il manifesto - 24 Maggio 2002
UE
In Europa più razzismo
Un dossier accusa: dopo l'11 settembre è aumentata l'ostilità verso gli islamici
ALBERTO D'ARGENZIO
BRUXELLES
Dopo l'11 settembre in Europa sono cresciuti il razzismo e la xenofobia: è questa la conclusione, peraltro immaginabile, di uno studio presentato ieri dalla Commissione europea. L'Osservatorio comunitario per i fenomeni razzistici e xenofobi ha misurato l'impatto degli attentati alle torri gemelle sull'opinione pubblica del vecchio continente, concentrandosi specificatamente su una delle molte fobie che ha tratto nuova linfa dagli attacchi terroristici: l'islamofobia. «Le comunità islamiche - accusava il presidente dell'Osservatorio, Bob Purkins - e altri gruppi vulnerabili si sono convertiti in oggetto di una ostilità crescente. Un'ostilità che è sfociata in azioni violente soprattutto in Svezia, Danimarca, Olanda e Regno Unito, ma che è attecchita, o semplicemente ravvivata, in tutti i paesi dell'Unione. Il clima per le comunità islamiche è divenuto generalmente molto più difficile dopo l'11 settembre, un cambiamento che si è materializzato in attacchi ai luoghi di culto, negozi o bar, ma anche intimidazioni votate a proibire o limitare la libertà di culto o le attività finalizzate all'integrazione. Lo studio rivela anche che sono il velo e il turbante gli elementi visuali più frequentemente colti a pretesto per aggressioni fisiche e verbali. Allo stesso tempo è divenuto frequente per i musulmani il dover giustificare e dare prova di non essere dei terroristi, pratiche figlie di una diffidenza diffusa in tutto il continente. L'11 settembre ha dato quindi la stura alle paure degli europei, accelerando il processo di creazione del nemico e recuperando l'identificazione dello stesso, soprattutto in Spagna, Austria e Italia, nel musulmano. In sostanza «gli attacchi terroristici hanno confermato gli antichi pregiudizi». Allo stesso tempo le torri cadenti hanno fatto alzare la testa ai movimenti di estrema destra, megafoni di retorica anti-islamica particolarmente attivi in Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Svezia e Gran Bretagna. Il presidente dell'Osservatorio ha sottolineato che in questo processo socialmente disgregante rivestono un ruolo negativo anche le normative necessarie per richiedere l'asilo politico, fattore riconosciuto di discriminazione o di insicurezza, non ancora strumenti di integrazione. Colpevolmente Purkins non spinge la riflessione fino al passo successivo, evitando così di sottolineare l'incongruenza di un'Europa che vuole vegliare sulla concordia e la pace sociale mentre si incammina con sempre maggior decisione politica e profusione di mezzi polizieschi verso la criminalizzazione dell'immigrazione illegale, fomentando inevitabilmente l'intolleranza.

Anche per questo sorprende il giudizio sorprendentemente positivo dato ai politici europei: «hanno risposto bene, rilanciando il dialogo interculturale e interreligioso». Questa valutazione generosa non riguarda però la classe dirigente di casa nostra. In Italia, diversamente dagli altri paesi Ue, l'Osservatorio non ha registrato atti di intolleranza immediatamente dopo l'11 settembre, ma più tardi, figli di un discorso anti-islamico articolato da politici, giornalisti ed intellettuali. Una lista abbastanza lunga in cui trovano spazio i soliti noti, come il sindaco sceriffo di Treviso, Giancarlo Gentilini, l'eurodeputato Mario Borghezio, il ministro della Repubblica Umberto Bossi e pure il premier Silvio Berlusconi. La sua famosa frase sulla superiorità della cultura occidentale su quella musulmana, pur «decontestualizzata», non ha fatto discutere solo in patria ma è servita anche a gruppi neo-nazisti svedesi per legittimare le loro battaglie in difesa della cristianità e contro gli immigrati. In questa compagnia trova spazio anche Oriana Fallaci.