il manifesto - 19 Luglio 2002
Cavalieri elettrici d'Irlanda
Racconti intorno al fuoco Dai carrozzoni ai caravan, la vita dei Travellers, la storica comunità nomade irlandese, nel romanzo autobiografico di Nan Joyce, «Una vita sulla strada» per Edt
Sedentari per forza Tradizioni e cultura secolari sono state spazzate via dalla modernizzazione, trasformando gli erranti in stanziali. Nelle periferie degrate delle città

ELISABETTA D'ERME
Quando Nan Joyce dettò la sua autobiografia alla sociologa Anna Farmar aveva 45 anni. Era uscita dall'emarginazione per diventare improvvisamente un personaggio pubblico e dare vita a una campagna per il riconoscimento dei diritti dei Travellers, storica comunità nomade irlandese. Oggi, per una serie di fortunate casualità, la storia di Nan Joyce e della sua gente viene riproposta in Italia con il titolo Una vita sulla strada (Edt, pp. 135, € 8,5) grazie alla traduzione di Michele Soranzo, al quale si deve anche una preziosa introduzione al testo. Per l'immaginario collettivo i Travellers sono strambi vagabondi che attraversano in lungo e in largo le strade della verde Irlanda su folcloristici carrozzoni con la copertura a botte, trainati da robusti cavalli e tintinnanti di casseruole e strumenti musicali. Gente dai capelli rossi o corvini, occhi verde smeraldo, che la sera si accampa lungo le sponde dei torrenti e accende un fuoco da campo. Mentre gli uomini lavorano il ferro le donne lavano attrezzi e bambini, quando arriva la notte cantano o raccontano storie. Questa è la romantica rappresentazione fiabesca che ce ne hanno dato il cinema, i depliant turistici e le cartoline postali ridipinte a mano da John Hinde. Forse non era veritiera neanche ai tempi d'oro del nomadismo, certo è che oggi la loro quotidianità è drammaticamente diversa. Nan Joyce ricorda ancora la sua infanzia in termini felici quando viaggiavano dal nord al sud dell'isola in carrozzone e la sera il padre leggeva alla famiglia Cime Tempestose. La madre conosceva rimedi contro malanni e malattie e tutti i figli venivano educati alla pulizia, dove possibile anche a leggere e scrivere. Poi il carro fu sostituito da caravan e da roulotte, mentre era sempre più difficile trovare un luogo dove fosse permesso accamparsi. Una sera il padre non tornò da uno dei pochi pub dove erano ammessi i nomadi. Dopo una rissa era finito in galera, dove lo avevano massacrato di botte.

Come sottolinea Soranzo nella nota introduttiva, è importante tener presente che i Travellers irlandesi non hanno analogie con gli zingari del continente. «Nonostante la presenza in Irlanda di comunità rom con le quali a volte sono imparentati, i Travellers rappresentano un gruppo etnico autoctono, con cultura e identità proprie, caratterizzate dalla forte fede cattolica e da una lingua specifica, "Shelta" o "Gamon" o "Cant" che rivela lontane influenze greche ed ebraiche». Nell'Irlanda votata alla modernizzazione e al benessere i Travellers sono scomodi testimoni di un mondo che non esiste più. Alla comunità degli stanziali la loro presenza è divenuta molesta e fastidiosa e il loro stile di vita inaccettabile. Mai ammessi volentieri nei locali pubblici, oggi lo sono meno che mai. La loro vita non è mai stata facile: già altissima, negli anni `80 la mortalità infantile era addirittura aumentata.

Attualmente in Irlanda si contano circa 23.000 Travellers, chiamati anche Tinkers perché loro attività principale è stata sempre quella di stagnini, fabbri e lattonieri. Nel passato, quando arrivavano in un paese o si accampavano vicino a qualche fattoria, avevano subito lavoro: teiere e bollitori da riparare, pentole da sistemare. E poi c'era sempre qualche novità da raccontare o qualche oggetto di rame da scambiare con latte e uova. I bambini vendevano per le case qualche chincaglieria e, se non ne avevano, chiedevano l'elemosina. Per tradizione i Travellers sono sempre stati gran conoscitori di cavalli e la loro esperienza era apprezzata alle fiere dove arrivavano da ogni luogo per vendere e comprare le bestie più belle. Questo aspetto della cultura dei Travellers viene sottolineato nel romanzo di John F. McDonald Tribe («Tribù», Wolfhound Press, Dublino, 1999), debutto narrativo di un giovane scrittore irlandese di eccezionale interesse, che racconta la storia di Owen, un ragazzo Traveller che violenza ed emarginazione costringono a rinunciare alle proprie tradizioni per diventare un «Gorgio», ovvero ciò che nella lingua «Cant» viene sprezzantemente definito uno stanziale. Un cambiamento quasi impossibile perché: «Puoi tirare fuori l'uomo dal nomade ma non il nomade fuori dall'uomo». Owen sa che gli «Outsiders will not be tolerated for ever» e decide di divenire un «Gorgio» perché la sua gente non può più muoversi liberamente «nel tempo e nello spazio».

