il manifesto - 05 Giugno 2002
Immigrati all'indice
Ci vorrà l'impronta digitale per lavorare e soggiornare in Italia. La camera approva la legge Bossi-Fini, che ora passa al senato
ANDREA COLOMBO
ROMA
La camera approva, con 279 voti a favore contro 203. E a chiarire cosa i deputati della repubblica stiano approvando ci pensa Alessandro Cé, capogruppo leghista, uno che imbarazzerebbe persino Jean Marie Le Pen. Il capoccia leghista ignora gli sforzi dei colleghi che cercano di spacciare per civile una legge, la Bossi-Fini sull'immigrazione, che di civile non ha nulla. Va giù piatto, senza ipocrisie, con un discorso che probabilmente è il peggiore mai pronunciato in parlamento nella storia repubblicana. Ad applaudirlo, alla fine ci saranno solo i leghisti: i coinquilini di casa Berlusconi non ce la fanno a battere le mani. Ma la legge che hanno voluto e votato, applausi o non applausi, porta la firma proprio di Cé e degli altri come lui. Quando poi il diessino Violante accuserà il leghista di ever esposto «un manifesto del razzismo moderno e dell'odio civile» neppure il presidente Casini se la sentirà di rimproverarlo. Ma a esaltare la legge, anzi a rivendicarne la paternità («Bisognerebbe d'ora in poi chiamarla la Bossi-Fini-Udc», giura il capogruppo dell'Udc Volontè), c'è anche il moderato e civile partito del presidente della camera.

Quello del capocenturia bossiano non è neppure un discorso razzista. E' un agghiacciante delirio. Denuncia nell'ordine: i «piani diabolici» dell'Ulivo per trasformare la nostra civiltà cristiana in una inciviltà multirazziale dove tutti «sono uguali, vestono in modo uguale, senza più differenze»; il «complotto» ai danni dei lavoratori italiani ordìto dalla grande finanza in combutta con la sinistra, adoperando gli extracomunitari come massa di manovra; la discriminazione e il razzismo che «i lavoratori italiani e padani» hanno dovuto subire in questi anni. I Verdi protestano, alzano cartelli con le impronte digitali, provocano le ire del nordico oratore e quelle di Casini che minaccia sanzioni: «Questo non è il circo equestre». Stando a quel che si è appena sentito, si tratta effettivamente un posto più sinistro.

Landi di Chiavenna, che prende la parola per An, è molto più diplomatico. Tono civile, argomenti pacati: non siamo contro gli stranieri, solo contro gli irregolari; dobbiamo impedire che la domanda di sicurezza si traformi in xenofobia. Ma il dna è quello che è, e finisce per prendergli la mano. Dove li avrà visti i «quartieri di immigrati dove la polizia non osa entrare»? Quali saranno le aree metropolitane nelle quali, «gli italiani sono espropriati dei loro diritti di cittadinanza»?

L'opposizione, com'è ovvio, si oppone, e spesso lo fa con toni giustamente indignati (Castagnetti per la Margherita), additando lo spirito razzista che pervade la legge (Rifondazione, i Verdi e il Pdci), individuando le incongruenze tecniche e le debolezze strutturali del testo (Violante per i Ds). Ma per quanto netta sia la condanna, è difficile sottrarsi a una sensazione di inadeguatezza, non avvertire un rumore di fondo stridente. Per tutta la durata del dibattito e ancora ieri, nelle dichiarazioni di voto finali, l'opposizione, con le eccezioni del Prc e dell'ala sinistra dell'Ulivo, non è mai riuscita a contrapporre una sua cultura a quella della destra. Nella lista delle critiche ha quasi sempre messo al primo posto l'inefficacia della nuova norma che, come ha ripetuto ieri Violante «aumenterà la clandestinità e dunque l'insicurezza». Non ha mai avuto il coraggio di sottrarsi al ricatto emergenziale della sicurezza, della tolleranza zero, della guerra santa contro «i clandestini».

Per questo, a conti fatti, il vero scontro politico è stato quello all'interno della destra. L'Udc ha fatto una battaglia seria per migliorare il pacchetto, ma senza il coraggio di portarla alle estreme conseguenze, e dunque inevitabilmente perdendola. Certo, il provvedimento sull'allargamento delle regolarizzazioni arriverà davvero: non per onorare l'impegno con Buttiglione e Tabacci, ma perché la Casa delle libertà non può permettersi la collisione i piccoli industriali soprattutto del nord che reclamano la regolarizzazione. Però la sanatoria che l'Udc aveva chiesto tanto per «motivi di civiltà» quanto per andare incontro alle richieste delle aziende, sarà depurata dalla prima voce, quegli sgradevoli «motivi di civiltà».

Bossi, festeggiando la vittoria, lo dice chiaro e tondo. «La via da percorrere è l'atto amministrativo, il prossimo decreto sui flussi del ministro Maroni, che dovrà servire non per fare arrivare nuova gente ma per riassorbire la palude che che si è creata a causa dei pasticci del centrosinistra». Le regolarizzazioni arriveranno, ma la platea dei lavoratori interessati sarà limitata alle categorie in cui gli interessi delle aziende sono particolarmente coinvolti, e i regolarizzati saranno scalati dalla quota fissata col prossimo decreto sui flussi. Così tutti dovrebbero essere soddisfatti: le aziende che non dovranno pagare pesantissime penali, i cittadini che, aizzati da un'emergenza criminalità montata ad arte, reclamano il pugno di ferro, l'Udc che potrà cantare vittoria, la Lega che ha vinto davvero.

Il voto di ieri non è ancora definitivo. La legge tornerà al senato, se ulteriormente modficata ripasserà da Montecitorio. Poi ci vorranno alcuni mesi per l'entrata in vigore. «C'è tempo - conclude Violante rivolto alla maggioranza - per rimetterci mano e ovviare agli errori». Difficile pensare che ci creda davvero.