Il feroce paladino
ANDREA COLOMBO - ROMA
Altro che guerra al terrorismo. Per
Silvio Berlusconi quello che si sta preparando è esattamente quel che
tutti i leader occidentali si affannano a negare: un conflitto tra civiltà.
Meglio: tra la superiore civiltà dell'occidente e quella inferiore dell'islam.
A Berlino, fresco di incontro con il presidente russo Putin, prima di
affrontare il colloquio con il cancelliere Schröder, Berlusconi si lascia
andare a una chiacchierata con i giornalisti. E per una volta dice forte
e chiaro cosa gli passa per la mente.
Quel che il capo del governo pensa è che "dobbiamo essere consapevoli
della superiorità della nostra civiltà. Una civiltà che ha dato luogo
a un largo benessere nelle popolazioni dei paesi dove la si pratica. Una
civiltà che garantisce il rispetto dei diritti umani, religosi e politici.
Rispetto che certamente non esiste nei paesi islamici". Tanta superiorità
non è destinata a crogiolarsi di sé: "L'occidente è destinato a occidentalizzare
e a conquistare i popoli. L'ha fatto con il mondo comuista e l'ha fatto
con una parte del mondo islamico. Ma c'è un'altra parte di questo mondo
che è ferma a 1.400 anni fa".
Dagli islamici rimasti indietro di oltre un millennio al movimento no-global,
il passo è breve. Si vede che la spina di Genova continua a pungere il
premier. Del resto, non aveva forse definito i manifestanti di Genova,
pochi minuti prima che Carlo Giuliani fosse ucciso, "nemici dell'occidente?".
Quale occasione migliore per riprendere l'argomento? Della propria "superiorità
culturale e supremazia", l'occidente dovrebbe avere piena coscienza. Purtroppo,
invece, "proprio all'interno dell'occidente si sono mosse critiche al
modo di vivere e pensare dello stesso occidente, si è cercato e si cerca
di colpevolizzarlo, come se fosse colpa sua e della sua economia la povertà
di cui soffre tanta parte del mondo". La conclusione non sarebbe dispiciuta
a Giuseppe Stalin per il tasso di paranoia e di sospetto: "C'è una singolare
coincidenza tra queste azioni (quelle dei fondamentalisti islamici n.d.r.)
e il movimento antiglobalizzazione che si è sviluppato da un anno a questa
parte".
E' probabile che, come spesso gli capita, il cavalier Berlusconi non si
rendesse conto di cosa andava dicendo. Certamente non era consapevole
di impersonare esattamente il modello di mentalità occidentale utile alla
propaganda taleban. Nelle conferenze stampa seguite ai due incontri di
ieri a Berlino, aveva usato ben altri toni. Aveva ribadito che rispondere
agli attentati è "un dovere, una necessità e un diritto", ma aveva anche
sottolineato che si tratterà di "un attacco ponderato, chirurgicamente
mirato per non fare vittime tra la popolazione civile". Aveva ripetuto,
con Bush, che "il conflitto non sarà né facile né breve" e che, se pure
si prevede un'azione armata, "tutti siamo consapevoli che il terrorismo
sarà sconfitto con altri tipi di azione". Aveva invocato una rapida soluzione
del conflitto israelo-palestinese e, in coppia con Schröder, ripetuto
che l'Italia, come la Germania, "farà quel che franno i suoi alleati in
seguito a decisioni comuni". (Da Washington il ministro degli esteri Ruggiero
conferma: "Siamo pronti a prendere parte anche a misure di carattere militare,
che però non ci verranno necessariamente richieste").
In definitiva, Berlusconi aveva usato i toni ragionevoli stabiliti direttamente
da Washington: parole spesso identiche a quelle di Bush, che il premier
italiano si appresta a incontrare nei tempi determinati dai "reciproci
impegni". Ma il suo pensiero più vero lo ha espresso in altra sede. E
di ragionevole c'è ben poco.
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