Nelle Considerazioni nomadiche il filosofo Vilém Flusser (in «Von der Freiheit des Migranten» Bollmann, 1994) analizza nomadismo e sedentarietà in chiave fenomenologica: «I sedentari siedono e i nomadi viaggiano. Ciò significa in primo luogo che i sedentari possono essere localizzati nello spazio (hanno un indirizzo), mentre i nomadi possono essere definiti solo in un continuum di spazio-tempo. Per i sedentari basta indicare Angolo 4a Av./ 52ma Strada, NY; per i nomadi bisogna aggiungere: il 10 Aprile del 1990 alle ore 16.00». Nella sua autobiografia Nan Joyce non smette mai di rimpiangere i tempi quando i Tinkers potevano accamparsi dove e quando volevano, mentre gli stanziali venivano ad ascoltarli cantare e suonare le musiche tradizionali irlandesi, seduti attorno ai loro fuochi, avidi dei loro racconti, e ne aspettavano il ritorno l'anno successivo. Vicende che ricordano le riflessioni di Jean-Pierre Vernant sul legame mitologico tra Hestia, la dea che troneggia in mezzo al focolare miceneo, il megaron, ed Hermes, dio errante, padrone delle strade: «La coppia Hermes-Hestia esprime, nella sua polarità, la tensione esistente nella rappresentazione arcaica dello spazio: lo spazio esige un centro, un punto fisso, dotato di valore privilegiato, dal quale si possono orientare e determinare delle direzioni, tutte diverse qualitativamente; ma lo spazio si presenta come luogo del movimento, il che implica una possibilità di transizione e di passaggio da qualsiasi punto a qualsiasi altro.»

I Travelling People si spostavano in Inghilterra, Galles, Scozia e nell'Irlanda del Nord e ovunque avevano loro feste, luoghi di riferimento. Oggi la loro esistenza è in serio pericolo. Il loro declino è iniziato negli anni `70 con l'ingresso dell'Eire nell'Ue e la guerra civile nel Nord Irlanda, eventi che hanno trasformato il paesaggio nel quale erano abituati a spostarsi da secoli. L'urbanizzazione, l'industrializzazione, la crisi dell'artigianato, i nuovi materiali, le nuove forme di comunicazione, li hanno portati a una progressiva ghettizzazione nelle periferie più degradate degli agglomerati urbani. Nel giro di pochi anni, come racconta Nan Joyce, ai Travellers venne proibito tutto. I campi dove solevano incontrarsi tradizionalmente di stagione in stagione vennero destinati a nuovi usi, recintati e occupati da fabbriche o nuovi insediamenti residenziali. Nan Joyce racconta con passione e rabbia di tutti luoghi dai quali sono stati scacciati con metodi disumani, addirittura utilizzando i loro accampamenti provvisori come discariche per le immondizie. Due delle sue figlie si sono ammalate per inquinamento da piombo proveniente da vecchie batterie delle auto gettate nei campi dove vivevano, e ne soffrono ancora le conseguenze.

Anche per Nan Joyce alla fine la soluzione dei suoi problemi è stata l'accettazione di una sorta di stanzialità. Una casa, un indirizzo, una scuola per figli e nipoti. E questo perché ai Travellers è ormai negato un diritto per loro fondamentale, non quello di viaggiare, di spostarsi, ma il diritto di fermarsi, seppur per una notte, e accendere un fuoco da campo. Eppure diverso, perché per il nomade, per chi è «signore delle strade» quel fuoco ha senso solo se è acceso in tempi, spazi, luoghi diversi. Altrimenti rischia di diventare una pira.