meglio venire presto, verso le 7.30»), l'attenzione dedicata al crocifisso sull'altare maggiore («filmalo bene perché si veda quant'è alto») e l'atteggiamento tenuto una volta arrivati in caserma. Le intercettazioni ambientali, infatti, dimostrerebbero che il gruppo si sarebbe accordato per una versione comune dei fatti augurandosi che i carabinieri non capissero l'arabo.

«Siamo in una fase molto inziale - ha spiegato il pm - Queste persone sapevano di stare facendo una cosa in qualche modo clandestina perché vi sono registrazioni in cui uno dice a un altro `mettiti lì che faccio finta di riprendere te'». Oggi il gip esaminerà la richiesta di convalida del fermo ed emissione di un'ordinanza di custodia cautelare presentata dagli inquirenti. L'iniziativa della magistratura bolognese, però, non sarebbe piaciuta al ministro dell'interno Pisuanu. Fonti interne al Viminale, infatti, riferiscono che il ministro avrebbe accolto «con irritazione» la notizia dei fermi perché la pubblicità data agli arresti potrebbe essere controproducente rispetto al proseguimento delle indagini.

Intanto l'avvocato Mario Marcuz - difensore d'ufficio del gruppo - ha spiegato di voler far controllare le traduzioni fatte dai carabinieri: «Capita spesso che a chi conosce l'arabo internazionale sfugga il significato di un singolo dialetto e che quindi le stesse parole acquistino significati diversi».

I quattro marocchini risiedono tutti nella zona dell'alta padovana, hanno un regolare permesso di soggiorno e lavorano come operai nelle aziende della zona. Due di loro erano ospiti da qualche mese nell'abitazione di Germano Caldon, il professore di storia dell'arte in pensione che è stato arrestato insieme a loro. Da sempre impegnato in associazioni ambientaliste e di volontariato, Caldon negli ultimi anni si era dedicato a trovare lavoro nelle aziende del padovano agli immigrati arrivati dal maghreb. Per questo progetto aveva ottentuto un finanziamento dalla banca etica di Padova con cui aveva comprato una casa a Santa Giustina in colle dove ospitava gli immigrati in cerca di lavoro. «E' una persona piena di amore verso il prossimo - spiega il fratello Daniele - non ha famiglia né figli ed ha trovato il suo obiettivo in questo progetto di volontariato puro, da cui non guadagna un centesimo».

Come spiega il fratello, Caldon non conosce l'arabo «e nemmeno l'inglese o il francese» e non ha mai pensato di convertirsi all'Islam. Il viaggio a Bologna sarebbe stato motivato da ragioni burocratiche: i quattro marocchini avevano bisogno di ritirare alcuni documenti al consolato del loro paese.