Ma l'Italia ha meno
paura L'immigrato non è più solo una minaccia. I risultati
dell'indagine della Fondazione Nord est
GIOVANNA PAJETTA
Buone notizie per l'Italia, pessime per
l'Europa. Arrivata alla sua terza edizione, l'indagine su
"Immigrazione e cittadinanza europea" (curata dalla Fondazione
Nord est, illustrata ieri a Padova alla presenza di Ciampi)
racconta infatti come, finalmente, il nostro paese non sia più
quella "penisola della paura" di cui avevano tristemente
parlato negli anni passati Ilvo Diamanti e Fabio Bordignon.
Solo il 30,9 per cento degli italiani, contro il 35,2 del 1999
teme oggi l'arrivo, o la permanenza, del lavoratore straniero.
E persino di fronte al tema più spinoso, il rapporto tra
immigrazione e criminalità, i numeri dicono che le cose stanno
cambiando e la paura scende dal 46,1 al 39,7 per cento. Ma le
buone notizie, per l'appunto, riguardano solo noi. Se si
varcano i confini il quadro si fa ben più fosco. Perché se la
palma della paura, soprattutto sul fronte dell'occupazione,
spetta ora a Gran Bretagna e Germania, c'è chi, come la Spagna
in tre anni ha addirittura più che raddoppiato le sue ansie
(passando da un 14,3 a un 30,3 per cento di cittadini
spaventati). Con il risultato finale di un continente in cui
più di un cittadino su tre (pari al 33,3 per cento) vede nei
nuovi arrivati soprattutto una minaccia. Ma la ricerca,
come sottolineano giustamente i curatori, non si ferma qui.
Grazie al raffronto con le due precedenti edizioni, si può
cominciare infatti a individuare alcuni trend. E la prima
novità è proprio la maggior sintonia tra i cittadini
dell'Unione. Se ad esempio nel 1999 tra i più tolleranti e i
più ansiosi c'era un divario di ben 21 punti in percentuale,
adesso le differenze degli umori non superano, se si toglie il
picco della Gran Bretagna, il 3 per cento. Un sentire comune,
purtroppo più negativo che positivo, che si riflette su due
nodi cruciali per il futuro dell'Europa. La crescita delle
paure porta con sè una più accentuata diffidenza sia verso
l'allargamento dell'Unione che verso la concessione dei
diritti di cittadinanza. In tutti i paesi toccati dalla
ricerca (Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Spagna)
cresce così il numero di chi non vuole concedere il voto,
anche solo nel comune di residenza, nemmeno agli immigrati che
pagano regolarmente le tasse. E' una piccola pattuglia,
nemmeno il 20 per cento, ma agguerrita e guidata, in questo
caso, dall'Italia (dove il "no, in nessun caso" tocca il 17,1
per cento contro il 10,9 della Germania). Percorso analogo,
anche se con lieve miglioramento, sul tema dell'apertura ai
paesi dell'Europa centrale e alla Turchia. Di fronte a un
aumento significativo dei sì (in tre anni l'Italia passa ad
esempio dal 18 al 38,6 per cento) si assiste ad un
irrigidimento della Francia e, soprattutto, della Spagna.
Anche se quest'ultimo paese va considerato oggi un caso a sè,
visto che su questo come su tutti gli altri fronti si è
conquistato il primato della paura (i sì all'allargamento
passano qui dal 58,1 al 34,2 per cento). Più Europa
insomma, ma dai confini certi e ben sorvegliati. E se, come
sottolineano i ricercatori, l'immigrazione rimane "test tra i
più importanti per l'Europa, una sfida alla sua capacità di
affermare un modello comune e unitario", il futuro non è così
roseo. Proprio perchè l'allargamento dell'Unione, data ormai
per scontata, prende l'aspetto di un incognita. "Se governato
adeguatamente, può normalizzare il rapporto delle società
nazionali con il fenomeno migratorio - conclude Ilvo Diamanti
- Ma può avvenire anche l'inverso, l'allargamento potrebbe
agire da detonatore".
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