IL NAUFRAGIO DELLA NOTTE DI
NATALE Scheletri nell'armadio del governo amico
DINO
FRISULLO
Loro malgrado quei naufraghi hanno scritto una
pagina di storia. Storia minore, scomoda e rimossa, che
rischia di scivolare via sull'onda dello scoop giornalistico,
che rivestirà quei corpi di effimera carta nella doppia
sepoltura del mare e del cinismo. Vorrei raccontarla per
chi non considera la memoria un lusso. In quell'inverno del
'96 gli amici e i parenti dei naufraghi, anch'essi
clandestini, erano in sciopero della fame "per il diritto di
esistere" in piazza Colonna. La notizia del naufragio rimbalzò
in un attimo fra due continenti a partire dalle frasi
smozzicate dei superstiti, detenuti dai trafficanti in
un'isola greca.Nella comunità pakistana, a cui apparteneva la
maggioranza delle vittime, andarono in corto circuito i mille
fili di complice omertà che coprono chi specula sul
proibizionismo di stato. Le famiglie si organizzarono. Il loro
rappresentante, l'anziano Zabiullah che aveva perso un figlio
su quella nave, a rischio della vita ricostruì insieme a noi,
in Grecia e poi in Italia, la catena del traffico, fino alle
squadre che in Italia recludono gli immigrati per ottenere sin
l'ultimo spicciolo pattuito. Ne emerse (e fu pubblicata
anche su Narcomafie) la fotografia della catena
imprenditorial-criminale, con testa turca, armatori greci e
tentacoli protesi dai villaggi del Kurdistan e del
subcontinente indiano fino alle coste italiane, che mercifica
i fuggitivi dalla miseria dell'India e del Pakistan e dalle
guerre del Kurdistan, dello Sri Lanka, del Kashmir. Quei
nomi, quelle mappe, insieme al rosario amoroso delle foto dei
naufraghi, giunsero nelle mani del giudice Billet a Reggio
Calabria, dov'era sotto sequestro (e c'è ancora) la nave
assassina Iohan, tornata come nulla fosse con un altro
carico umano. E fu individuato con una certa precisione, con
la deposizione del giovane superstite Shaqur, il luogo in cui
nei giorni scorsi è sceso il batiscafo di
Repubblica.Prese avvio l'inchiesta, passata poi a
Siracusa, quando scovammo, in un angolo di cronaca nera, la
notizia di un cadavere ripescato presso Gela. La nostra
ricostruzione coincideva con quella fatta - dal gennaio '97 in
poi - da Livio Quagliata e altri giornalisti su il
manifesto. L'ambasciata pakistana si mosse; quelle
dell'India e dello Srilanka no, o almeno non subito, perché
quei morti erano rispettivamente sikh e tamil, concittadini
scomodi. Profughi, che avrebbero avuto diritto all'asilo - se
esistesse in Italia una legge sull'asilo. Alcuni dei
naufraghi, come i due parenti del leader pakistano a Roma
Shabir Khan, avevano in tasca la ricevuta della richiesta di
soggiorno in base al "decreto Dini", la semi-sanatoria di
quegli anni. Stanchi di attendere, colpiti da lutti familiari,
erano andati a casa e rifacevano il viaggio della speranza.
Déja-vu, nevvero? penso ai trentamila che da tre anni ancora
attendono il soggiorno, negato dall'ultimo governo di
centrosinistra... Fu alla porta del primo centrosinistra,
in quell'inverno del '97, che bussammo insieme a Zabiullah, a
Shabir Khan e ai tamil giunti da Palermo. Forse ingenui (gli
immigrati non avevano festeggiato anche loro, danzando in
piazza Venezia, la fine del governo Berlusconi-Gasparri?),
chiedevamo il recupero della nave e del suo carico umano, ma
anche un ripensamento delle politiche di chiusura.Restammo di
sasso. Dal Viminale alla Farnesina, ad eccezione di pochi
singoli parlamentari, trovammo una totale assenza non dico di
solidarietà, ma di umana pietà. Ammettere la strage equivaleva
a rimettere in discussione la linea della fermezza, che di lì
a poco avrebbe colpito e affondato la Kater I Radesh.
Data da allora il disamore per l'esperienza governativa di
centrosinistra, non certo condiviso da tutto quello che allora
si definiva movimento antirazzista. Ci presero per pazzi e
"acchiappafantasmi" non solo ministri e sottosegretari, ma
anche i rappresentanti dell'associazionismo che affollava le
anticamere del "governo amico" di Napolitano e Livia
Turco. In quel momento, con i trafficanti messi in mora e
denunciati dalle vittime, con un'opinione pubblica non ancora
resa xenofoba, con un governo ai primi passi, quei poveri
corpi riemergendo avrebbero potuto motivare una scelta
coraggiosa: una nuova politica dell'immigrazione e dell'asilo,
che sostituisse legalità e certezza del diritto
all'illegalità, alla soggezione, alla morte.Non fu così.
Furono abbandonati al loro strazio quei corpi ed i loro
parenti, come rimasero soli i loro amici appena più fortunati,
nel gelo di piazza Colonna e nella marcia di Natale '96, in
diecimila a digiuno fino al Vaticano. L'inchiesta proseguì
stancamente, senza risalire la catena assassina oltre gli
ultimi esecutori, senza discendere nel mare di Sicilia.Ora gli
scheletri riemergono. Ciascuno guardi nel suo
armadio.
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